Stai fuori!
prefazione di Riccardo Iacona
con una testimonianza
di Ilaria Capua
Quanti giovani negli ultimi anni hanno lasciato la propria terra, la propria famiglia, i propri amici per trasferirsi all’estero? La cosiddetta “fuga di cervelli” è un fenomeno che ci riguarda da vicino, costituendo un campanello d’allarme per l’Italia e il suo futuro.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063557
- Anno: 2024
- Mese: ottobre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 216
- Note: illustrato in bn
- Tag: Attualità Giornalismo
«Mi piace il taglio analitico con cui Alessandro Foti ci racconta tutto questo, mi piace la passione politica, nel senso più alto del termine, che attraversa le pagine di questo libro, e come riesce a smontare dall’interno la pochezza del dibattito pubblico su questi argomenti».
Riccardo Iacona
Negli ultimi anni centinaia di migliaia di giovani, molti dei quali con una formazione specifica, hanno lasciato l’Italia con un biglietto di sola andata. Questo perché il Belpaese mette in fila una serie di record negativi sulla condizione giovanile, dall’occupazione all’istruzione, dai salari alla crisi delle università e della ricerca. «Perché dobbiamo pagare uno scienziato, quando facciamo le scarpe migliori del mondo?» arrivò perfino a dire un ex Presidente del Consiglio.
Questo libro è un viaggio all’interno del fenomeno dell’evasione degli italiani all’estero, tra cui la cosiddetta “fuga di cervelli”, visto non come un dramma irreparabile, ma come un segnale di allarme di problemi più profondi.
Prefazione di Riccardo Iacona
Introduzione
Capitolo primo
L’“evasione” degli italiani continua
Un fenomeno antico che diventa un problema moderno
Cosa sta succedendo?
Un fenomeno largamente sottostimato
Dalla fuga dei cervelli allo squilibrio dei cervelli
Nascita ed evoluzione del fenomeno della fuga dei cervelli
I neoemigranti italiani
I motivi che spingono tanti giovani altrove
Nuovi fattori che influenzano la mobilità
Covid-19 e migrazioni
Cosa fanno gli italiani all’estero
Capitolo secondo
E allora, dov’è il problema?
La situazione è preoccupante
«Il futuro è una gara tra istruzione e disastro»
Migrazione asimmetrica
La crisi dell’università italiana e l’emigrazione accademica
Demografia: il deficit giovanile
La fuga di cervelli “intra-nazionale”
Un problema culturale oltre che economico
Capitolo terzo
Come si è affrontato il problema?
La selva legislativa
Scarsi risultati: perché?
«Perché dobbiamo pagare uno scienziato, quando facciamo le scarpe migliori del mondo?»
Cosa ha funzionato: esempi positivi
Capitolo quarto
Il problema nel contesto internazionale
Cosa succede in Europa?
Cosa fanno gli altri Paesi europei per contrastare
il brain drain
Cosa succede fuori dall’Europa?
Capitolo quinto
Proposte & Provocazioni
Elogio della crisi
Invertire la crisi
Università e mondo accademico
Verso la società della (s)conoscenza
Overeducation, skills mismatch e orientamento
Studiare conviene (ancora)!
Attrarre talenti stranieri
Facilitare collaborazioni e scambi con l’estero
Migliorare il censimento degli espatriati
Rappresentanza politica
Capitolo sesto
Conversazione con Ilaria Capua
Conclusioni
Prospettive future
Non è per giovani: ma allora per chi è?
