L'orgia del potere
Testimonianze, scandali e rivelazioni su Silvio Berlusconi
prefazione di Paolo Sylos Labini - postfazione di Michele Santoro
Dall'ombra della Loggia P2 a un potere quasi assoluto. Dal baratro di un crac finanziario a una ricchezza smisurata. Segreti e scandali del Premier, padrone del paese, dal 1965 ad oggi.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053497
- Anno: 2005
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 448
- Tag: Politica Potere Comunicazione Politica italiana Attualità Silvio Berlusconi
Un'inchiesta sull'italiano più potente e tra i più ricchi al mondo. Attraverso documenti, ricerche e atti giudiziari, il volume evidenzia numerosi aspetti fino ad oggi inediti: come, quando e con quali capitali nasce la Fininvest; il ruolo del banchiere mafioso Michele Sindona; l'appoggio decisivo di Licio Gelli e della Loggia P2; rivelazioni sul "Caso Moro" che individuano uomini Fininvest al crocevia tra servizi segreti e Brigate rosse; la conquista truffaldina della Mondadori; la guerra contro la magistratura. Riassumere la vita privata e la scalata imprenditoriale e politica di Silvio Berlusconi non è agevole. Sia pure eletto democraticamente, il Cavaliere risulta oggi l'uomo più invasivo nella vita quotidiana degli italiani. Grazie al suo strapotere mass-mediatico orienta l'opinione pubblica. Sue società si trovano al crocevia dei settori vitali dell'economia del Paese: sport, assicurazioni, banche, autostrade, cinema, distribuzione, giornali, televisioni. Inoltre, siede a Palazzo Chigi e, come Premier, controlla i centri di potere dello Stato: i ministeri-chiave (Finanze, Difesa, Interni) attraverso i quali sovrintende su guardia di finanza, polizia, carabinieri e servizi segreti. Un dominio quasi assoluto: l'orgia del potere.
Prefazione di Paolo Sylos Labini - 1. Una vita da romanzo - L'affarista-showman - Un ego smisurato - La banca speciale di papà - 2. Il marchio di fabbrica - «Il peccato originale»: Sindona - La vera origine della Fininvest - 3. Formidabili quegli anni - Dalla Loggia P2 alla Grande Piovra - Convergenze scabrose - Nasce la Fininvest - Chi tocca quei fili muore - 4. Gli «affari di cuore» - Amori a prova di bomba - 5. L'assalto alla Tv - Frequenze, coppole e tangenti - Un debito mostruoso - 6. Ombre di mafia - Palermo chiama Arcore - Il tempo della «neve» - Il «regalo» di Natale - 7. Il mostro dalle tante teste - Ma quante belle ville - Giochi di prestigio, fisco evitato - Amici da morire - 8. Le scatole cinesi - Il grande labirinto - 9. Le mani sull'Italia - Dalla Standa alla stampa - Colpo grosso a Segrate - 10. La «piovra» mondiale - Paradisi fiscali, miliardi e segreti - 11. L'orgia del potere - Il partito-azienda - Assegni per gli acquisti - Colpo grosso - Le gravissime «bufale» del Cavaliere - Bugie e condanne - 12. «Alfa» e «Beta» - Archiviazioni e collusioni - Segui i soldi - Connessioni imbarazzanti - La galassia dell'impero - Gli uomini e le società italiane - Le società estere - Le 64 «sorelle discrete» - Postfazione di Michele Santoro - Indice dei nomi
Postfazione di Michele Santoro
Chi scrive a proposito di Berlusconi deve avere coraggio. Occorre, infatti, che si prepari non solo a subire le reazioni del più ricco e potente tra gli uomini politici ma anche quelle della maggior parte dei suoi avversari. Quando Guarino diede alle stampe (con Ruggeri) il suo precedente libro dedicato alla resistibile ascesa del nostro Presidente del Consiglio eravamo alla vigilia delle elezioni del 1994. «Il Rosso e il Nero» era allora di gran lunga il programma informativo più seguito della televisione italiana e l'èra di Bruno Vespa e di «Porta a Porta» non era ancora cominciata. Nessuno si sarebbe perciò sognato di impedirmi di invitare l'autore in trasmissione oppure di trattare, come feci, dei debiti dell'impero Fininvest. Cinque o sei milioni di spettatori poterono così essere coinvolti in una serata che nella televisione di oggi sarebbe semplicemente impossibile da realizzare; e Silvio Berlusconi fu