La ricerca della felicità
Dall'età dell'oro ai giorni nostri
saggio introduttivo di Luciano Canfora
La felicità, aspirazione perenne per individui e società di ogni tempo, viene qui presentata come oggetto di una ricerca tanto spasmodica quanto illusoria. Un viaggio che parte nella più remota Antichità per giungere ai giorni nostri.
- Collana: Storia e civiltà
- ISBN: 9788822005717
- Anno: 2010
- Mese: ottobre
- Formato: 14,5 x 21,5 cm
- Pagine: 376
- Tag: Storia Psicologia Utopia Felicità
L’età dell’oro, epoca fuori dal tempo e dalla storia, ritrae la felicità perfetta, la beatitudine di uomini e donne che hanno tutto ciò che vogliono. Al pari dell’equivalente sacro del paradiso terrestre, si tratta di un mito antichissimo ma costantemente attualizzato, un sogno che accompagna fedelmente l’uomo, un’utopia che assume forme e contenuti diversi a seconda dei contesti, ma che si scontra fatalmente con la dura e imperfetta realtà. Malgrado le magnanime speranze ogni volta riposte, quella della ricerca della felicità è la storia di uno scacco, di un inseguimento che non ha mai fine, di una corsa generosa verso un obiettivo privo di una vera consistenza. Da Esiodo ai filosofi antichi, dal pessimismo medievale all’ottimismo del Rinascimento, dagli auspici della Rivoluzione francese alla concezione borghese della felicità, dalle utopie ideologiche del XX secolo fino alle moderne conquiste della scienza e della tecnica, si snoda un itinerario di vertiginosi alti e bassi, di generose impennate e di rovinose cadute. L’umanissimo desiderio di ricercare la felicità, evolvendosi nello spazio e nel tempo, ci aiuta a comprendere l’uomo e la sua storia.
Saggio introduttivo di Luciano Canfora - La felicità degli antichi - ... E la felicità dei moderni - 1. In origine era la felicità. Nascita del mito dell’età dell’oro - Esiodo, padre dell’età dell’oro - L’età dell’oro secondo Seneca - La felicità biblica: una visione pessimistica - Adamo ed Eva erano felici? - L’età dell’oro: il senso di un mito - «Ricco come Creso»: Solone e la felicità - I presocratici: la felicità è secondaria - Democrito: per essere felici dobbiamo essere ciechi - 2. La ricerca della felicità nel mondo antico - Il vicolo cieco della filosofia - Socrate: «Come potremo ottenere la felicità?» - Platone: la felicità attraverso la virtù obbligatoria - Aristotele: la felicità del saggio prospero e in buona salute - Fine del IV secolo a.C.: è aperta la caccia alla felicità - Epicuro, o la felicità austera - Carpe diem: lo scacco dell’epicureismo volontarista - La felicità stoica di Epitteto e di Marco Aurelio - Il vicolo cieco stoico per la felicità: Seneca - 3. Il Medioevo. Mille anni di felicità proibita - Le Beatitudini, ovvero la felicità attraverso l’infelicità - Sant’Agostino: «La felicità è inaccessibile in questa vita» - San Tommaso d’Aquino e la felicità imperfetta - La felicità nella fuga: il monastero e il millennio - Miraggi: le isole Fortunate e il regno del Prete Gianni - La rivendicazione di una felicità sensuale: Da Il romanzo della rosa a Il paradiso della regina Sibill - I sogni di felicità: la poesia bucolica e il carnevale - 4. Il ritorno dell’età dell’oro - Il Rinascimento della felicità mitica (XVI secolo) - Il tema centrale del Rinascimento - 1468: «Le tems revient», un tema per le feste di corte - Un tema nostalgico - La felicità in Utopia? - La felicità in America? - Gli umanisti e l’impossibile sintesi tra il Carpe diem e le Beatitudini - Protestanti e cattolici: la santa alleanza contro la felicità - Montaigne: per essere felici dobbiamo vivere con consapevolezza - 5. Il Grand Siècle. Dall’età dell’oro all’età del ferro - Un cupo XVII secolo - Descartes: la felicità nella «stufa» - Hobbes, il distruttore di miti: la felicità, l’uomo selvaggio e l’età dell’oro - La Rochefoucauld e Pascal: la felicità, ovvero la grande illusione - Teologia della felicità impossibile - Una prima riabilitazione della felicità: Malebranche e Fénelon - Locke e Shaftesbury: gli araldi inglesi della ricerca di una felicità illuminata - 6. Il XVIII secolo, o il culto della felicità - Una nuova religione - Il nuovo Eden edonista e il suo gran sacerdote, Casanova - Individui e popoli felici: da Madame de Choiseul a Tahiti - Non esistono selvaggi felici - La felicità, una