Storia del mal di vivere
Dalla malinconia alla depressione
La nostra società rifiuta i pessimisti, i depressi, gli angosciati. Il mal di vivere è quindi una malattia dei tempi moderni che bisogna curare a colpi di antidepressivi? Oppure, come ci hanno insegnato i grandi malinconici della storia, il mal di vivere è la sola ragione di vita, in quanto segno del progresso del pensiero e della coscienza? La grandezza dell'uomo, in fondo, sta anche nelle sue ferite.
- Collana: Storia e civiltà
- ISBN: 9788822005618
- Anno: 2005
- Mese: novembre
- Formato: 14,5 x 21,5 cm
- Pagine: 352
- Note: rilegato, con sovraccoperta
- Tag: Storia Psicologia Depressione
Il «mal di vivere» risale al XVIII secolo, ma il malessere che designa esiste da quando l'uomo cerca di dare un senso alla sua esistenza. Già nell'Antichità i medici descrivevano pazienti colpiti da sindromi depressive e proponevano rimedi a base di piante per guarirli. I filosofi si interrogavano sull'ambivalenza di queste "affezioni dell'anima", caratterizzate da stanchezza, accidia, malinconia, noia, inquietudine, spleen, nichilismo, nausea, angoscia, depressione. Il mal di vivere ha preso forme diverse nel corso dei secoli, tutte sempre legate al malessere della condizione umana. Da Lucrezio a Schopenhauer, numerose menti illuminate hanno analizzato la malinconia e molti vi hanno visto il temperamento per eccellenza dei grandi uomini. Da Eschilo a Cioran passando per Shakespeare, il mal di vivere ha ispirato i più grandi autori della cultura occidentale. Dall'impossibile rivolta di Prometeo contro il destino, all'angoscia dell'uomo contemporaneo che affronta le trappole della libertà, questo libro svela come il mal di vivere sia il pegno da pagare per i progressi della civiltà.
1. In principio era la fatica di vivere - «Vanità delle vanità…» - La spiegazione filosofica: il pessimismo greco - La spiegazione medica: la bile nera - La malinconia, il temperamento dei grandi uomini - Lucrezio e Seneca, testimoni del mal di vivere romano - Il taedium vitae come ragione legittima di suicidio - La malinconia come tara psicologica e morale - 2. La demonizzazione del mal di vivere: l'acedia medievale - Nascita dell'accidia negli ambienti eremitici (Sant'Evagrio Pontico e San Giovanni Cassiano) - L'accidia: la depressione dei monaci (alto Medioevo) - Il vizio malinconico - Una riabilitazione relativa - Il peccato di accidia, mal d i vivere colpevolizzante - Tristitia e desperatio, fattori di suicidio fra il clero - Le autorità spirituali e il suicidio - Ambiguità della disperazione cristiana - 3. Il secolo della malinconia (1480-1630) - Umanesimo e individualismo come fattori di inquietudine - Sotto il segno di Crono - Marsilio Ficino e Cornelio Agrippa: la riabilitazione della malinconia - La moda della malinconia, dall'Italia all'Inghilterra - Le spiegazioni mediche - I teologi contro la malinconia diabolica - Recrudescenza dei suicidi - 4. Da Dürer a Burton: ritratto e anatomia della malinconia - 1514: Melancholia I - Michelangelo, Holbein e Montaigne: tre volti della malinconia - Timothie Bright e il Della melanconia (1586) - Robert Burton, un depresso nel XVII secolo - Le cause - Le cure - 5. Pessimismo cristiano e nascita della noia nel secolo XVII - La tristezza del Grand Siècle - Il pessimismo giansenista - Una spiritualità morbosa - Noia e spirito classico - 6. L'inquietudine degli Illuministi - L'inquietudine come spinta ad agire - Dell'inquietudine viscerale - Cause e rimedi - La malinconia, dal disprezzo alla rinascita - Il dolore di esistere - Il pessimismo dell'Illuminismo - Essere felici: un'ossessione degli infelici - La felicità: una chimera? - La malinconia suicida - Il caso francese - Luigi XV il depresso e Voltaire l'inquieto - La noia al femminile - Boswell e Johnson: il dialogo di due depressi - L'internazionale della malinconia - 7. Il male del secolo romantico: dal furore di vivere - allo spleen (XIX secolo) - La noia dei giovani - Esitazioni e contraddizioni di fronte alla morte - I romantici e l'analisi del malessere - Le varianti nazionali del malessere - La generazione maledetta - Diversità dello spleen: Baudelaire, Wilde, Berlioz, Tolstoj e Poe - 8. I sistemi della disperazione: il nichilismo del XIX secolo - Schopenhauer fra noia e sofferenza - Hartmann, Stirner, Keller, Twain: le varietà della disperazione - Kierkegaard e la psicologia dell'angoscia - Il nichilismo - Dostoevskij e Maupassant: «A che pro?» - L'ultima rivolta: Nietzsche - Dalla derisione alla nevrastenia - Lo sviluppo del suicidio - La spiegazione sociologica: Durkheim (1897) - Mal di vivere e modernità - 9. Una cultura del mal di vivere: modernità e ansia nel XX secolo - Espressioni artistiche e letterarie del mal di vivere - La noia, radice del male moderno - Nausea e angoscia dell'esistenzialismo - «La catastrofe della nascita» (Cioran) - Il malessere rivelato (diari e autobiografie) - Il malessere esplorato dalla psicanalisi - Un contesto socioculturale favorevole al mal di vivere - 10. L'èra della depressione - La depressione: situazione attuale - Le spiegazioni: un fenomeno sconcertante - Una lucidità creatrice che disturba la società edonistica - Mal di vivere e comportamenti a rischio - Il mal di vivere troppo vecchio e troppo malato - Suicidio e depressione: due diverse forme del mal di vivere - Conclusione - Indice dei nomi
Capitolo primo
In principio era la fatica di vivere
Un Egizio, all’alba della civiltà di quattromila anni fa, disgustato dallo spettacolo del mondo, scrive le sue riflessioni sotto forma di dialogo della sua anima. Le sue parole superano i confini del tempo:
La mia anima si affanna inutilmente a cercare di persuadere un infelice a restare in vita e a impedirmi di raggiungere la morte prima del dovuto. Mostrami piuttosto quanto è bello il tramonto! È forse così terribile? La vita ha una durata limitata: persino gli alberi finiscono per cadere. Potrebbero sparire i mali, ma non la mia infelicità. Colui che miete uomini mi porterà via comunque, senza riguardo, magari insieme a un criminale qualunque, dicendo: «Ti porto via, poiché il tuo destino è di morire, anche se il tuo nome continuerà a vivere…» (papiro Berlino 3024).
