L'elettrone dimezzato
Nel primo Novecento due scienziati si contendono senza esclusione di colpi la soluzione di un mistero che appassiona le menti: un enigma infinitamente piccolo, ma di incommensurabile portata.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015143
- Anno: 2015
- Mese: maggio
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 232
- Tag: Letteratura Fisica Romanzo Storia della scienza
All’epoca di Einstein, due uomini radicalmente diversi come Robert Andrews Millikan, statunitense, e Felix Ehrenhaft, austriaco, indagano sull’esistenza di una particella minuscola ed evanescente che prima di loro nessuno era riuscito a «vedere»: l’elettrone. Ne va della concezione dell’elettricità e della materia, ma anche di valori fondamentali nella ricerca scientifica come la precisione, l’obiettività e la lealtà, messe a dura prova dall’ambizione dei protagonisti e dall’ambiente che li circonda. Di chi è la paternità della scoperta dell’elettrone? La storia ha fatto veramente giustizia? L’elettrone dimezzato offre a questi quesiti una risposta appassionante e sfaccettata come le personalità che descrive.
Prologo - Vienna 19 febbraio 1926 - I - 1. Tram a cavalli - Vienna 1905 - 2. Telegramma - Chicago 1907 - 3. Venia Legendi - Vienna 1905 - 4. Fonografo a rulli - Chicago 1907 - 5. Tracciati su carta millimetrata - Vienna 1906 - 6. Camera a nuvole - Chicago 1907 - 7. Locomotiva del Brennero - Tirolo 1906 - 8. Loizer modello I - Chicago 1907 - II - 9. Annuncio mortuario - Vienna 1906 - 10. Fotografia della processione di Ognissanti - Vienna 1906 - 11. Pennsylvania Railroad Bridge - Chicago 1908 - 12. Café Central - Vienna 1908 - 13. Chiesa metodista - Chicago 1908 - 14. Avviso di seminario: dott. Philipp Frank - Vienna 1908 - 15. «Naturae Veritates» - Chicago 1909 - 16. Memoriale dorato - Vienna 1909 - 17. Quaderno di laboratorio di Millikan - Chicago 1909 - 18. LXXXI Assemblea dei naturalistie dei medici tedeschi - Salisburgo 1909 - 19. Canada Pacific Railway - Winnipeg 1909 - 20. Chiesetta di Wassen - Gottardo 1909 - 21. Riunione della Società americana di fisica - Princeton 1909 - 22. Lettera dal «Philosophical Magazine» - Vienna 1909 - III - 23. Il ragazzo di Provo - Chicago 1909 - 24. Istogramma - Vienna 1909 - 25. Esperimento di Millikan - Chicago 1910 - 26. Accademia delle scienze - Vienna 1910 - 27. Partecipazione di nascita - Chicago 1910 - 28. Conferenza di Königsberg - 1910 - 29. «Science» - Chicago 1910 - Epilogo - Vienna 19 febbraio 1926 - Glossario - Indicazioni biografiche
La luce intensa della lampada colpì la piccola scatoletta trasparente e attraversò la finissima polvere d’argento in sospensione, incendiandola di bagliori. Sul lato opposto, allineato ad angolo retto con il raggio luminoso incidente, il microscopio raccolse quei bagliori focalizzandoli su una striscia di carta millimetrata sostenuta dal supporto metallico a cui Ehrenhaft l’aveva fissata con cura. Il tutto sembrava una costruzione instabile: un sistema di specchi e lenti convogliava la luce della lampada in un percorso che raggiungeva la faccia scoperta della scatoletta e, sotto il tavolo, il microscopio montato verticalmente proiettava l’immagine – la stessa che avrebbe colto l’occhio umano guardando attraverso l’oculare – sulla carta millimetrata destinata a rivelarla.
Quando un granello di polvere d’argento entrò nel campo ottico del microscopio, sul foglio apparve un punto nero che saltellò come una pulce ed Ehrenhaft, radioso, lo seguì portandosi vicinissimo al foglio, quasi fosse convinto che, se avesse agito con sufficiente destrezza, avrebbe potuto acchiapparlo.
La pulce saltò di quadretto in quadretto, veloce e imprevedibile, evitando la cattura, e infine scomparve un attimo prima che un’altra entrasse sul lato opposto di quella che era diventata una pista da circo. Anche quel punto nero effettuò lo stesso numero, inaspettatamente scortato da un compare, quindi i due si scontrarono ed Ehrenhaft si ritrasse sorpreso. Ma sapeva benissimo che sul foglio apparivano le proiezioni di movimenti solo in apparenza piani; in realtà avvenivano nello spazio, perciò non si poteva sapere se i puntini fossero l’immagine di due grani in movimento a livelli diversi oppure se la collisione fosse avvenuta davvero.
Il tremolio browniano sembrava aver contagiato anche lui: si diresse verso la porta per poi ritornare al tavolo, cercare il quaderno di laboratorio sulla scrivania, tornare all’esperimento, rimettersi a cercare la matita, scarabocchiare una data. Solo dopo aver cozzato a destra e a sinistra si calmò, prese posto alla scrivania per fare uno schizzo preciso di ciò che aveva costruito e riassumere quanto osservato, descrivendo le prime impressioni in un paio di frasi. Il sistema escogitato per studiare il moto browniano pareva funzionare meglio di ogni previsione.
Nelle settimane seguenti Ehrenhaft mantenne un mutismo inflessibile nell’attesa di essere certo del fatto suo; l’idea di come si dovesse fare scienza e del rigore proprio al metodo scientifico erano già ben radicati nel giovane ricercatore viennese.
