Intelligenza artificiale per curiosi
Un’intelligenza artificiale può davvero pensare come un essere umano? Quanto sono realmente intelligenti le macchine? Dalle reti neurali a ChatGPT, una guida ai concetti chiave della rivoluzione che stiamo vivendo.
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822069276
- Anno: 2025
- Mese: gennaio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 132
Da sempre fonte di ispirazione per la fantascienza, l’intelligenza artificiale è oggi al centro dell’attenzione per il suo impatto scientifico, applicativo e sociale. In questa guida accessibile e didattica insieme, l’autore esplora i concetti chiave dell’intelligenza artificiale, ripercorrendone l’evoluzione storica e analizzando le tecnologie alla base di questa rivoluzione: dalle reti neurali artificiali ai chatbot e agli assistenti digitali che stanno trasformando le nostre vite. L’obiettivo è demistificare l’argomento e chiarire i meccanismi che consentono alle macchine di “simulare” un comportamento intelligente.
Attraverso metafore intuitive ed esempi calati nel quotidiano, il libro è una lettura ideale per chi è curioso di dare un’occhiata a cosa si cela “dietro le quinte” delle tecnologie che stanno cambiando il mondo.
Prefazione
1. Il gioco dell’imitazione
Come definire l’intelligenza delle macchine
2. Due facce della stessa medaglia
Intelligenza artificiale simbolica e sub-simbolica
3. Sbagliando si impara
Come le macchine apprendono
4. Dal semplice al complesso
Dalla regressione lineare semplice a quella multipla
5. Questione di curve
Dalla regressione lineare a quella non lineare
6. La potenza è nulla senza controllo
Bilanciare la complessità dei modelli
7. Non solo numeri
Come distinguere tra categorie
8. Oltre la superficie
Reti neurali profonde
9. Imparare da autodidatti
Dall’apprendimento supervisionato a quello non supervisionato
10. Indovina cosa manca
Come impara ChatGPT
11. Impara l’arte e mettila da parte
Dalla generazione di testi alle immagini
12. Non è tutto oro quel che luccica
Successi e limiti dell’intelligenza artificiale
La fine del viaggio
Considerazioni finali
Glossario
Linea del tempo
Appendice
Quando il gioco si fa duro
Bibliografia
Ulteriori risorse
Ringraziamenti
1. Il gioco dell’imitazione
Come definire l’intelligenza delle macchine
Se l’obiettivo è costruire macchine “intelligenti”, va da sé che dobbiamo dapprima essere in grado di definire con precisione e rigore formale cos’è l’intelligenza. Sfortunatamente, basta fare un piccolo esperimento e cercare la definizione di tale parola su diversi vocabolari per rendersi conto che una definizione univoca non esiste. Questo sia perché si tratta, evidentemente, di un concetto ambiguo, sfuggente, che non è possibile delineare con precisione, sia perché non esiste neppure un’unica forma di intelligenza, assumendo questa molteplici forme a seconda che si consideri l’intelligenza percettiva, quella sociale oppure ancora quella emotiva.
Il problema di definire l’intelligenza è talmente insormontabile che uno dei padri fondatori dell’informatica, Alan Turing, che fu tra i primi a porsi il quesito se le macchine potessero o meno pensare, aggirò il problema proponendo nel 1950 una definizione operativa di intelligenza artificiale (non la si chiamava ancora così, ma di lì a poco ci si sarebbe arrivati). Stabilì una condizione: una macchina può dirsi intelligente se supera un test, il “gioco dell’imitazione”, oggi noto appunto come test di Turing.
Il test di Turing è molto semplice: esso prevede che una persona che si comporta da “giudice” interagisca, tramite domande e risposte, con un altro essere umano e una macchina, senza vederli. Se, dopo un certo periodo di tempo, il giudice non è in grado di distinguere con certezza l’intelligenza artificiale dall’essere umano, allora si può affermare che la macchina ha superato il test: è stata, cioè, “al gioco” abbastanza a lungo da confondersi con una persona.
Malgrado la sua semplicità, il test di Turing ha costituito per lo più un punto di riferimento storico e filosofico piuttosto che una reale direzione di ricerca. Questo per varie ragioni. La prima, e probabilmente la più importante, è che ci si rese subito conto che lo sviluppo di un sistema in grado di superare il test presupponeva la creazione di un’intelligenza artificiale sufficientemente “forte”, tale da esibire allo stesso tempo diverse proprietà desiderabili: comprensione del linguaggio, conoscenza del mondo, capacità di astrazione e analogia, ecc. Tutte proprietà che, a dispetto delle aspettative e delle promesse iniziali, si rivelarono ben presto davvero difficili da soddisfare.
