In mezzo al petto tuo
Antropologia dei mondi possibili
Alle radici più profonde delle tante logiche della differenza di genere, attraverso un'innovativa interpretazione della cultura contadina. Differenza di genere o specismo della donna? Significati attuali di antiche forme di subdeterminazione culturale.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063045
- Anno: 2009
- Mese: gennaio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 312
- Tag: Antropologia Sociologia Folclore Donna
Questo libro si potrebbe collocare tra gli studi di antropologia interpretativa. È un viaggio straordinario nei significati più profondi e arcaici della cultura contadina e, allo stesso tempo, la proposta di una nuova metodologia di analisi: l’antropologia dei mondi possibili. Emergono, come dissepolte, le grandi questioni della vita, delle origini, della nascita e della riproduzione, della razza di appartenenza, della sessualità, della biologia umana e della «differenza di genere». La novità fondamentale del volume è quella di interpretare per la prima volta i testi contadini che sino ad ora sono stati semplicemente raccolti e inventariati.
Presentazione - Che cosa è questo libro - Quali argomenti esso affronta - Come sono stati studiati gli argomenti - Il significato del titolo - Le intenzioni e le competenze dell’autor - Introduzione – 1. Il campo, il deposito, il testo. Metodologia dei mondi possibili - Un campo delocalizzato - L’incompetenza del campo - Noi e il testo - Interpreti e autori - Antropologia della scelta - Un mondo possibile - Deposizioni - Decostruzione e ricostruzione del test – 2. L’origine del mondo - Ogni mondo è un’origine - La creazione del mondo – 3. Quando nascesti tu... - Mamma non c’era – 4. La volontà del mondo - Una premessa: incidere nel tempo - Consecuzioni: possibilità e realtà 101 – 5. Fare razza - Razza, stirpe, comunità – 6. Il centro eccentrico - Centro eccentrico – 7. Coltelli e coralli - «Tutte all’amore ci vanno a finire» - L’oscenità apparente - Materia sessuale - Il sangue mestruale - La sanguigna affamata - Gocce di corallo - Il sangue della luna - C’era ’na vecchia ’nmezzo a ’na macchia – 8. Sventrare, bucare, battere, rompere... - Ti voglio fare un buco a… - Donne da rompere - La conca e la cottora, l’acqua e il fuoco - Mi duole ma non mi hai fatto mal - Macchiarola: una questione di coltelli - Chirurgia ontologica - Le grida della rana - Ragazze poco serie - I sillogismi della differenza di genere - Mamma mia… - Differenze, sopravvenienze e sussunzioni: il potere della mamma - La realtà oltre la possibilità – 9. Discussione - Il rapsode, il retore e la rete - La ricerca dell’autenticità - La consapevolezza ideologica - Restudies - Raccolte da interpretare - Reduplicazioni - Considerazioni conclusive sulla differenza di genere: sovracompensazione, identità, distinzione - Bibliografia
Mi duole ma non mi hai fatto male
Nel secondo gruppo dell’asse semantico «zinale», nell’intenzione del defloratore non c’è solo la voglia di dare una botta o un calcio, ma anche quella di procurare dolore: «Te vojo fa gridà mamma me dole», oppure «Te vojo fa chiamà mamma me dole». La scena dello sverginamento contempla il dolore come conseguenza di ciò che si rompe, che si sfascia, che si sfonda o che si sventra. È un dolore, cioè un segno e un sintomo ben localizzato: «Mi hai fatto male sotto allo zinale», «Mi fa male dove mi hai fatto male». Si tratta di un dolore fisico connesso con la perdita della verginità.
La situazione è descritta in modo ossimorico: nel testo 1164 si dice «mi duole ma non mi hai fatto male», nel 1244 si dice «mi hai fatto male…» ma «ci voglio riprovare». L’ossimoro, come è noto, consiste nell’accostare parole di significato contrario, ad esempio «mi duole ma non mi hai fatto male». È una particolare forma di antitesi o di antinomia in cui il dolore e il non dolore sono associati in un’unica espressione.
