Le guerre che ti vendono
prefazione di Luciano Canfora
Un libro che analizza il “marketing” di ogni guerra, attraverso testimonianze sul campo, per permettere al lettore di capire i meccanismi all’origine della propaganda sui conflitti bellici.
- Collana: Orwell
- ISBN: 9788822051011
- Anno: 2025
- Mese: aprile
- Formato: 13 x 20 cm
- Pagine: 128
- Tag: Politica Guerra
Analizzando la guerra in Ucraina, Sara Reginella – psicoterapeuta e reporter, che documenta il conflitto dalle sue origini, con quattro spedizioni nell’arco di otto anni – ne scandaglia i diversi piani della manipolazione e della propaganda, mettendo in luce come il modus operandi connesso alla genesi e all’incedere drammatico dello scontro russo-ucraino sia generalizzabile anche ad altri conflitti.
Fornendo al lettore strumenti utili per l’identificazione dei meccanismi all’origine degli scontri bellici, l’autrice analizza rodati modelli di ingerenza politica, svela metodi e strategie psicologiche proprie del “marketing della guerra” e offre antidoti di resistenza alla disinformazione che sottende ogni propaganda bellica.
Per tutti quelli che desiderano comprendere i meccanismi nascosti di manipolazione mediatica connessi al “marketing” di ogni guerra.
Perché “Orwell”
di Luciano Canfora
Capitolo primo
Io ti salverò
Capitolo secondo
Cavalli di Troia e guerre culturali
Capitolo terzo
Marketing di guerra
Capitolo quarto
Lo Stato di Oceania
Conclusioni
La gogna, il gregge, l’antidoto
Perché “Orwell”
di Luciano Canfora
È andata in frantumi dopo tre anni una quinta
teatrale: quella della guerra santa contro lo “zar”. Lo
constatiamo, mentre scriviamo (marzo 2025) questa
breve nota introduttiva al libro-testimonianza di Sara
Reginella, che qui presentiamo.
Il libro documenta, con oggettività, gli effetti diseducativi
della manipolazione della verità, di cui la
guerra civile in Donbass, iniziatasi almeno nel 2014, è
stata oggetto monografico dell’orchestra giornalistica.
Unica eccezione una sperduta pagina del Corriere della
Sera (23 agosto 2024, p. 5) che titolava: “Questa guerra
dura dal 2014”.
Si è verificato, tra febbraio e marzo, un disvelamento
quasi istantaneo, ma non imprevisto, della realtà effettuale.
Ed è giunta al capolinea la devastante menzogna
della guerra santa, dell’incombente arrivo dei cosacchi
(non più in piazza San Pietro come si farneticava nel
1948, ma a Lisbona, in omaggio forse all’Unione Europea),
dell’Europa in pericolo, ecc.
L’affossamento della retorica corruttrice l’ha compiuto,
in pochi minuti, il Presidente della di norma idolatrata
«più grande democrazia del mondo». Per l’orchestra è stata una tragedia.
Nei giornali biologicamente e geneticamente
atlantisti sono apparsi titoli quali ad esempio
(in tono di aspra denunzia): “La Lega si allinea con gli
USA”. Simpatico revival di titoli de l’Unità anni ’50: “De
Gasperi si allinea con gli USA”. Ma forse si è trattato
dell’effetto Alberto Sordi (Tutti a casa): «I tedeschi si
sono alleati con gli americani e ci sparano addosso».
Su un piano più “meditativo” si è venuto profilando
ciò che potremmo chiamare il ritorno di Ezio Maria
Gray. Ci riferiamo allo scritto di lui, artefice della propaganda
prima e dopo l’8 settembre, intitolato Il fascismo
e l’Europa (anno XXI-1943), la cui tesi centrale
è che l’Europa ha due principali nemici, la Russia e
l’America. Era un testo quasi ufficiale, stampato dalla
Tipografia della Camera dei Fasci e delle Corporazioni,
che sin dalle prime pagine poneva in chiaro che «è
doveroso riconoscere nel Duce, con precedenza assoluta
su qualunque altro, il divinatore, l’annunziatore
e il difensore della causa dell’ordine e della libertà del
nostro Continente» (p. 7). La tesi non era nuova: l’aveva
anticipata nel 1930 Giorgio Pini, redattore capo
del Popolo d’Italia, nel volumetto La civiltà di Mussolini
fra l’Oriente e l’Occidente, non privo di spunti e certo
più colto del tonitruante pamphlet del Gray.
Avranno bisogno di tempo per riaggiustare il tiro. Per
ora sperano che si tratti soltanto di un brutto sogno, che
passerà, e i trombettieri potranno riprendere il loro abituale
ruolo. Magari confidano nell’asse Starmer-von derLeyen.