Poiché questo libro non vuole essere un compendio della storia dell’intelligenza artificiale come disciplina, che si può trovare ottimamente dettagliata altrove e di cui è fornita una semplice linea del tempo in Appendice, è sufficiente dire che si rivelò invece molto più utile e pratico concentrarsi su intelligenze artificiali “deboli”, capaci di svolgere singoli compiti ma in modo efficace. La storia dell’intelligenza artificiale, infatti, è stata attraversata da numerosi cambiamenti “stagionali”, con “estati” di grande entusiasmo intervallate da “inverni” di altrettanto grande delusione (per chi se lo stesse ancora domandando, sì, siamo in piena estate da più di un decennio!).
Un’altra ragione dell’importanza più teorica che pratica del test può essere ricercata nella sua sostanziale incompletezza. Come accennato all’inizio del capitolo, infatti, esistono diverse forme di intelligenza, e una macchina davvero intelligente, fra le altre cose, dovrebbe anche essere in grado di percepire il mondo fisico, manipolarlo e muoversi al suo interno. Per gli amanti del cinema, una formulazione “estesa” del test, che include anche una credibilità fisica ed estetica, è al centro del film di fantascienza Ex Machina: Ava (interpretata da Alicia Vikander) è un’intelligenza artificiale evoluta sottoposta a un test di Turing esteso, ideato dal suo creatore per valutarne non solo l’intelligenza, ma persino la coscienza di sé. L’intelligenza artificiale ha ispirato da sempre il genere fantascienza, ma questo è uno dei pochi film, se non l’unico, in cui si fa esplicita menzione del test.
Nonostante queste limitazioni, il test di Turing ha comunque tracciato una linea di demarcazione fondamentale. Dal momento che l’approccio operativo proposto aggira la necessità di replicare esattamente l’intelligenza naturale umana, concentrandosi invece solo sul comportamento osservabile, la strada più ovvia per implementare macchine intelligenti apparve chiaramente quella di separare la capacità di sembrare intelligenti dal doverlo essere necessariamente. Se ci si sofferma un po’, ci si rende conto di come questo cambio di paradigma sia sconvolgente rispetto a quanto siamo da sempre stati abituati a pensare.
Inoltre, tale separazione conduce a una possibile definizione di intelligenza artificiale che è fra quelle che preferisco usare:
L’intelligenza artificiale è la disciplina che studia le tecniche, i metodi e gli strumenti per simulare, non emulare, l’intelligenza naturale, tipicamente umana.
La differenza fra questi due sinonimi, come spesso accade, è sottile ma sostanziale: diciamo «simulare», e non «emulare», perché noi non siamo in grado di replicare fedelmente come l’intelligenza si origina nel nostro cervello, processo peraltro ancora in gran parte ignoto anche alle neuroscienze. Per di più, anche se fossimo del tutto consci di questi meccanismi, non è neppure detto che replicarli all’interno di circuiti elettronici, anziché di tessuti biologici, possa produrre gli stessi effetti (in altre parole, il corpo biologico potrebbe essere necessario all’intelligenza). Riusciamo tutt’al più a simulare un agire con intelligenza utilizzando metodi propri della disciplina, e cioè, come vedremo, algoritmici e matematici.
È la stessa differenza che corre fra emulare l’esperienza di guida, sedendosi al volante, schiacciando i pedali, e così via, e simulare la stessa esperienza, per esempio, all’interno di un videogioco. La lettrice o il lettore potrà facilmente rendersi conto che non è affatto la stessa cosa, per quanto realistico il simulatore possa essere.
È bene sottolineare inoltre che si tratta di simulare l’intelligenza naturale «tipicamente umana», perché non di rado si è anche cercato di simulare l’intelligenza animale, come quella collettiva emergente dagli stormi di uccelli o dalle colonie di formiche. Per esempio, le formiche sono in grado di risolvere problemi complessi, come la ricerca di cibo, in modo coordinato e decentralizzato, senza alcuna intelligenza “centrale”.
La sfida di simulare l’intelligenza tipicamente umana ha portato alla nascita di diversi approcci all’intelligenza artificiale, ciascuno con la propria filosofia e prospettiva. Tuttavia, per quanto numerosi siano, molti di essi possono essere efficacemente raggruppati in due macrocategorie. Da un lato, si è cercato di codificare il comportamento intelligente attraverso regole ben definite a priori; dall’altro, ci si è focalizzati sull’ottenimento di tali regole direttamente dai dati. Questa distinzione ha dato vita a una storica contrapposizione tra l’intelligenza artificiale cosiddetta simbolica e quella sub-simbolica, che esploreremo più nel dettaglio nel prossimo capitolo.