Il neutrino anomalo
romanzo
Il risultato dirompente di un esperimento di fisica delle particelle getta nello scompiglio la comunità scientifica mondiale. Tra euforia e prudenza, i protagonisti si troveranno a gestire un inaspettato clamore mediatico e ad affrontare nuovi dilemmi professionali ed esistenziali.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015167
- Anno: 2017
- Mese: luglio
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 160
- Tag: Letteratura Fisica Romanzo Storia della scienza
Nel settembre 2011, i ricercatori dell’esperimento OPERA annunciano di aver scoperto un’anomalia nella misura della velocità dei neutrini, che risulta maggiore di quella della luce. È una rivoluzione copernicana, una scoperta epocale che mina le basi della teoria della relatività e prelude allo sviluppo di una nuova fisica… ma sarà vero? È il caso di credere ai nuovi risultati sperimentali ed elaborare una teoria inedita in grado di spiegarli o è giusto fidarsi delle previsioni della teoria della relatività e continuare a cercare nella metodologia dell’esperimento un errore responsabile dell’anomalia? La comunità scientifica si spacca, eminenti scienziati si schierano su posizioni opposte.
Sulla base di una vicenda realmente accaduta, un protagonista della fisica ci consegna un racconto vivido e scientificamente impeccabile del funzionamento dei grandi esperimenti internazionali e delle dinamiche dell’ambiente accademico, ma anche una riflessione più intima sulla natura dell’animo umano, combattuto tra cautela ed entusiasmo, rigore e ambizione.
PRIMA PARTE - I. 23 settembre 2011 - II. Un passo indietro - III. Il fascio dedicato - IV. Festino teorico - V. ICARUS s’immischia - VI. È proprio vero - SECONDA PARTE - VII. 6 dicembre 2011 - TERZA PARTE - VIII. Arlecchino e Pulcinella - IX. La cappa di piombo - X. Luisa - XI. 22 febbraio 2012 - Post Scriptum
23 settembre 2011
Sembrava il boxing day, l’inizio dei saldi di fine stagione.
Ci si prendeva a gomitate per trovare un posto a sedere e c’era gente anche per terra.
Quel venerdì 23 settembre 2011, nell’aula magna del CERN, si dava per vinta la velocità della luce, si liquidava la teoria della relatività.
Infatti, un noto gruppo di stimati ricercatori affermava che il neutrino, una timida particella nucleare, si permetteva di viaggiare più in fretta dei fotoni; una specie di bestemmia, di certo un’affermazione azzardata.
La velocità della luce è il valore massimo di ogni moto, principio iniziatore della teoria della relatività di Einstein: l’insieme della scienza moderna, senza eccezioni, si appoggia su quelle fondamenta.
Tutto era cominciato quando Luisa Giacometti, giovane ricercatrice di appena venticinque anni, intenta al suo lavoro di dottorato presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, aveva visto apparire sullo schermo del computer quella maledetta cifra: “+60,7 ns”.
“Non è possibile” si era detta, mentre per la terza volta faceva digerire all’elaboratore elettronico i dati e quello, in un calcolo fulmineo, rispondeva invariabilmente “+60,7 ns”. Le pareva di sentirne la voce sintetica: “Più sessanta virgola sette nanosecondi”. Doveva esserci un errore.
Il suo compito consisteva nell’utilizzare i dati raccolti dal rivelatore di particelle OPERA per determinare la velocità del neutrino: quantità, questa, ancora mal conosciuta. In pratica, Luisa cronometrava il tempo necessario ai neutrini, prodotti al CERN di Ginevra, per percorrere la distanza dal CERN al Gran Sasso, e lo confrontava con il tempo che avrebbe impiegato la luce per coprire la stessa distanza; in tal modo poteva ottenere la cosiddetta “differenza del tempo di volo fra luce e neutrino” e stabilire chi dei due arrivasse prima.
Potrebbe sembrare un incarico semplice, ma tecnicamente non lo era affatto. All’arrivo di un neutrino, il rivelatore OPERA registrava l’ora esatta dell’evento al nano secondo. D’altra parte, quella che si conosceva era solo l’ora di partenza di lunghe raffiche di proiettili-neutrini, o “pacchetti”, separati da periodi di “silenzio”: l’ora di partenza del neutrino in questione era quindi approssimativa. Però se ne poteva dedurre, per calcolo statistico, un tempo medio di volo, gravato da un’incertezza che diminuiva con l’aumentare del numero di eventi osservati. Per questa ragione il compito di Luisa era di considerare tutte le migliaia di eventi occorsi negli ultimi tre anni, sedicimila in totale; non certo un lavoro di tutto riposo.
Ma non bastava prendere i dati grezzi. Per ogni neutrino si doveva calcolare la distanza di volo specifica, cioè i 730 534,61 metri (circa 730 chilometri) dal CERN fino al punto di riferimento, sul lato est di OPERA, cui andava aggiunta la distanza supplementare fino alla posizione esatta della collisione avvenuta nel rivelatore, lungo oltre venti metri. Inoltre, occorreva stimare con precisione un certo numero di parametri correttivi per gli eventi dei primi tre mesi, per quelli dei sette seguenti, e così via, parametri dovuti alle modifiche sperimentali intercorse nell’apparecchiatura fra il momento dell’inizio della raccolta dati, da metà 2008, e lo stato definitivo. Infine, da quel lavoro si otteneva una differenza del tempo di volo ancora solo indicativa, perché dal risultato andavano defalcati i numerosi ritardi intrinseci nella linea di misura, come il tempo necessario ai segnali per percorrere le fibre ottiche e altri cavi di connessione, valori accuratamente calibrati in precedenza e conservati negli archivi.