Il principio della rana bollita
Perché non c’è interesse a risolvere il problema
Perché l’istruzione potrebbe salvarci (a lungo termine)
«Resistere, studiare, fare rete e rompere i coglioni»
Ringraziamenti
Bibliografia
Introduzione
Era un giorno caldo, sia nei colori che di temperatura, verso fine primavera del 2011, quando presi il tram 19 per andare al Policlinico Umberto I. Essendo sul finire del mio primo anno di laurea magistrale in Biologia alla Sapienza avrei dovuto scegliere un dipartimento per la tesi di laurea. Quello era uno dei più importanti ospedali d’Italia, con tanti ricercatori esperti e riconosciuti. Mi invitarono per un colloquio. Evviva! Per me era già un successo: avendo creduto all’idea che se ti impegni e studi le possibilità arriveranno, viaggiavo su quel tram come un cavaliere galoppa sul suo destriero verso la vittoria. La vittoria immaginata era la possibilità di trovare un buon tirocinio o di conoscere scienziati esperti che mi avrebbero, magari, dato consigli su progetti o ricerche da intraprendere.
Mi diressi verso i laboratori del piano terra, passando attraverso dei corridoi labirintici e un po’ trascurati. Superando un portone di vetro opaco che divideva due ali dell’ospedale, entrai a Microbiologia. Lì incontrai la ricercatrice che cercava tesisti. Parlai con lei, mi raccontò la sua storia e i progetti del suo gruppo di ricerca. Inizialmente andò bene. La ricercatrice, plurilaureata e riconosciuta all’estero, dopo undici anni di lavoro in un’ottima università inglese era tornata a Roma per avviare il suo laboratorio. Si creò subito intesa tra noi. Poi però, quasi alla fine del nostro incontro, ci fu una cosa che per alcuni era relativamente normale, ma che a me sembrò sconvolgente: mi disse che riceveva lo stipendio solo per sei mesi all’anno. Metà anno con stipendio e metà senza, e per giunta con una famiglia da portare avanti. Uscendo da quel dipartimento, invece di tornare a casa, andai all’ufficio relazioni internazionali della Sapienza. Tre mesi dopo presi un volo di sola andata per Berlino. E come me molti altri: quell’anno trasferirono la propria residenza in Germania 45094 italiani (Federal Office for Migration and Refugees, 2014).
Questo libro vuole essere un richiamo all’attenzione su un tema trattato poco e male dal dibattito pubblico italiano. Il Belpaese negli ultimi dieci anni ha visto emigrare all’estero oltre 1 milione di italiani – più degli abitanti di Napoli, terza città d’Italia – tornando così a livelli di emigrazione che non si vedevano dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. Di questi, circa la metà è composta da giovani tra i 15 e i 38 anni. Ma la novità rispetto alle precedenti ondate migratorie italiane è che una buona parte degli emigranti ha una formazione specifica; circa un quarto del totale (incluse tutte le fasce di età) è infatti costituito da laureati (231114 nel periodo 2011-2020). Questo testo racconterà dunque l’ondata migratoria italiana in corso, soprattutto quella giovanile, all’interno della quale si ritrovano non solo i cosiddetti cervelli in fuga ma molto di più. Tratterà inoltre delle nuove dinamiche che stanno caratterizzando tale fenomeno negli ultimi anni in rapporto ad altri Paesi a noi vicini e al contesto globale.
La mobilità internazionale per studio, lavoro o semplice esplorazione è un tratto distintivo dell’epoca in cui viviamo. Questo succede anche perché i tempi e i costi del viaggiare si sono molto ridotti rispetto al passato. In più, è cambiato anche l’aspetto culturale: i giovani contemporanei sono sempre più internazionali, mobili e curiosi verso altre culture e verso le lingue straniere. Inoltre, è diffusa l’idea che le esperienze internazionali siano un plus, sia a livello professionale che personale. A conferma di ciò, negli ultimi dieci anni più di 3 milioni di giovani europei hanno partecipato al progetto Erasmus, che consiste in un periodo di studio da 3 a 12 mesi in un altro Paese europeo, incrementando scambi e conoscenza tra culture e persone diverse: un ottimo risultato. Infatti, l’obiettivo di un Paese non dovrebbe essere il blocco della mobilità, anzi è un bene che i giovani escano a fare nuove esperienze e a conoscere il mondo, sperimentando e scoprendo tutto quello che li attira.
