Il riformista che non c'è
Le politiche sanitarie tra invarianza e cambiamento
Il vero problema della sanità e della medicina pubblica è il «riformista che non c’è». L’incapacità di ottemperare i necessari cambiamenti, proprio quando essi sono indispensabili, fa sì che oggi la sanità pubblica sia in grave pericolo.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063236
- Anno: 2013
- Mese: settembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 216
- Tag: Politica Medicina Sanità
Dopo le sorprendenti elezioni del febbraio 2012, questo libro propone alla nuova e alla vecchia classe politica, e a tutto il mondo sanitario, un progetto per rifondare la sanità. L’autore affronta le quattro principali questioni irrisolte della sanità italiana: l’interpretazione moderna dell’articolo 32 della Costituzione, la norma madre da cui tutto viene, e la «questione salute»; il ripensamento della medicina quale conoscenza, perché essa si adegui a una società che cambia e a un’economia ostile; il ripensamento delle professioni e del lavoro, in particolare delle professioni sanitarie (medici e infermieri); il ripensamento della sanità come sistema di governo e di organizzazione dei servizi. Da sempre il vero problema della sanità non è la mancanza di idee o di proposte, ma la politica, che da troppi anni si dimostra disinteressata al cambiamento. Questo libro si basa su fatti reali, anche se il soggetto è simbolico. Il «riformista che non c’è» è un limite culturale della nostra società, che, per il bene comune, dovrà essere superato e convertito a una nuova progettualità.
Introduzione - Chi è il «riformista che non c’è»? - 1. Il «riformista che non c’è» e l’art. 32 - Rileggere oggi l’art. 32 - Definizioni, aporie e paradossi dell’art. 32 - Reinterpretare la nozione di «interesse collettivo» - Ricontestualizzare l’art. 32 - Ridefinire l’art. 32 - Oltre la tutela... la salute si costruisce - Diritto naturale... integrità... la salute è cambiamento - Gli equivoci sulla sostenibilità - La salute compossibile - Le 3 P: pre-venzione, pre-visione, pre-dicibilità - Reformo salute: cosa fare in pratica - 2. Il «riformista che non c’è» e la questione «medicina» - Nozione e cognizione - La pressione dei cambiamenti sulla nozione di medicina - Dai tagliandi al rebuilding - Da servus a dominus, da organicus a homo - La complessità ontologica del malato - Estensioni - Ripensare la clinica - Colligazione - Relazioni - Il problema della Tabella XVIII - La riforma delle nozioni e delle cognizioni - In pratica che fare? - 3. Il «riformista che non c’è»: ripensare gli atti, i modi e i contenuti delle professioni - Il disagio professionale - Questione deontologica - Il «bene» quale criterio ordinatore per le professioni - L’atto professionale tra fini ippocratici e regole aziendali - Atto professionale - Definire l’agens per definire l’actio - Autore - Identità quale condizione per il riconoscimento - Identità quale unità - In ordinem - Tabulae contractus - Forma venalis - Ri-forma-re - Statuto giuridico - Reticoli professionali - Definire l’identità dell’agens - Definire l’organizzazione che serve - Definire lo statuto giuridico-contrattuale - 4. Il «riformista che non c’è» e la sanità - La favola del debito che nessuno vuole pagare - L’illusione dell’azienda - Errori di invarianza: domanda e offerta - Spending power e questione istituzionale - I guai delle Regioni - La questione della governabilità - Il marginalismo, cioè ottimizzare l’invarianza - Pactio ad marginem - Il marginalismo degli economisti - Marginalismo e controriformismo - Marginalismo integrato - Marginalismo versus riformismo - Mondi possibili - La questione morale - Un programma rifondante - «Un diritto, una sanità»: come riformare con un programma - Conclusioni - Paghiamo il debito con il cambiamento - Bibliografia essenziale di Ivan Cavicchi
Introduzione
Chi è il «riformista che non c’è»?
Il «riformista che non c’è»... c’è, esiste, anche se in forma negativa, ed è il più ingombrante limite culturale delle politiche sanitarie. Egli è colui che:
– dovrebbe cambiare ma non cambia o cambia poco;
– è sempre in ritardo nei confronti del mutamento;
– propone soluzioni superficiali, provvisorie e inadeguate;
– è la vera causa dei più importanti problemi dell’attuale sistema sanitario.
Nella seconda metà del secolo scorso, il «riformista che non c’è», senza mai sostanzialmente smettere la sua cultura mutualista, ha rincorso il riformismo sanitario degli inglesi, ma sempre in ritardo rispetto agli avvenimenti:
– nel 1948, mentre in Gran Bretagna si varava il servizio sanitario nazionale, in Italia si approvava l’art. 32 della Costituzione sul diritto alla salute;
– nel 1968, mentre in Gran Bretagna si istituivano le Usl, in Italia si riorganizzavano gli enti ospedalieri; le Usl saranno copiate solo dieci anni dopo;
– nel 1974, mentre in Gran Bretagna si riorganizzava la medicina di base, noi avevamo ancora le mutue ed eravamo alle prese con i loro debiti;
– nel 1978, mentre gli inglesi scrivevano libri bianchi per pianificare, attuavano progetti per produrre salute e svolte manageriali, noi varavamo la riforma sanitaria; le aziende sanitarie sarebbero state istituite solo quattordici anni più tardi;
– a partire dal 1979, in Gran Bretagna si mette mano a una serie di ripensamenti (Rapporto Griffith, Rapporto Korner, clinical governance, devoluzione, ecc.) che sbarcheranno in Italia solo a partire dal 1999.