I nostri testi appaiono contraddittori perché affermano e negano il dolore dello sverginamento. Più precisamente, essi propongono un’antinomia in adjecto dipendente dall’essere una proprietà che si attribuisce alla donna sverginata, inconciliabile con essa per un’altra proprietà che le è essenziale e che è affermata dalla sua ontologia materiale. Rompere una donna significa necessariamente farle male. Non vi è dubbio che l’atto della deflorazione, nella realtà, provochi dolore, causato dalla lacerazione dell’imene, ma nella situazione rituale, che vede la madre assistere alla deflorazione, il dolore esiste e non esiste allo stesso tempo.
Anche in questo caso l’antropologia ci spiega che nei rituali di circoncisione e di modificazione dei genitali femminili, il dolore rappresenta addirittura una «necessità» sociale.
Michela Fusaschi sostiene, a questo proposito, che il dolore è un attributo fondamentale delle pratiche di iniziazione al punto che esso non è semplicemente considerato come una conseguenza inevitabile. L’esperienza della deflorazione è un’esperienza del dolore che sottolinea, nella differenza di genere, un cambio di status.
Michela Fusaschi descrive il dolore come una «memoria indicibile», la cui «sopportazione chiama in causa l’onore della famiglia di fronte all’intero gruppo» (2003). Il dolore ha insomma una sua logica.
Quello che appare come una contraddizione, «mi duole ma non mi hai fatto male», è la rappresentazione di una forma di indicibilità (mi hai fatto male ma non posso descriverlo) e soprattutto di sopportabilità, per la semplice ragione che il dolore fa parte dell’ontologia della donna, cioè dell’ordine naturale e sociale della sua materialità.
Rispetto al dolore la donna diventa un «paziente» che deve sopportare la sua condizione di materia dolorosa, ricavandone addirittura delle virtù come la stoicità.
274. Bella ragazza che ce l’avete stretta
la spianatura ’ndove fate il pane
se mo ci rivo io co’ sta mazzetta
te rompo a spianatora e te fo gridare.
La logica del dolore è quella della differenza di genere. Essa spiega una necessità naturale attraverso un’interpretazione sociale.
La donna deve sopportare le conseguenze dell’essere donna. È la deflorata la causa del dolore, non il defloratore. È la sua condizione materiale a causarle dolore. La logica del dolore inverte la logica consueta: non è esatto dire che la donna patisce perché è sverginata, è più corretto dire che deve essere sverginata «per forza», cioè deve essere costruita, compiuta, perfezionata e, pertanto, non può che soffrire. La differenza di genere è quell’operatore logico che traduce un ordine sociale in un ordine naturale.
La differenza di genere deduce l’essere dal fenomeno. La donna materiale, quella che sta nascosta sotto lo zinale, è il riferimento della manifestazione sociale della donna. Questo non vuol dire che il genere si trova dietro la sua vagina, ma che il genere definisce la donna come un fenomeno sociale che non rinvia a un essere distinto dalla sua vagina, essendo, in quanto essere materiale, semplicemente coestensiva con il genere.
La donna che dice «mi duole ma non mi hai fatto male» è essere e fenomeno, è vagina e dolore, è materia e rottura. La causa del dolore non rientra nella spiegazione deterministica della deflorazione, come effetto di una lacerazione, ma si spiega con la condizione materiale e imperfetta della donna, la causa ultima del dolore.
Il dolore (dalle voci latine dolor e doleo) non esprime un «sento male», «mi dolgo», ma «mi sento donna», «sono una vagina», sono «materia dolorosa». La famiglia di significati che ruotano intorno a dolere è costituita da termini quali «spezzare», «scindere», «scoppiare», «lacerare», «spaccarsi», «pendere», «scorticare», «lavorare con l’accetta», «dilaniare». «Dolere» e «dolare» significano entrambi «lavorare con l’accetta» (dolabra, equivale ad accetta, scure).
Nella letteratura antropologica il discorso sulla differenza di genere è spesso accostato al tema dell’identità di genere. Come è noto il concetto di identità è oggi una nozione molto controversa. Ammesso di considerarla come una categoria esplicativa, non vi è dubbio che la logica del dolore diventa un operatore fondamentale ai fini di una eventuale identità femminile.