Il problema è il contrario, quando la mobilità, da opportunità di scoperta e crescita, diventa una forzatura a senso unico senza vere alternative, cioè quando le giovani generazioni vanno via e non ritornano più. Ancora più grave è quando non arrivano altri ragazzi da fuori. Va quindi ricalibrata la visione corrente: la questione non è solo che i nostri giovani vanno altrove, ma soprattutto che l’Italia non è un Paese attraente, sia per i nostri che vanno via, sia per gli stranieri che evidentemente ci ignorano.
Nonostante i luoghi comuni sul seducente fascino del Belpaese, la realtà ci dice il contrario: i giovani italiani vanno in massa in Inghilterra, Germania e Francia, ma gli inglesi, i tedeschi e i francesi non ci pensano neanche a venire da noi, se non per fare le vacanze e mangiare la pasta o il gelato. Quando questo processo, che si somma a quello delle migrazioni interne dal Sud verso il Nord, è fuori controllo, danneggia la comunità di partenza, depauperando soprattutto le regioni italiane meno sviluppate dei suoi giovani più preparati e attivi. Questo fenomeno, storicamente tipico dei Paesi in via di sviluppo, si sta verificando in Italia.
La fuga dei giovani italiani va a inasprire una situazione economica, sociale e culturale già complicata da anni di crisi ripetute. Il problema dell’Italia, quindi, è questo effetto centripeto e di repellenza, che trasforma la “scelta” di andar via in “necessità” di andar via, e che si può sintetizzare in un’espressione dai diversi significati: stai fuori. Si sta fuori per volontà, si sta fuori perché non si hanno alternative, si sta fuori perché si è stanchi dei compromessi al ribasso, si sta fuori per prendere aria perché l’aria dentro è pesante, si sta fuori per dignità. Ogni tanto si sta fuori anche di testa, a forza di sentire tante sciocchezze su temi importanti che cambiano la vita di molti, ma lasciamo stare l’aspetto psichiatrico per il momento.
L’Italia è un Paese che ha un saldo demografico, cioè la differenza tra nuovi nati e morti, negativo da venticinque anni. In Italia ogni anno abbiamo circa 250000 morti in più rispetto ai nuovi nati (Istat). La fuga dei giovani dal nostro Paese va vista dunque nell’ottica di un Paese in deficit demografico, soprattutto al Meridione. Molte delle regioni italiane stanno vivendo una desertificazione sociale e un invecchiamento accelerato, amplificati in loop dalla crescente emigrazione giovanile.
L’emigrazione giovanile contemporanea è un fenomeno complesso, ha una natura multifattoriale ed effetti solo parzialmente prevedibili e quantificabili. Ciò lo rende distante dalle attenzioni del grande pubblico, oltre al fatto che negli ambienti culturali italiani chi ne parla o ne scrive spesso non è né emigrato né giovane, e affronta il tema in maniera distaccata e accademica, molte volte con toni noiosi e vittimistici. Al contrario, questo testo analizzerà il fenomeno partendo dal vissuto in prima persona, con uno sguardo analitico, ma senza la pretesa di essere esaustivo o assoluto nelle conclusioni. Con l’aggiunta di un pizzico di ironia, che non fa mai male. Ve lo racconterò dall’interno, mettendo insieme dati certificati e accessibili a tutti, che riguardano demografia, lavoro giovanile, istruzione e cultura, dando anche spazio a esperienze personali, a volte rocambolesche.
I dati presenti nel testo sono il risultato delle ricerche dei principali istituti ed esperti, e sono di facile verifica per mano di chiunque. Numeri e analisi che riguardano la nostra collettività, ma che sovente sono oggetto di attenzione dei soli tecnici dei vari settori disciplinari. La demografia, il lavoro giovanile, l’emigrazione, l’istruzione sono drammatiche urgenze collettive. Per questo motivo ho deciso di ragionarci su, con l’idea di metterli insieme e guardarli dalla prospettiva di uno che ha lasciato il Belpaese.
05 Novembre 2024 | www.ilfattoquotidiano.it |