Anche a von Lang non disse che poche parole in risposta alle sue insistenti domande sull’esperimento. Da docente non era più obbligato a riferire del proprio lavoro di ricerca, ma la ragione che lo trattenne non fu quella, e nemmeno la volontà di escludere ogni possibile errore. Vedeva il vecchio professore seduto in ufficio, con la barba che sfiorava la scrivania, e si faceva violenza per non fermarsi, entrare, annunciare i suoi progressi, come a un padre che aspetta, pur non alzando lo sguardo, che il figlio di cui è fiero giunga a recargli la buona notizia. Indugiava pregustando il momento in cui avrebbe potuto mostrargli il lavoro compiuto nella sua totalità, lasciando accumulare la fiducia su cui sapeva di poter contare e che per riflesso lo colmava di ottimismo.
Approntò una coperta sul pavimento, in modo da potersi stendere comodamente sotto il pesante tavolo. Sistemò un cronometro di precisione a fianco della striscia di carta millimetrata per marcare a intervalli regolari, con una piccola croce a lapis, la posizione corrente della pulce nera, proiezione del granello in agitazione, tracciando poi ogni volta un segmento dal punto precedente al successivo.
Dopo qualche minuto, la polvere d’argento in lenta caduta si depositava sul fondo. Allora Ehrenhaft si alzava, la estraeva aspirandola con una pompa prima di iniettare aria pulita e una quantità fresca di materiale, poi si nascondeva di nuovo sotto il tavolo e ricominciava da capo.
Sui fogli quadrettati che si accumulavano, la successione di crocette e segmenti rettilinei disegnava un insieme confuso di trattini, specchio di quei sussulti in tutte le direzioni, imprevedibili guizzi, inattesi scarti laterali che von Lang aveva osservato solo qualche mese prima.
Quei tracciati contenevano la risposta alla domanda che aveva reso insonni le notti di tanti illustri pensatori: l’atomo esiste? È oggetto, cosa, realtà? La lunghezza di quei segmenti, misurata accuratamente con un righello, moltiplicata per se stessa, addizionata e divisa per il numero complessivo dei segmenti, poi messa sotto radice, era lo scarto quadratico medio che appariva nella formula di Einstein. E ogni volta che Ehrenhaft sommava, divideva, calcolava, scopriva quasi con spavento quanto l’astratta formula del giovane fisico teorico di Berna, costruita semplicemente immaginando il movimento browniano – a occhi chiusi – coincidesse esattamente con quanto lui vedeva nel microscopio – a occhi spalancati.
Quella corrispondenza fra pensiero e realtà, fra previsione e osservazione, era un responso affermativo.
Boltzmann sorrise appena, facendo scorrere fra le mani i fogli con i risultati sperimentali che Ehrenhaft aveva posato sul tavolo. Conosceva quegli zig-zag, sapeva da anni della loro esistenza. Non fu né sorpreso né eccitato nel vederli, forse un po’ tediato dal tempo che c’era voluto affinché un fisico sperimentale riuscisse a tracciarli, fiero di aver scoperto l’alfabeto sconosciuto di una lingua che lui, invece, parlava.
Scrutò gli occhi di Ehrenhaft attraverso le spesse lenti che rendevano i suoi piccoli e lontani. Il giovane sembrava in attesa di un incoraggiamento e Boltzmann si sentì obbligato a dire: «Bravo».
Ma la questione della paternità della scoperta non lo interessava.
Era avvenuta a Vienna, come poteva avvenire in quel medesimo momento in qualsiasi altro posto.
Prese una matita e un pezzo di carta da un quaderno, disponendoli davanti a sé. Rovistò nel cassetto della scrivania.
Ne estrasse un compasso da una scatoletta di legno annerita dall’uso, e con tranquilla precisione tracciò sul foglio dei cerchi concentrici egualmente spaziati. Alzò gli spessi occhiali e fece segno a Ehrenhaft di sedersi al suo fianco.
«Vede, prendiamo ogni segmento che ha disegnato e riportiamolo con la stessa lunghezza e la stessa direzione partendo dal centro comune di questi cerchi». Boltzmann effettuò personalmente una misura con squadra e compasso, riportando con scrupolo un segmento dal foglio quadrettato sull’altro. Ripeté l’operazione tre volte, per dare l’esempio, prima di spingere il foglio con i cerchi concentrici verso il giovane ricercatore.
«Vedrà che i punti si ripartiranno attorno al centro come la rosa dei colpi sparati a un bersaglio lontano».
Ehrenhaft alzò le sopracciglia, con sguardo interrogativo.
«È un’altra maniera, più comoda della sua, di verificare che la ripartizione dei segmenti avvenga secondo una legge statistica normale», spiegò Boltzmann. «Contando il numero dei punti compresi fra due cerchi consecutivi deve ottenere una relazione precisa...», e riprese la matita per scrivere, su una pagina nuova del quaderno, un integrale esteso su un intervallo di corona circolare, iniziando un calcolo che forse per lui era semplicissimo, ma che Ehrenhaft stentava a seguire. Boltzmann non disse nulla: calcolava, era come se la matita parlasse per lui.
«Grazie professore», disse infine Ehrenhaft. «Se permette mi ritiro in laboratorio ad analizzare i dati come suggerisce lei». Si alzò rimettendo la sedia al suo posto e raccolse il materiale.
«Certo, arrivederci», rispose Boltzmann e, mentre seguiva con lo sguardo Ehrenhaft avviarsi alla porta, aggiunse sottovoce con amaro sarcasmo, in dialetto viennese: «Ha forse visto degli atomi, caro collega?». Felix Ehrenhaft non sentì la domanda, ma si affrettò a tornare in laboratorio per rifare con calma i calcoli teorici.
15 dicembre 2017 | tomshw.it |
4 giugno 2017 | RSI Radiotelevisione svizzera |
21 luglio 2015 | Corriere del Ticino |