I tre volti del tempo
Cos’è il tempo? A questa domanda cerca di rispondere l’autore, attraverso uno sguardo originale sul tema, con una riflessione acuta e coinvolgente tra fisica, biologia, psicologia e intelligenza artificiale.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063571
- Anno: 2024
- Mese: novembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 152
- Tag: Clima Meteorologia
«Succi offre una prospettiva affascinante su uno dei concetti più enigmatici dell’Universo: il tempo. Con una brillante fusione di fisica, biologia e psicologia, in una visione olistica e innovativa, l’autore apre nuove frontiere nel dialogo tra scienze naturali e umane, dandoci una lente nuova attraverso cui osservare la realtà e il nostro posto in essa».
Giuseppe Riva
Da sempre il tempo ci appare un tema affascinante e misterioso. Parte di questo “mistero” è forse dovuta alla nostra attitudine a considerarlo come un’entità unica, senza riconoscerne la sua triplice natura: fisica, biologica e psicologica. Il tempo fisico ci serve a disegnare un quadro quanto più possibile oggettivo dei fenomeni naturali, il tempo biologico è quello che scandisce i ritmi del nostro organismo; il tempo psicologico, invece, accompagna il flusso dei nostri pensieri.
Questo libro analizza in modo accessibile, ma mai banale, la relazione fra i tre volti del tempo alla luce dei progressi della moderna scienza dei sistemi complessi, toccando inevitabilmente il prepotente ingresso sulla scena dell’intelligenza artificiale. Una riflessione che ci aiuta a comprendere meglio il mondo intorno e dentro di noi.
Prologo
Parte prima
IL TEMPO FISICO
Capitolo primo
Il tempo meccanico
Il tempo assoluto di Newton
Il tempo relativo di Einstein
Il tempo quantistico
Gravità e quanti
La fisica senza tempo
Cristalli di tempo
Il collasso della funzione d’onda e il gatto di Schrödinger
Buchi neri
Capitolo secondo
Il tempo termodinamico
Il tempo come illusione
La scienza del calore
Il tempo emergente di Boltzmann
Il ponte di Boltzmann
La nuova alleanza
Nonlinearità
Parte seconda
IL TEMPO BIOLOGICO
Capitolo terzo
Il tempo nel nostro corpo
I cicli del tempo biologico
Le scale multiple del tempo
Il motore termodinamico del tempo biologico
Il motore chimico del tempo biologico
Reti metaboliche: il tempo è tutto!
Orologi epigenetici
Il tempo neurologico
La macchina del tempo
Parte terza
IL TEMPO PSICOLOGICO
Capitolo quarto
Il tempo della mente
Cosmologia della mente: Dirac e Lemaître
«Le temps de philosophes»
Il tempo siamo noi?
Tears in (b)rain
Relatività psicologica
Chi vuol vivere per sempre?
L’enigma della coscienza
Capitolo quinto
Il tempo del silicio
Intelligenza naturale e calcolo
Intelligenza artificiale
Macchine che imparano
Intelligenza artificiale aggressiva
Algoretica
Epilogo
Ringraziamenti
Bibliografia
Prologo
A proposito del tempo si è scritto molto, forse in alcuni casi troppo, eppure non abbastanza. Sono tanti i libri dedicati al tempo fisico e alle sue affascinanti – ma talora involute – connessioni filosofiche, mentre invece si è detto troppo poco riguardo al tempo bio-neuro-psicologico, ovvero il tempo che viene percepito e misurato dal nostro corpo e in particolare dal nostro cervello (al riguardo si veda l’ottimo testo di Boncinelli, 2021).
Un discorso serio su questo secondo aspetto compete naturalmente a biologi, neuroscienziati e psicologi. Tuttavia, poiché il ponte tra il tempo fisico e quello bio-neuro-psicologico si colloca nel quadro della fisica dei sistemi complessi, una voce da questo solitamente silenzioso fronte può, magari, aiutarci a capire un po’ meglio la natura del tempo. Ovviamente con tutta la modestia del caso: chi scrive non è un biologo, né un neuroscienziato o uno psicologo, dunque lo scopo di questo breve saggio non è quello di fornire un quadro dettagliato ed esauriente di fatti bio-neuro-psicologici sul tempo, ma solo quello di lanciare delle riflessioni, spero stimolanti.
In contesto fisico-matematico, lo spazio e il tempo fungono da palcoscenico su cui va in scena la danza di materia ed energia che alimenta tutti i fenomeni naturali. In linguaggio tecnico si dice che spazio e tempo sono “variabili indipendenti”, intendendo con ciò che sono le variabili di base da cui dipendono tutte le altre, ad esempio la velocità del vento o la temperatura dell’aria nella nostra stanza nel corso della giornata.
