Il meccanico delle stelle
romanzo
L’appassionante storia di Jost Bürgi, uno straordinario autodidatta che, grazie alla sua capacità di dubitare e al suo coraggio di sfidare l’autorità prestabilita, diventerà un grande protagonista del pensiero scientifico moderno.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015174
- Anno: 2019
- Mese: giugno
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 208
- Tag: Letteratura Fisica Romanzo Storia della scienza
Il “meccanico delle stelle” è Jost Bürgi (1552-1632). Straordinario autodidatta, vive il periodo che vede gli inizi della scienza moderna: un’epoca di religiosità e di magia, dominata da potenti che fanno politica sulla base di previsioni astrologiche e vedono in comete e stelle i messaggeri della volontà divina, ma anche il momento storico in cui si affermano le idee scientifiche di Copernico e Galileo, o la Riforma di Lutero. Guidato dall’incontestabile logica di ruote dentate e ingranaggi, Bürgi osa “pensare”, “dubitare”. La ragione del meccanico, dell’astronomo, dello scienziato si scontra così con i dogmi della fede e le credenze della magia.
Un nuovo avvincente romanzo di Gianfranco D’Anna, in cui scienza e narrazione si intrecciano in modo originale e creativo, ricco di colpi di scena e peripezie, ma anche accurato nella descrizione dei fatti e dei convincimenti dell’epoca. Il timido ma determinato Jost – i cui orologi e globi celesti sono fra le più magnifiche creazioni dell’arte meccanica di tutti i tempi – non mancherà di accattivarsi la simpatia del lettore.
Ogni tanto Jost Bürgi sollevava la lima, prendeva la lente posata sul tavolo da lavoro e, liberatosi dall’impaccio della casacca con una mossa brusca del gomito, si chinava per controllare. Stava lavorando a un nuovo tipo di cronometro: il rotismo centrale, sottile e leggerissimo, avrebbe comportato 360 denti, seguito da un treno di due ingranaggi, l’uno con 40 denti e un pignone a 10 ali, l’altro con 72 denti e senza pignone. La ruota prevista per lo scappamento presentava esattamente 60 denti, ma triangolari, come una sega a legno, e 6 ali.
Le ruote dentate erano il suo mondo. Gli ingranaggi non possono mentire, non c’è posto, fra i denti e gli assi in rotazione, per menzogne e incoerenze. La ragione del meccanico si ritrova nei congegni creati dalla sua mente: se c’è errore, la ruota non gira, il ruotismo si ferma. Nell’opera del maestro orologiaio c’è posto solo per la verità.
«Sessanta a sei e trecentosessanta a uno fa proporzione di tremilaseicento», mormorò come fosse un comandamento mentre posava la lente e si apprestava a sagomare un altro dente della delicata ruota di ottone.
Allora Costanzo si fece coraggio: «Maestro», disse, «un signore vuole vedervi».
Bürgi si fermò, seccato.
«Chi è?», chiese, mentre già posava la lima ben sapendo che, se l’apprendista osava disturbarlo, il visitatore doveva essere per forza una persona di riguardo.
Il ragazzo si schiarì la voce prima di leggere dal biglietto che gli aveva dato poco prima quel signore elegante, con l’ordine di consegnarlo al suo padrone: «Sua... altez... za... il... marchese...».
Bürgi lasciò il tavolo da lavoro e si avvicinò:
«Dammi qua», e lesse il cartoncino scendendo le scale.
NELLE SEGRETE DI KASSEL è RINCHIUSO COSTANZO, ACCUSATO D'AVER FABBRICATO UN CONGEGNO DIABOLICO
Costanzo udì uno scricchiolio, lievissimo, una sorta di grattare. “Forse è un topolino”, pensò aguzzando gli occhi per frugare nella penombra. Non vide nulla, ma si accorse che le prime luci dell’alba rischiaravano il piccolo rettangolo di cielo visibile in cima al muro.
Non era riuscito a dormire, o, perlomeno, si era svegliato dieci, cento volte nel medesimo incubo: “Ti affido la bottega, sono sicuro che sarà in buone mani”, gli diceva l’amato maestro mentre la carrozza e la scorta si preparavano per la partenza. Ma lui, nel sogno, già sapeva cosa sarebbe avvenuto, eppure sorrideva, non avvertiva il maestro della sventura a venire, e si disprezzava per quella vigliaccheria.
Era un rimorso assurdo, non avrebbe potuto prevedere il futuro, e si avvolse nella coperta cambiando lato sullo scomodo giaciglio di legno e paglia. Tecnicamente, agli occhi della giustizia non era un criminale: infatti, coperta e paglia erano un privilegio riservato ai “posseduti”. Pensandoci, ne rise. In quel momento sentì dei passi nel corridoio e subito si appoggiò sul gomito, in ascolto.
Riconobbe il rumore degli stivali delle guardie: camminavano sempre in perfetto sincronismo, come se il cervello che muoveva le gambe non si trovasse nella loro testa, ma in quella del comandante. I passi si fermarono davanti alla cella, il pesante catenaccio fu spostato con vigore, la porta si spalancò e una prima guardia prese posizione sulla soglia mentre una seconda avanzava fino alla parete opposta all’entrata.
Costanzo era ormai in piedi accanto alla sua branda, in attesa. Sulla porta apparve un uomo dall’abito monastico, il saio immacolato, la tonsura su un volto modesto e cordiale.
«Caro Costanzo», disse allungando le mani nella direzione del detenuto come per abbracciarlo, «oggi è il tuo giorno di pentimento e di preghiera... io sono qui in veste di fratello penitente per accompagnarti fino al tramonto, quando domanderai a Dio di usarti misericordia». Era il confessore incaricato dal concistoro morale di assistere il posseduto prima e durante il rito di esorcismo previsto per quella sera stessa nel grande sotterraneo dell’edificio.
Il confessore fece segno a Costanzo di sedersi al tavolo, quindi prese posto di fronte a lui; un cenno alle guardie e furono lasciati soli. Il giudice del concistoro lo aveva ragguagliato sulla causa dell’arresto: il giovane – apprendista presso il meccanico e orologiaio di corte, il celebre Jost Bürgi – aveva ideato un “arnese magico” dalle proprietà terrificanti ed era colpevole di blasfemia e di asservimento alla volontà del maligno. Da quello che il confessore aveva capito, Costanzo aveva costruito una sorta di planetario diabolico, ma lui non aveva potuto vedere di persona il congegno e adesso era divorato dalla curiosità di saperne di più. Si accomodò meglio sulla sedia: innanzitutto doveva conquistare la fiducia del giovane e gli chiese se desiderasse bere, rifocillarsi. Ordinato del pane e una caraffa d’acqua, ne bevve lui stesso un sorso e mentre lo lasciava mangiare si fece raccontare la storia della sua famiglia: il padre orafo, i fratelli che lavoravano nei giardini del langravio.
Poi, quando sentì l’animo del prigioniero ben disposto nei suoi confronti, lo interrogò sull’argomento che più gli stava a cuore:
«Figliolo, mi vuoi raccontare la vicenda del congegno che è cagione del tuo peccato?».
A quelle parole Costanzo cambiò bruscamente espressione, e d’improvviso non parve più il giovane apprendista ingenuo di pochi istanti prima: gli occhi timorosi erano scomparsi per lasciare il posto a un sorriso scaltro.
«Credo che per rispondere alla vostra richiesta dovrò dapprima raccontarvi come ha avuto inizio tutto questo», rispose con una fermezza che non ammetteva obiezioni.
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