questione di fisica - Alla felicità dei poveri - La felicità tranquilla e i suoi tranelli - 7. La felicità dei Lumi. Un’idea rivoluzionaria? - La ricerca della formula matematica della felicità - 1776: il perseguimento della felicità diventa un diritto inalienabile - La felicità all’ordine del giorno nella Rivoluzione francese - «È per essere felici che i sanculotti hanno fatto la rivoluzione» (Hébert) - 8. Il XIX secolo. La felicità borghese, denigrata e desiderata - L’età dell’oro, dritto avanti! - La massima felicità per il maggior numero di persone: l’utilitarismo - Il sogno americano: età dell’oro o del «placcato oro»? - Le fallimentari esperienze di comunità felici - Le promesse rivoluzionarie - Il coro dei filosofi: la felicità? Una chimera - La felicità dell’ultimo uomo - Il coro dei romanzieri: la felicità? Una storia di folli - 9. XX-XXI secolo: il mito dell’età dell’oro al capolinea? - I falliti tentativi del comunismo di dare la felicità - La rinuncia degli utopisti - A Ovest: lo Stato liberale e la felicità - La felicità in un’equazione: un errore di calcolo - La disaffezione degli intellettuali (1900-1980) - Freud, o la felicità impossibile - La felicità è sul Larzac - Lo psicologo: la felicità come obbligo morale - Il fascino della felicità all’orientale - Il biologo: la felicità è nel gene - Per farla finita con la felicità - Conclusione - Indice dei nomi
Conclusione
L’età dell’oro non è alle viste; all’orizzonte si addensano semmai grosse nuvole nere: un riscaldamento climatico responsabile di cataclismi meteorologici, un inquinamento generalizzato, una penuria di materie prime e di fonti di energia come pure di acqua potabile, fattore di conflitti, carestie e inflazione, un terrorismo endemico che provoca il caos, un’esacerbata competizione internazionale tra l’Occidente e l’Estremo Oriente, nuove pandemie incontrollabili, un tenore di vita globale in calo, una diretta minaccia di fame che incombe su un miliardo di uomini e di donne, una crisi finanziaria e un’economia in perdurante recessione… Perfino gli ottimisti preferiscono tacere. Scrive Pollack: «Per la prima volta in tremila anni di civiltà occidentale presa nella sua interezza […] non c’è praticamente alcuna immagine costruttiva e generalmente accettata del futuro.
[…] Il nostro secolo ha perso la capacità di correggersi e di rinnovare per tempo le immagini del futuro». Benvenuta la nuova generazione, il coraggio sia con voi!
Ma consolatevi guardando indietro: neppure l’età dell’oro c’è mai stata. Essa è esistita soltanto nei quadri dei pittori e nell’immaginazione dei poeti. Tutti i luoghi e i miti della felicità si sono dileguati l’uno dopo l’altro. Ciò non ci impedisce di essere qui, sette miliardi di insetti su una Terra in pericolo, e di continuare a riprodurci come se nulla fosse. A dispetto di tutte le sciagure, l’uomo persiste a dare la caccia alla felicità. Una caccia infernale, ridicola e interminabile di una condizione che nessuno è ancora riuscito a definire, ma di cui tutti parlano. La felicità ha assunto, nel corso dei secoli, forme e contenuti svariati, ma l’idea in sé di felicità non è mai scomparsa, a dispetto di una realtà quasi sempre fosca. Questa ostinazione a credere in qualcosa che non si raggiunge mai fa parte dell’istinto vitale, che spinge l’essere cosciente a voler essere sempre di più, e quindi a eliminare tutto ciò che minaccia l’integrità dello stesso essere. La felicità non ha un contenuto intrinseco, non è altro che l’immagine capovolta dei mali del tempo, motivo per cui cambia con il succedersi delle epoche. È l’abbondanza in periodi di penuria, la pace in tempi di guerra, la libertà sotto i regimi autoritari, l’uguaglianza nelle società non egualitarie – ovvero quasi sempre –, la permanenza quando la storia accelera e tutto diventa effimero. La felicità non è mai attingibile perché è sempre sull’altro lato della medaglia, il lato luminoso, l’inverso del reale. E quando il reale è rifiutato in blocco e la vita terrena nel suo insieme è giudicata cattiva, come nel Medioevo, la felicità non può che concepirsi in un altro mondo. Per contro, allorché la vita terrena è complessivamente accettata, la felicità risiede nelle modifiche di dettaglio, nella sostituzione dei mali che ci affliggono con il loro contrario.