L’idea al centro di questo libro è che, una volta calato nel contesto biologico, il tempo, più che una variabile indipendente, si presenta piuttosto come il risultato di un processo dinamico, capace di ereditare e riflettere alcune delle caratteristiche specifiche dei meccanismi fisico-chimici che lo supportano. Per questo motivo, il tempo biologico prima e quello psicologico poi assumono caratteristiche molto distinte rispetto al tempo fisico.
Ma cominciamo dall’inizio.
Il tempo da noi percepito ha due caratteristiche essenziali: innanzitutto, è finito, cioè non dura in eterno e, in secondo luogo, scorre in un solo senso, dal passato al futuro, attraversando l’effimera interfaccia del presente. Queste due proprietà hanno un impatto fondamentale non solo sulla nostra vita pratica ma pure sulla stessa condizione umana. La finitezza del tempo ci dice che nulla è per sempre (neanche i diamanti...), c’è una sponda finale sulla quale, per dirla con Dylan, anche l’ultima onda dell’oceano finisce per infrangersi. La sua unidirezionalità, il fatto che “scorre” solo in avanti, implica che quella sponda prima o poi sarà raggiunta e, anche avvistandola per tempo, non c’è modo di fare marcia indietro per evitarla. La consapevolezza della mortalità è un fardello che noi esseri umani, verosimilmente unici tra le specie viventi, siamo chiamati a condividere, e che definisce in larga parte la nostra traiettoria esistenziale: c’è chi cerca di mordere la mela il più possibile, con mezzi più o meno leciti, consapevole che «del doman non v’è certezza», praticando il carpe diem di Orazio; c’è chi cerca invece di realizzare opere che sopravvivano alle proprie spoglie mortali, le foscoliane «urne de’ forti». L’umanità deve probabilmente assai più ai secondi che ai primi, ma, sia come sia, il fatto è che la percezione del tempo e la consapevolezza dei due aspetti di cui sopra segnano profondamente la condizione umana, e dunque riguardano tutti.
Non stupisce pertanto che, sin dai suoi albori, l’umanità si sia interrogata sulla natura e il significato del tempo. Questo viene spesso descritto come il concetto più elusivo nella scienza e nella filosofia, come espresso dalla celebre frase di sant’Agostino. Se, dunque, sul tempo si è scritto tanto, e forse persino troppo, perché allora aggiungere acqua a questo fiume?
Come anticipato, il nostro scopo in questo breve libro è di rileggere il tempo alla luce degli sviluppi della scienza dei sistemi complessi, per mostrare che, in fin dei conti, il mistero è verosimilmente meno misterioso di quanto si tenda a pensare e a scrivere.
Per avvicinarci a questo percorso, il passo fondamentale è di non pensare a un tempo unico, bensì ad almeno tre forme di tempo: fisico, biologico e psicologico. Naturalmente questi tre tempi non sono indipendenti, ma ognuno di essi presenta caratteristiche proprie che non è possibile far risalire in maniera diretta a quelle degli altri. È dunque plausibile che almeno parte del mistero sul tempo sia dovuta proprio a questa attitudine di trattarlo come un’entità unica, senza riconoscerne la sua (almeno) triplice natura. O forse quadruplice, laddove si voglia includere la cadenza del tempo nei calcolatori elettronici, un tema a cui accenneremo nell’ultimo capitolo, dedicato ad alcune considerazioni sull’intelligenza artificiale.
Nella prefazione del suo bel libro Neurobiologia del tempo, l’autorevole neuroscienziato Arnaldo Benini afferma senza mezzi termini che «la fisica nega il tempo». Sinceramente, le cose non stanno esattamente così; a negare il tempo, con frasi a effetto tipo «Il tempo non esiste», non è la fisica, bensì un ristretto gruppo di fisici teorici, le cui speculazioni, per quanto stimolanti e affascinanti, non hanno ad oggi trovato un convincente riscontro fattuale. La maggior parte dei fisici, in particolare quelli che si occupano di meccanica statistica, incluso questo autore, non nega affatto il tempo. Per costoro, anzi, il tempo è, come scrivevo, probabilmente meno misterioso di quanto può apparire, laddove se ne riconosca la multiforme natura. Un simile atteggiamento, come vedremo, appare del tutto in linea con la scienza dei sistemi complessi, i quali vivono simultaneamente su molti livelli spaziali e temporali, ciascuno dei quali richiede il proprio insieme di concetti e strumenti di indagine indipendenti.
Il tempo fisico è quello che ci serve a formare un quadro quanto più possibile oggettivo dei fenomeni naturali, specie se intesi come indipendenti dall’osservatore, ovvero noi esseri umani. Quando questi fenomeni naturali si calano nel nostro universo biologico interno, il tempo prende nuove forme dovute alla necessità di integrare l’universalità dei princìpi fisici con la specificità di quelli biologici. Senza questa sottile e profonda coesistenza, tipica dei sistemi complessi, non ci sarebbe vita come la conosciamo sul nostro pianeta, ed è proprio da qui che nascono il tempo biologico prima e quello psicologico poi.
