Il sensorio di Dio
Genio, idee rivoluzionarie e scoperte epocali si scontrano con debolezze umane, rivalità e segreti inconfessabili nell’ instabile e travagliata Inghilterra della Restaurazione. Nell'avvincente romanzo di un grande autore scientifico, un ritratto accurato e molto umano dei padri della scienza moderna.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015105
- Anno: 2013
- Mese: maggio
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 352
- Tag: Letteratura Fisica Romanzo Isaac Newton Storia della scienza
È la fine del XVII secolo, e il moto dei pianeti rimane un mistero nonostante il lavoro rivoluzionario compiuto quasi cento anni prima da Johannes Kepler, Galileo Galilei e Tycho Brahe.
Edmond Halley, dinamico avventuriero e astronomo, chiede aiuto a Isaac Newton per chiarire la questione ma, per quanto ossessionato dalla comprensione delle orbite planetarie, Newton è alle prese con vari problemi personali. Infatti l’ombroso matematico e alchimista cela un colpevole segreto: ha sottratto alcune intuizioni a Robert Hooke e il rissoso sperimentatore pretende di vedere riconosciuto il proprio merito.
Pur capaci di contemplare i più elevati ideali e le più eccelse teorie, i tre non perdono occasione per bisticciare e i loro rancori rischiano di far deragliare la ricerca della verità scientifica. Le vite e le opere degli uomini entrano in rotta di collisione mentre l’Europa è lanciata sulla via dell’Illuminismo e la scienza viene catapultata in un nuovo, sconvolgente scontro con la religione.
I. Azione - 1. Woolsthorpe, Inghilterra 1679 - 2. Southwark - 3. Woolsthorpe - 4. Londra - 5. Cambridge - 6. Londra - 7. Londra - 8. Londra - 9. Danzica, Confederazione lituano-polacca - 10. Londra - 11. Roma, Stato Pontificio - 12. Islington Village 1683 - 13. Londra - 14. Londra - 15. Londra - 16. Londra - 17. Islington Village - 18. Islington Village - 19. Londra - 20. Cambridge - 21. Greenwich - 22. Cambridge - II. Distanza - 23. Cripplegate 1686 - 24. Cambridge - 25. Cripplegate - 26. Londra 1687 - 27. Cripplegate - 28. Londra - 29. Hampton Court - 30. Mar Adriatico - 31. Londra - 32. High Laver, Essex - 33. Cambridge 1693 - III. Forza - 34. Cripplegate - 1703 - 35. Londra - 36. Cambridge - 37. Hannover, Sassonia - 38. Londra - 39. Oxford - 40. Londra - 41. Londra - 42. Hannover - 43. Londra - 44. Londra - Epilogo - Ringraziamenti
Woolsthorpe, Inghilterra 1679
Non c’era posto per la luce del giorno in quel grembo malsano.
L’alchimista tese le pesanti cortine sulla finestra e le premette contro gli angoli del telaio, determinato a bandire ogni raggio di sole dalla stanza. Le candele gli avrebbero fornito tutta l’illuminazione di cui aveva bisogno per svolgere il proprio lavoro.
Girando intorno a un tavolo ingombro di bottiglie e fiale, si avvicinò al letto. I suoi occhi si posarono sull’occupante priva di sensi, la cui sagoma era a malapena percepibile sotto il cumulo di coltri.
Frugandosi in tasca, ne estrasse uno specchietto di cui, appena due settimane prima, si era servito per far rimbalzare la luce nelle sue stanze al college, e lo accostò alla bocca della madre. Rassicurato dalla flebile condensazione che si raccolse sulla lastra di metallo lucidato, si raddrizzò. Gli bruciavano gli occhi per la spossatezza.
Dirigendosi alla finestra, si fermò davanti al tavolo e fissò i flaconi. Ognuno conteneva una sostanza diversa: un sale, un’erba, un’essenza liquida. Ormai erano l’estremo baluardo tra sua madre e la morte. Giunse le mani come per pregare e se le portò al viso. Inspirando a fondo, si arrotolò le larghe maniche della camiciola di cotone sulle braccia scarne e si mise all’opera.
Scelta una boccetta, la capovolse e scosse per terra le ultime gocce di una vecchia miscela. Quindi iniziò a mettere insieme un nuovo preparato.
Tre gocce di estratto di radice di lapazio, per aiutare a depurare il sangue.
Un rametto impregnato di timo fresco, per infondere coraggio.
Essenza di caffè, per rinvigorire il cuore.
Un pizzico di curcuma frantumata.