costretto a telefonare per la prima volta in diretta in un mio programma, recitando indignazione ma senza usare toni padronali e arroganti. Oggi il successo di questo libro sarà affidato probabilmente al passaparola e al tam tam su Internet, a dimostrazione del fatto che gli spazi di libertà si sono enormemente ridotti. La mia tesi è che ciò non è accaduto soltanto in ragione della cattiveria del Cavaliere ma per una cultura politica assai diffusa che ritiene naturale il dominio dei partiti sull'informazione e sulla società. Già nel dibattito che seguì alla vittoria elettorale di Forza Italia, nell'analizzare le ragioni della sconfitta, furono in molti a sinistra a porre l'accento sui «toni troppo accesi» adoperati da certi giornali («L'Espresso») e da certi talk show (i miei) che «hanno finito per fare il gioco di Berlusconi ingigantendone la figura». Invece fu scarsa l'attenzione riguardo ai clamorosi errori compiuti dai dirigenti di quei partiti che si erano assunti la responsabilità di rompere l'alleanza formatasi intorno ai referendum e al maggioritario. La somma dei voti della sciagurata macchina da guerra di Achille Occhetto e di quelli del Patto Segni superò di più di un milione di voti i consensi di Forza Italia, Lega e Alleanza nazionale e al Senato conquistò di un soffio il maggior numero di seggi. Per vincere sarebbe, quindi, bastato presentarsi alle urne uniti e indicare in Segni il leader di una fase transitoria e costituente della seconda repubblica. Il movimento referendario avrebbe potuto dedicarsi per qualche anno a ridisegnare il profilo delle istituzioni, liberalizzare la televisione, stabilire alcune regole fondamentali come il conflitto d'interessi e poi ognuno avrebbe potuto riprendere la sua strada. Probabilmente oggi avremmo avuto una destra e una sinistra decenti e tutto quello che è successo in seguito non sarebbe accaduto. Ritengo che la nostalgia che riaffiora periodicamente per il ruolo svolto in passato dai partiti, insieme alle critiche «agli eccessi della magistratura» e alla completa riabilitazione operata da Berlusconi nei confronti di Craxi, Andreotti e Forlani, abbia contribuito all'esito autoritario del maggioritario. Così come ha pesato l'incapacità dei partiti del centrosinistra di immaginare una via di uscita in senso liberale dalla crisi di un intero assetto economico, politico e istituzionale. L'esplosione dell'inchiesta di tangentopoli con le sue enormi conseguenze fu, infatti, il frutto di un cambiamento epocale prodotto dal crollo del muro di Berlino e dall'irrompere sulla scena di una nuova opinione pubblica che non intendeva più esprimersi delegando in bianco ai partiti la sua rappresentanza. La corruzione è stata solo l'estremo tentativo di un sistema di porre argine alla crisi di ruolo e di legittimità della politica, all'inaridimento irreversibile delle radici popolari dei partiti che derivava dalla mancanza di un serio ricambio delle classi dirigenti e dell'alternanza. D'altra parte il craxismo nella sua fase emergente aveva usato la corruzione per raccogliere intorno a sé una banda di pirati e avventurieri che aveva condotto all'assalto del bipolarismo DC-PCI. La parola modernizzazione è troppo asettica per dar conto di ciò che effettivamente avvenne; ma non c'è dubbio che si realizzò un tentativo di sottrarre la società italiana ai ritmi lenti e prevedibili di una politica senza futuro. La vera sconfitta di Bettino Craxi fu nel non cogliere la portata dei mutamenti intervenuti a livello internazionale, nell'opposizione senza quartiere che sviluppò nei confronti del movimento referendario (che si batteva per l'elezione diretta di sindaci e presidenti del consiglio), nell'accanimento che pose nel difendere il suo ruolo di Ghino di Tacco, ovvero di interdittore privilegiato dei processi politici. Alla sua caduta i «manigoldi» che lo avevano affiancato nell'assalto al sistema (di cui per inciso la Rai era una colonna portante), si trovarono a dover agire per la prima volta per conto proprio. Perfino la mafia rientra