Il fascismo non è mai morto - copia autografata
COPIA AUTOGRAFATA
Il fascismo è davvero morto 79 anni fa? È una questione solo italiana? Luciano Canfora ci mostra la realtà dei fatti seguendo la cronaca degli ultimi settant’anni.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063502
- Anno: 2024
- Mese: gennaio
- Formato: 13 x 20 cm
- Pagine: 96
E basterebbe del resto la cronaca del settantennio che abbiamo alle spalle per convincersi della vacuità di una tale teoria.
Lo riprova inoltre quotidianamente la cronaca, che certo non ci rallegra: tanto più che - come un secolo fa - non si tratta di una questione solo italiana.
Del resto, tutte le principali forze politiche del Novecento, dai cattolici ai neoliberali, passando per i socialisti, vivono, uguali e diverse, e variamente denominate, nel nuovo secolo. La partita, a quanto pare, è ancora aperta.
Per entrare in argomento
Capitolo primo
Il nòcciolo
Capitolo secondo
I tre volti del fascismo
Capitolo terzo
Sfogliamo l’Atlante
Capitolo quarto
Il “caso” tedesco
Capitolo quinto
Parabola mussoliniana
Capitolo sesto
«Cassius»
Capitolo settimo
Quesiti elementari
Capitolo ottavo
Neofascisti, fascisti e fascisti «atlantici»
Capitolo nono
Conclusioni
Appendice
Indice dei nomi
Per entrare in argomento
«Questa spazzatura non piace a noi nazisti»: così si esprime a proposito degli ebrei il ministro dell’Economia del neo-atlantico governo finlandese, Wille Rydman («Corriere della Sera», 31 luglio 2023, p. 13).
Effettivamente la Finlandia era da poco entrata nella famiglia della Nato tra fanfare e singulti di giubilo, quando, il 20 giugno scorso, è sorto il nuovo governo, compattamente di destra. Pilastro del nuovo esecutivo è il partito ultras dei “Veri Finlandesi” (si chiama così), di cui il trentasettenne Rydman è autorevole esponente.
Altri due ministri, anch’essi afferenti ai “Veri Finlandesi”, si erano illustrati in sortite analoghe ed erano stati pudicamente pregati di dimettersi.
Rydman, che ha un orizzonte mentale vasto, si esprime “a tutto campo”: per esempio, parla dei cittadini del Medio Oriente come di “scimmie”. Non è del tutto originale in questo conato di pensiero: già il ministro leghista dell’attuale governo italiano Roberto Calderoli aveva, anni addietro, definito la deputatessa Cécile Kyenge, di origine africana, un «orango». Lessico povero, idee primitive.
Il 7 luglio 2023 (p. 15) il «Corriere della Sera» informava i lettori del “boom elettorale” di Alternative für Deutschland in elezioni locali tedesche. E definiva quel partito: «xenofobo, antisemita e vincente».
Nell’edizione romana dello stesso giornale (29 luglio, p. 5) appariva una figura (assente da altre cronache e dai quotidiani a tiratura nazionale): “Miss Hitler”. La quale, insieme ad «altri nazisti» rischierebbe, a quanto si vocifera, un processo a causa dei loro «deliri antisemiti» sui social. Certo, la Finlandia è più avanti.
Ancora il «Corriere della Sera», che non trascura l’informazione, rese noto il 25 maggio 2022, a proposito del fondatore dell’ucraino “battaglione Azov”, che «le tracce del suo passato sono state cancellate dal Web»: si trattava – precisava il giornale – del suo «neonazismo» (p. 9).
Il battaglione atlantico (Letta-Gasparri-Tajani) aveva fatto del battaglione Azov una bandiera. Si intende: del «mondo libero» (la gag è tornata di moda).
E il 6 luglio 2023 il sempre vigile corrispondente dal fronte per il «Corriere», Lorenzo Cremonesi, apriva con le seguenti parole una breve corrispondenza da Kiev: «Era inevitabile che la guerra riportasse alla ribalta i gruppi più estremisti della destra nazionalista ucraina». E soggiungeva: «che adesso si coniuga con il malcontento dei reduci» (p. 14).
E raccontava, lamentando di avere informazioni confuse, un episodio avvenuto il giorno prima: attivisti di estrema destra avevano fatto esplodere bombe nel tribunale della capitale per boicottare il processo ad un personaggio illustratosi nell’«assalto al Parlamento» nel 2015. Insomma un clima da Esprit des Lois. E vista la familiarità di costoro col fuoco come mezzo di comunicazione politica, segnaliamo il gesto compiuto lo scorso 12 dicembre dal deputato della destra polacca Braun: armato di estintore, egli ha spento la Menorah ebraica accesa nei corridoi del Parlamento di Varsavia additandola come simbolo «satanico».