Il tempo biologico è basato su complessi meccanismi di natura chimico-fisica, che scandiscono i processi di crescita, mantenimento e decadimento del nostro organismo. Per quanto ne sappiamo, tali meccanismi obbediscono alle stesse leggi descritte dal tempo fisico, ma la loro complessità è tale da conferirgli delle caratteristiche proprie e per certi versi indipendenti. Basta pensare che non tutti invecchiamo alla stessa maniera: in ciascuno di noi il tempo biologico si allinea in maniera diversa a quello fisico.
Il tempo psicologico, infine, è quello che scandisce il flusso dei nostri pensieri. Pur basato anch’esso sui meccanismi chimico-fisici di cui sopra, scaturisce tuttavia da un ulteriore salto di complessità che si opera all’interno del nostro cervello, di importanza epocale per la specie umana: la (parziale) liberazione dai vincoli fisico-chimici dei processi da cui si origina. Prova ne sia la nostra capacità di astrarre, prevedere eventi (ovvero vederli prima che succedano, dopo siamo capaci quasi tutti...) e più in generale di immaginare e concepire mondi mai visti prima e talora addirittura di realizzarli. Se dunque il tempo fisico necessita di ordine per sequenziare gli eventi in maniera logicamente connessa, potremmo azzardare l’idea che quello psicologico apra spazi a un disordine costruttivo che sta alla base di tanti processi inventivi di cui la nostra specie si dimostra capace.
Senza distinzione fra queste tre forme di tempo, si rischia solo di confondere le idee, si pensa a un tempo e si parla di un altro, il che non giova a chiarire la discussione.
Con questa premessa di base, faremo qualche riflessione tenendo a fuoco un obiettivo concreto che, credo, sia di interesse universale. Lo chiameremo il “quesito dello specchio”: perché guardandoci allo specchio facciamo fatica a riconoscere la versione di noi stessi di vent’anni prima (o trenta o cinquanta)? Perché non siamo rimasti freschi e frizzanti come da ragazzi? Insomma stiamo parlando del processo di invecchiamento, che è chiaramente associato soprattutto al tempo biologico, ma investe anche quello psicologico. Infatti, c’è chi la prende con eleganza, stile e filosofia accettando di buon grado il corso della vita, oppure chi la affronta a suon di silicone, ma diciamocelo francamente, fuori da ipocrisie, per noi comuni mortali tollerare di invecchiare, assistendo al declino delle proprie forze, fisiche e mentali, è una salita molto ripida, che rasenta un esercizio di santità.
La tesi qui portata avanti è che il quesito dello specchio forse non è del tutto risolto, ma si appoggia comunque su un quadro scientifico del tutto plausibile. Conoscere meglio la multiforme natura del tempo può alleggerire il fardello della mortalità in maniera molto concreta, portando a importanti progressi in campo biomedico e nella cura delle malattie. Lo sta già facendo. E forse può dare una mano anche in senso più spirituale, aiutandoci a capire qual è il nostro posto nell’Universo e persino ad accettarlo, evitando di cadere, come cantava Franco Battiato, «nell’incubo delle passioni», ovvero nella rincorsa del miraggio di una felicità “mordi e fuggi”, intesa come assenza totale di limiti, incluso quello ultimo della nostra mortalità. Un miraggio vecchio come il mondo, ma recentemente proposto con intensità senza precedenti dalle forme più aggressive dell’intelligenza artificiale (IA), sulla quale spenderemo qualche parola nel capitolo finale.
Il tempo psicologico è dei tre ovviamente il più esposto al confronto tra intelligenza naturale e artificiale, perché è l’unico, come abbiamo visto, che ci consente di fare ciò che consideriamo proprio della specie umana: immaginare mondi nuovi o, alla maniera di Van Gogh, «sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno». Credo che chiunque abbia avuto la fortuna di trovarsi davanti alla sua Notte stellata abbia provato una forte emozione, non solo per la sua meravigliosa bellezza, ma anche, e forse soprattutto, al pensiero della sottile e misteriosa combinazione di straordinario talento e profonda sofferenza da cui un simile capolavoro è potuto scaturire.
Probabilmente un giorno neanche troppo lontano la IA riuscirà a fare di meglio. Ma la domanda è: abbiamo davvero bisogno di un chatbot che faccia meglio di Van Gogh? Abbiamo davvero questa disperata necessità di andare oltre tutti i nostri limiti? A ognuno la propria risposta, la mia ritengo si capirà bene scorrendo le pagine di questo libro.