in questa chiave di lettura. Dal momento che non ho mai ritenuto valida l'ipotesi che lega «Cosa Nostra» indissolubilmente al sottosviluppo. A mettersi in movimento furono dunque forze che nella fase precedente avevano obiettivamente svolto un ruolo rivoluzionario, ovvero eversivo delle vecchie norme, sradicante nei confronti degli equilibri sanciti dalla Costituzione nata dalla Resistenza. Invece la sinistra rimase su una posizione difensiva, legalitaria e conservatrice, limitandosi ad aspettare ai bordi del fiume che passassero i cadaveri dei vecchi leader politici colpiti dalle inchieste giudiziarie. Si illuse che era arrivato il suo turno e che le sarebbe bastato aspettare per sostituire efficacemente nel governo del Paese la vecchia classe politica. Ho trovato significativo nell'enorme mole di fatti messi in fila da Guarino un dettaglio che ai più sarà apparso quasi insignificante: l'uso dell'espressione «il partito che non c'è». L'adoperano Dell'Utri e compagni quando decidono di usare Publitalia per far nascere una nuova formazione politica che si affermerà incredibilmente come il primo partito dopo le elezioni del '94. Pochi ricorderanno che era stato quello il titolo di un'altra mia trasmissione (costruita praticamente insieme ad Eugenio Scalfari e che aveva provocato qualche anno prima un vero e proprio putiferio) la cui tesi fondamentale era che le formazioni politiche esistenti fossero tutte diventate anacronistiche ed incapaci di interpretare il futuro. A sinistra si era risposto ironizzando sull'uso da parte del Tg3 e di Samarcanda della parola «gente», i rotocalchi progressisti avevano ospitato polemiche feroci contro l'uso in televisione dei sondaggi e chi insisteva nel richiamare l'attenzione sull'aprirsi di una contraddizione profonda tra partiti e società veniva dipinto come un qualunquista. Nel frattempo Berlusconi si appropriava dei nostri slogan e si preparava ad assorbire tutte le principali novità prodotte dall'effetto combinato di tangentopoli, televisione e nuovo quadro internazionale. L'affresco straordinario che Guarino traccia infilando, anello dopo anello, gli incroci societari, il racconto che si dipana da Sindona a Calvi, da Gelli a Berlusconi, l'affacciarsi terrificante della mafia sulla scena come un protagonista intelligente che si propone di provocare e condizionare il cambiamento del paese, non mi fanno pensare ad una Spectre diabolica che è riuscita ad impadronirsi dell'Italia. Dopo aver letto questo libro mi rafforzo nella convinzione che Berlusconi vada considerato una malattia della nostra democrazia derivante da un cattivo funzionamento degli anticorpi. L'estrema conseguenza della degenerazione di un sistema (economico, politico, istituzionale) e, contemporaneamente, il risultato di una sconfitta della giustizia che arriva a sentenza troppo tardi, quando la coscienza dei fatti che hanno i cittadini e l'interpretazione che i media ne danno sono radicalmente cambiate. Insomma né il ruolo della P2, né lo stragismo mafioso, né le protezioni di Craxi e nemmeno l'enorme potere della televisione rappresentano spiegazioni sufficienti sul come sia potuto avvenire che un avventuroso affarista si sia trasformato in una star mondiale di prima grandezza. C'è sicuramente da riconoscere il talento dell'uomo, la sua straordinaria capacità di sfruttare le situazioni e le circostanze senza restarne prigioniero ma, soprattutto, c'è da aprire una riflessione sulla inefficacia delle leggi e sulla inadeguatezza dei partiti del centrosinistra, più preoccupati di perpetuare il proprio ruolo che di porre fine alle conseguenze devastanti di un'esperienza autoritaria che sta impoverendo l'Italia sul piano economico e su quello morale. Ci sarebbe da scrivere un libro sulla pavidità della borghesia italiana, sulla sua tendenza all'accomodamento, sulla sua organica incapacità di scegliere le strade del rischio e della competitività […].
26 settembre 2009 | L'Unità |
13 aprile 2005 | Il Riformista |
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