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È ben noto che la categoria di “fascismo” può essere dilatata a dismisura fino a coincidere con un’altra categoria onnivora (“totalitarismo”), cioè fino a non significare più nulla. Non è superfluo addurre esempi di tale vano modo di procedere. Il più sintomatico, nella sua serena fatuità, è forse quello di Waller R. Newell (classe 1952, docente di Scienze politiche a Ottawa) il quale, nel suo molto strombettato Tyrants prontamente tradotto in Italia (2016) fornisce il seguente elenco di fascismi: «Tutti i nazisti e i bolscevichi erano fascisti (sic)»; e poi propina anche una manciata di nomi: «Salazar, Somoza, tutti i nazionalisti arabi, Mubarak, Assad, l’Unione Sovietica» (p. 303).
Il tutto è beninteso farcito nella accogliente categoria dei “tiranni”. E, a questo punto, il lettore scopre che si tratta di una galleria immensa: Gerone di Siracusa, Francisco Franco, Alessandro Magno, Napoleone, Luigi XIV, Kemal Atatürk, Cesare, tutti i Tudor (pp. 15-17). Se non abbiamo visto male manca la finta nonna di Cappuccetto rosso.
Non riusciamo a tener dietro a questa pirotecnica carrellata: la “lista” di Leporello che cataloga le avventure di Don Giovanni è ben più breve e più asciutta.
Frutto della dominante cultura anglosassone, questo libro si liquida da sé medesimo. Noi però ne trarremo spunto (e perciò lo abbiamo dissotterrato) al solo fine di rendere meglio chiaro che si può seguire una strada del tutto diversa.
Giova studiare in particolare uno specifico fenomeno storico. Nel caso che qui interessa si tratta del fascismo. Lo si può fare se si ha consapevolezza che esso ebbe specifiche radici e una vicenda sua peculiare, ma, al tempo stesso, anche una larga irradiazione, sorretta da un crescente (per oltre un decennio) favore internazionale. Attrasse nella propria orbita altri movimenti che, nei loro Paesi, avevano pur essi radici proprie.
E, ben oltre il suo crollo politico e militare, ha continuato a innervare un dibattito storiografico, e soprattutto politico, talmente vivo da renderlo, a sua volta, parte della realtà politica: nella seconda metà del Novecento e oltre. Non è uscito di scena. Come è normale per un movimento sconfitto, ha operato dietro la scena.
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Torniamo alla vicenda italiana: crisi, agonia e fine della Repubblica creata dai partiti che con essa perirono. È una vicenda a suo modo lineare: ha inizio con la loro collaborazione nonostante le forti (allora) differenze culturali e ideali e termina quando quelle differenze si erano di molto attenuate e si profilava una forma di rinnovata collaborazione. Fu stroncata con la liquidazione di Aldo Moro.
Seguirono gli anni della lunga agonia fino all’autoscioglimento di quei partiti.
Le forze esterne che vietavano il riproporsi della collaborazione partitica «resistenziale» disponevano di un “braccio armato”. Tale fu il terrorismo: quello di destra (“nero”) praticava le stragi indiscriminate (da piazza Fontana a Milano nel 1969 alla stazione di Bologna nel 1980, passando per piazza della Loggia a Brescia e l’attentato all’Italicus nel 1974, ecc.), quello sedicente di sinistra (Brigate rosse) puntava su bersagli individuali.
Nella liquidazione di Moro i sedicenti “rossi” furono la manovalanza, mentre la Loggia P2 in stretta collaborazione con i “servizi” USA e i nostri “servizi deviati” faceva fallire la liberazione dell’ostaggio.
Il PCI condannò e combatté i sedicenti “rossi”. Il Movimento Sociale Italiano (MSI) non ruppe mai esplicitamente con i “neri”. Il ruolo condizionante di forze apertamente neofasciste nella demolizione della Repubblica è stato dunque evidente. E dimostra che anche forze numericamente minoritarie, se autorevolmente protette e pilotate, contano molto.
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Tuttavia vi è un ottimo argomento in grado di dimostrare che il fascismo è scomparso e che non si vedono segnali di un suo ritorno. È un argomento antropologico, non politologico. Non si può tacere infatti che questi neòteroi del post-fascismo si rivelano (duole dirlo) «mezze tacche» e arruolano figure consimili.
Il fascismo invece seppe arruolare Giovanni Gentile, Alfredo Rocco, Guglielmo Marconi, Giuseppe Bottai, Alessandro Pavolini e il fior fiore del ceto intellettuale e accademico italiano (coinvolse persino, in quanto “tecnico”, un giurista quale Piero Calamandrei, per la stesura dei codici). Da questo angolo visuale, davvero il fascismo è finito. E la sua caricatura non fa neanche ridere.
Oggi i «capaci» preferiscono comandare da remoto, dai posti di comando delle inattingibili «istituzioni europee».
Vero è che uno che se ne intende, Giulio Tremonti, definì questi ovattati signori «fascismo bianco». O anche «fascismo finanziario».