Pochi giorni prima avrebbe dosato tutto e appuntato la ricetta nel suo quaderno, ma il giorno precedente la madre era piombata in un sonno impenetrabile. Ora mescolava tutto ciò che gli passava per la mente. Le bottiglie tintinnavano mentre ghermiva un recipiente dopo l’altro.
Fece un voto. Se Dio le concede una dilazione, farò ammenda di ogni pensiero maligno che abbia mai covato contro di lei.
Afferrato il matraccio, si chinò sulla madre per farle sgocciolare il medicamento tra le labbra sottili. In quel mentre, la porta si aprì. Una luce sgradita si infiltrò nella stanza, accecandolo.
«Vi ho portato da mangiare, Isaac».
Newton scoccò un’occhiataccia alla figura sin troppo familiare che irrompeva nella camera. La donna corpulenta portava un vassoio di cibo.
«Debbo lavorare», sbottò lui.
«Sciocchezze». La signora Harrington gli mise bruscamente davanti il vassoio.
Al suo arrivo, la settimana precedente, Isaac aveva trovato quella donna importuna a dirigere la magione con malriposta solerzia.
«Dovete mangiare. Non ha senso che vi ammaliate anche voi». Dalla sua voce non trapelava il minimo affetto.
«Cosa ve ne importa? Non fate parte della famiglia».
«Sono l’amica più intima di vostra madre. E vi conosco da quando siete nato. Vi ho aiutato a venire al mondo, in questo stesso letto».
«Eravate solo una ragazzetta del paese, chiamata a dare una mano durante il parto. Solamente in seguito vi siete insinuata nei suoi affetti». Newton tornò al tavolo e sollevò altre bottiglie, esaminandone il contenuto. «Non eravate forse talmente certa che non avrei superato la mia prima notte da esservi permessa di indugiare in chiacchiere quando vi hanno mandata a prendere le medicine?».
La donna si impettì. «Vostra madre diventa più debole ogni giorno, Isaac. È tempo di dirle addio».
«No! Non ho ancora terminato le mie spe...». L’alchimista tacque di colpo.
«Le vostre cosa? Le vostre sperimentazioni?».
«Le mie cure, le mie cure».
La signora Harrington addolcì la voce. «Lasciatela trapassare in pace, Isaac, con la luce e il tepore del sole». Superandolo, si diresse verso le tende.
«Non aprite la finestra! L’aria è colma di esalazioni, mia madre è troppo fragile».
«Ha bisogno di aria fresca. Qui c’è fetore».
«Le pozioni reagiscono con la luce del sole. Le guasterete».
La donna gli rivolse un’occhiata acida. Tenendo in equilibrio il vassoio su un fianco, spalancò le cortine. La luce del sole ferì gli occhi di Newton. L’alchimista afferrò i bordi del tavolo per controllare la marea che gli stava salendo dentro.
Sempre reggendo il vassoio, la signora Harrington si diresse al camino. «Pensate che vostra madre avrebbe voluto tutto questo?», domandò abbassando lo sguardo sdegnoso su altre bottiglie e boccette.
«Curerò mia madre come voglio», replicò lui a denti stretti.
Un sorriso astuto le attraversò il volto. «Ho avuto modo di osservare voi e i vostri modi insolenti sin da quando eravate un ragazzino».
«Il ragazzino che ricordate è cresciuto».
«Da quel che vedo, non è cambiato nulla. Mi rammento di quando in chiesa sbirciavate la congregazione mentre noialtri tenevamo il capo chino in preghiera. Siete sempre stato convinto di essere speciale».
Newton tolse le mani dal bordo del tavolo e frugò a tastoni tra i recipienti. Afferrata una bottiglia, senza pensare la scagliò in direzione della signora Harrington.
A bocca spalancata per l’incredulità, la donna la udì infrangersi contro la parete. Il secondo proiettile di Newton centrò il bersaglio, colpendole la grassa guancia sinistra. La signora Harrington barcollò all’indietro, rovesciando il contenuto del vassoio sull’assito, e fuggì dalla stanza urlando.
Newton si affrettò a seguirla, calciando via il cibo e sbattendo la porta con tutte le sue forze. Incespicando raggiunse le cortine e le chiuse con uno strattone prima di tornare al capezzale della madre. La donna aveva la bocca aperta. Si protese a toccarle il volto, esitando all’ultimo momento. Quando le dita macchiate d’inchiostro sfiorarono la pelle, fu travolto dall’orrore e ritrasse la mano. Se n’era andata. Lacrime di rabbia gli sgorgarono dagli occhi. Quando l’accesso si placò, cadde in ginocchio e levò gli occhi al cielo.
«Signore, perché mi metti alla prova con compiti tanto impossibili?».
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