Questo testo, conosciuto con il titolo Ode del disperato, lunga litania di uno scriba anonimo che aspira alla propria morte, è la più antica espressione individuale del mal di vivere che ci sia stata trasmessa:
La morte è oggi davanti a me
come la salute per l’infermo
Come uscire fuori da una malattia.
La morte è oggi davanti a me
Come l’odore della mirra
Come sedersi sotto la vela in un giorno di vento.
La morte è oggi dinanzi a me
Come il profumo del loto
Come sedersi sull’orlo dell’ebbrezza.
La morte è oggi dinanzi a me
Come la fine della pioggia
Come un uomo che ritorna a casa dopo una campagna oltremare.
La morte è oggi dinanzi a me
Come quando il cielo si rasserena
Come il desiderio che è in un uomo di rivedere la propria casa
dopo innumerevoli anni di prigionia.
Questo Amleto del Medio Regno non è un caso unico di quell’epoca. Papiri e geroglifici testimoniano che i disperati si suicidavano nella valle del Nilo: alcuni si gettavano in pasto ai coccodrilli, altri si lasciavano annegare, altri ancora si sferravano un colpo d’ascia o di spada.
Soffrire, invecchiare, morire, per cosa poi? Le prime manifestazioni del mal di vivere derivano dall’esperienza delle difficoltà dell’esistenza e ne conserviamo numerose testimonianze nell’antico Vicino Oriente. Ad Akkad, l’antica Mesopotamia, alcune tavolette rinvenute fanno eco al tedio dello scriba egizio, come il Dialogo pessimista fra il padrone e il suo servitore4, colmo di osservazioni disincantate e il Dialogo sulla miseria umana, che stigmatizza l’ingiustizia universale: «La folla loda la parola di un uomo preminente, esperto in crimini, ma avvilisce l’essere umile che non ha commesso violenza alcuna. Il malfattore è giustificato, mentre il giusto viene cacciato. Il bandito riceve l’oro, il debole rimane affamato. La potenza del cattivo viene fortificata ancora di più, mentre l’invalido, il debole, viene schiacciato».
Amara constatazione che porta a una visione dell’esistenza ben diversa dalle confortanti rassicurazioni fornite dalla saggezza tradizionale. Questa giustizia immanente è una menzogna, ripetono i testi di saggezza babilonese: sono i più furbi a prosperare, non i più virtuosi. L’uomo che riflette non può che essere pessimista. Persino l’eroe Gilgamesh fallisce nella sua ricerca della «pianta della vita», che gli avrebbe permesso di sfuggire al dolore, alla vecchiaia e alla morte.
Il male è ovunque e già se ne cercano le cause. I miti babilonesi attribuiscono le sofferenze dell’umanità a divinità misteriose. La vita d’oltretomba, negli inferi, non sarà migliore6. Davanti a simili prospettive, come stupirsi del fatto che i Babilonesi abbiano sofferto di disturbi che ricordano la nostra depressione ansiosa? Un sacerdote descrive così la condizione di un penitente: «Malattia, languore, indebolimento, sofferenza si sono impadroniti di lui. Lamenti e sospiri, oppressione, angoscia, paura, tremore si sono impossessati – straziandoli – dei suoi desideri».
Presso i Persiani la stessa amarezza trapela dalla lettura di Erodoto, che riporta queste parole di Artaban in un dialogo con Serse, il quale, mostrandogli le sue armate, afferma: «Fra un secolo nessuno di quegli uomini sarà vivo». Artaban risponde: «E non v’è nessuno che non abbia desiderato, un giorno o l’altro, morire tanto i mali della vita prevalgono sui beni»8. Erodoto narra che per i Trausi la nascita era un’occasione di lutto e di tristezza e la morte un’occasione di tripudio: «Seduti intorno al neonato, i parenti piangono, deplorando tutti i mali che egli dovrà soffrire una volta nato, enumerando tutte le miserie umane; e invece lieti e scherzando seppelliscono chi è morto dicendo come spiegazione che, liberato da tanti mali, egli è in completa felicità».