Quello di Luisa era un lavoro da certosino: doveva catalogare e ordinare i dati di tutti i neutrini osservati dall’inizio dell’esperimento OPERA, accertarsi di abbinare le date di osservazione ai corretti parametri sperimentali e via dicendo. Alla fine, dopo mesi di lavoro, tutto si risolveva in quell’istante di fatica del calcolatore che in pochi secondi computava il risultato.
Immaginarsi di aver commesso un errore era l’ipotesi più ovvia e, quando il cervellone elettronico sputava quel “+60,7 ns”, lei riprendeva tutto daccapo. Perché il risultato doveva essere zero, necessariamente. I neutrini vanno alla velocità della luce, secondo teoria: punto e basta. Non poteva esserci nessuna differenza nel tempo di volo. Certo, se avesse ottenuto una differenza negativa, un ritardo, indice che i neutrini andavano più lentamente della luce, al limite si sarebbe ancora potuto ragionarci sopra. Alcuni teorici sostenevano che non ne sarebbero stati sorpresi. Una differenza positiva, un anticipo, quel “+60,7 ns”, invece no, non era possibile e Luisa, dopo l’ennesima verifica dei quaderni, delle schede informative, di resoconti, tabelle e dati inseriti nel computer, prese la decisione di chiedere aiuto al suo diretto superiore.
Si trattava del dottor Danilo Morsini, il responsabile operativo dell’esperimento. Lui se ne stava piegato sul tavolo, assorto nella lettura di un articolo: leggeva e prendeva appunti su un quaderno, mettendosi e togliendosi in continuazione gli occhiali, come afflitto da un tic nervoso.
Luisa lo vide dal corridoio, si fermò un attimo, poi prese coraggio e oltrepassò la soglia:
«Ciao Danilo... senti, mi devi aiutare, ho un problema serio».
Lui non alzò subito lo sguardo, finì di scrivere la frase cominciata, posò la matita e, infine, la guardò con aria interrogativa.
Luisa appoggiò sul tavolo il tabulato del computer, il “+60,7 ns” cerchiato da un tratto giallo fosforescente, senza dire nulla, ma allargando le braccia in un palese gesto d’impotenza.
«Positivo... eh, cara mia, non è possibile, lo sai bene», e Morsini scosse la testa. Una cosa del genere non era nemmeno da mettere in conto.
«Ho controllato. Mi dà sempre lo stesso risultato... positivo».
«Ma scusa, Luisa, è impossibile», ribadì Morsini, accompagnando questa volta la frase con un sorrisino sarcastico.
«Io non so più cosa fare... ho controllato tutto una decina di volte», rispose lei un po’ scocciata. Morsini le dava spesso l’impressione di non avere una grande opinione di lei.
Danilo sospirò, si chiedeva perché toccasse sempre a lui togliere d’impaccio i novellini. Pretese chiarimenti, ponendo domande un po’ secche, senza tatto, come gli capitava di fare quando era infastidito dall’incompetenza e dall’inesperienza altrui, che considerava la stessa cosa.
Luisa cercava di difendersi: Morsini era un uomo difficile, solo come collega lo si poteva sopportare. Il suo superiore insinuò che doveva aver fatto un “casino” da qualche parte, peggiorando la situazione già difficile e portandola al limite del pianto prima di capire, finalmente, che doveva alzarsi dalla sedia e occuparsi di persona della faccenda.
«Va bene... controllo anch’io» concluse, molto innervosito di dover perdere inutilmente del tempo prezioso. Infatti, dal suo punto di vista, era chiaro che sarebbe stato tempo sprecato: fra luce e neutrino, non poteva esistere una differenza nel tempo di volo a vantaggio del secondo!
Quando il professor Ermiti rispose al telefono era una bella mattina di marzo e gli alberi che vedeva dal suo ufficio già mostravano i primi segni della primavera: non poteva certo immaginare cosa lo aspettava.
Angelo Ermiti, professore di fisica delle alte energie all’Università di Berna, era il direttore della “collaborazione OPERA”, circa centosessanta fisici suddivisi in una trentina di gruppi in giro per il mondo, tutti impegnati a lavorare sull’impressionante rivelatore di particelle dallo stesso nome, custodito nelle caverne dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso.
«Angelo, non ci ho dormito tutta la notte... abbiamo ottenuto un risultato incredibile: la differenza del tempo di volo è positiva, l’anticipo è di circa sessanta nanosecondi con un errore di meno di sette nanosecondi... il neutrino supera la velocità della luce, ne sono sicuro», annunciò Morsini, la voce tremante per l’emozione.
«Positiva? ... ma cosa dici?!». All’altro capo del telefono, Ermiti aveva gli occhi spalancati, fra l’inorridito e lo spaventato, mentre cercava le parole giuste per calmare l’amico – soprattutto che non ne parlasse in giro, per carità. A raccontare una storia del genere, che una particella supera la velocità della luce, la figuraccia è garantita.
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