Oggi la riforma Cameron ha dato luogo a una quasi totale destrutturazione del sistema sanitario e sociale britannico, della quale è troppo presto per parlare. Questa ennesima riforma arriverà forse da noi tra una decina d’anni, o forse no. Da noi, oggi, il «riformista che non c’è» è come incastrato nei suoi storici ritardi, non sa come andare avanti ed è fortemente tentato di tornare indietro, ossia al caro vecchio mutualismo di una volta.
Le questioni che meglio descrivono il «riformista che non c’è» sono quattro:
1. Per il «riformista che non c’è» l’art. 32 resta certamente un faro, ma con la luce spenta: ormai sono tanti anni che non crede più in esso. L’art. 32, per lui, sta nella Costituzione alla stregua di un soprammobile. Eppure, oggi più che mai, non è possibile parlare di diritti, di salute, di giustizia, di sostenibilità, di sanità senza ripartire da un’idea moderna di diritti, di salute, ecc., senza prima «riaccendere» quel faro. Ma il «riformista che non c’è» sembra aver esaurito i fiammiferi. Per lui, la possibilità di ridurre la spesa sanitaria riducendo innanzitutto le malattie è un concetto vuoto, espresso senza convinzione, mai una priorità concretamente programmatica, dunque una politica. Le priorità per lui sono altre.
2. Da vecchio mutualista, egli è soprattutto curans, gli interessa cioè curare le persone, ma ignora che per farlo serve la medicina, quindi scienza, etica, società, cultura, professionalità, modi di essere, prassi, tecniche, metodi, ecc. Ebbene, il «riformista che non c’è» ha in questi anni riorganizzato la sanità tante volte ma, sostanzialmente, lasciando sempre invariata la «medicina»: un’assurdità che si fa molta fatica a credere. È come cambiare l’hardware senza aggiornare il software o il know-how.
Il «riformista che non c’è» dice di voler valorizzare le professioni, ripensare i servizi, integrarli per farli funzionare meglio, ma senza mai ripensare quello che veramente renderebbe tutto ciò possibile: la medicina intesa come summa di contenuti. I guai maggiori della sanità nascono perché essa, pur aggiornando le proprie nozioni scientifiche, regredisce culturalmente nei modi, negli atti, nelle relazioni. Ma il «riformista che non c’è» non riesce neanche a ipotizzarlo, ad averne sentore; egli parla sì di formazione, di ECM (Educazione Continua in Medicina), di aggiornamento, di governo clinico... ma sempre a summa invariante. Questo ha un costo sociale ed economico altissimo.
3. Il «riformista che non c’è» è convinto che si possano attuare politiche sanitarie senza gli operatori, perché per lui questi ultimi sono semplicemente delle trivial machines. Ma niente, in medicina e in sanità, si può fare a prescindere da coloro che vi lavorano, perché questi non sono trivial machines.
Quindi, la questione fondamentale che il «riformista che non c’è» ignora è quella della riforma del lavoro professionale.
Egli non ha alcuna idea seria in merito al cosa e al come fare.
4. Il «riformista che non c’è», in quanto dispositor, si occupa prevalentemente di gestire la sanità, dunque si occupa di servizi, aziende, istituzioni, bilanci. Per lui la sanità è solo una questione di mezzi e i mezzi sono i veri scopi della sanità. Il resto non conta. Per il «riformista che non c’è» ogni mezzo atto a conseguire un risultato di gestione è un problema di politica sanitaria. Ma come mezzi egli concepisce solo le risorse finanziarie, null’altro. Dal suo punto di vista la sanità funziona solo se ci sono i soldi, solo cioè se i finanziamenti assecondano la spesa, indipendentemente se questa sia anti-economica o diseconomica.
Egli è fondamentalmente un feticista, che si preoccupa di organizzare i suoi feticci economicistici, da cui è continuamente assillato, per cui escogita tagli, restrizioni, contenimenti e via dicendo, fino a diventare vittima di un’inguaribile angoscia di castrazione. I tagli lineari sono esattamente il prodotto delle sue paranoie amministrative.
Queste sono le quattro grandi pecche del «riformista che non c’è» e sono anche le quattro questioni trattate in questo libro. Due le condizioni per cambiare la sanità: proposte e riformatori.
La sanità pubblica, se non cambia, rischia di morire, ma non per l’assenza di proposte, bensì perché mancano i riformatori.
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