Nei periodi favorevoli, il problema della felicità passa in secondo piano, come durante i Trenta Gloriosi. Viceversa, nei tempi grami l’attrazione per la felicità si rafforza, fioriscono trattati e metodi di vita felice, alla stregua di anticorpi in un organismo aggredito.
Il discorso sulla felicità è una sorta di antidoto contro le difficoltà del tempo. L’atteggiamento umoristico della nostra epoca è un camuffamento del male di vivere generato dalla perdita di senso dell’esistenza. Nel buio cantiamo per farci coraggio e interpretiamo la parte degli spensierati quando abbiamo smarrito i punti di riferimento.
Più le cose vanno male, più abbiamo bisogno di recitare la commedia della vita felice. All’annuncio di ciò che ci attende, andiamo subito a tuffarci nella felicità…
Il desiderio di credere alla felicità nella nostra epoca è talmente forte che non mi si perdonerebbe di concludere una storia dell’età dell’oro con toni pessimistici. Chissà anzi se riuscirei a pubblicarla: Cassandra non ha mai riscosso successo. Perfino da un’opera di storia ci si aspetta un epilogo ottimista, lo si esige. Senza arrivare a tanto, mi accontenterò di un bilancio neutrale. Si dirà che per uno storico questo è il minimo. Ricordo allora che il mio obiettivo non era quello di raccontare come si ottiene la felicità, bensì come gli europei, attraverso le varie epoche, hanno dato forma alla ricerca, al perseguimento di questa felicità, di questa età dell’oro tanto concupita.
Ciò che più sorprende è che essi non sono mai giunti a una definizione unanime di vita felice, che rimane una nozione esclusivamente privata, individuale, soggettiva. Gli Stati e gli organismi collettivi privati possono promuovere un certo benessere sociale, ma non la felicità, che resta di competenza individuale. La parola designa un essere e un sentirsi improntati all’armonia, un equilibrato e totale integrarsi nell’ambiente in cui si vive. È tutta una questione di integrazione della coscienza individuale nel suo contesto, un problema di rapporti, di adattamento. Ecco perché è teoricamente possibile trovare la felicità in quasi ogni circostanza. Ma ciò non dipende affatto da una libera decisione. Una molteplicità di fattori materiali, fisici, biologici, psichici entra in gioco, determinandoci a nostra insaputa, al livello di ogni atto, parola, pensiero.
All’uomo non piace sentirsi dire che è determinato; vuole credersi libero e fa finta di esserlo.
La felicità ha due dimensioni: una psicologica e una collettiva.
In quanto condizione psicologica, essa dipende più da fattori privati che da fattori collettivi, ma la vita privata dipende in larga misura dai modelli diffusi dalla società. L’individuo, per sentirsi felice, deve avere coscienza di essere in accordo con le norme fissate dal gruppo. È quest’ultimo che crea e impone il modello di felicità, fin negli aspetti più intimi. E a meno di essere totalmente indifferente al suo contesto, l’uomo prova infelicità se non arriva a coincidere con il modello di felicità circostante. Per questo motivo ci sono, in proporzione, più persone «felici» quando il modello è poco esigente, come nelle società tradizionali, dove si insegna ad accontentarsi di poco. L’altissima percentuale di persone che si dichiarano felici negli odierni sondaggi ha molto a che fare con un malinteso, con la volontà di nascondere i problemi personali in una società che esige leggerezza, senso dell’umorismo, spensieratezza, ottimismo e che ostracizza le persone tristi. Le risposte alla domanda generale «Ti ritieni felice?» e alle inchieste centrate su aspetti più specifici dello stato d’animo degli individui, su prospettive a breve e a medio termine, sono peraltro contraddittorie. Si è felici in blocco e infelici nel dettaglio: questa è la fotografia del momento attuale.
La storia della felicità è in effetti la storia dei modelli umani elaborati dalle società. Tali modelli si evolvono in funzione del contesto culturale, il quale si caratterizza oggi per la perdita di punti di riferimento, per l’assenza di prospettive a lungo termine, per il cambiamento permanente, per la svalutazione della ragione e per l’influenza del consumerismo; il modello dell’uomo felice è dunque il consumatore che vive giorno per giorno, si adatta facilmente, segue tutte le mode e possiede tutti i gadget indispensabili, pur non prendendoli troppo sul serio. Dobbiamo rallegrarci nel constatare che l’87 per cento degli europei si reputa all’altezza di questo ideale?
07 novembre 2010 | La Gazzetta del Mezzogiorno |
06 novembre 2010 | Secolo d'Italia |