La legge del perdente
La matematica come vaccino contro l'azzardopatia
prima edizione 2018
3a ristampa dicembre 2023
Quali sono le probabilità di vincere al Superenalotto? E quelle di fare un poker d’assi? Cosa vuol dire essere dipendenti patologici dalle scommesse? Si può guarire? Ma soprattutto: è possibile vaccinarsi?
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068750
- Anno: 2020
- Mese: febbraio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 152
- Note: illustrato b.n.
- Tag: Scienza Matematica Statistica
È possibile battere il banco? Esiste un metodo infallibile? Quali sono le possibilità di vincere al Superenalotto? E quelle di fare un poker d’assi? Qual è il fatturato del gioco d’azzardo in Italia? Quanta gente gioca e quanto spende? Cosa vuol dire essere dipendenti patologici dalle scommesse? Si può guarire? Ma soprattutto: è possibile vaccinarsi?
L’autore solleva elementi di riflessione che riguardano queste e altre domande in un appassionante viaggio tra i segreti della matematica del gioco d’azzardo e del calcolo delle probabilità. Lasciatevi guidare da un intreccio narrativo coinvolgente e dalla forza degli esempi: partendo da concetti di base, senza dar nulla per scontato, vi convincerete che la ludopatia non esiste, perché non è il gioco il problema, ma l’azzardo, e scoprirete che la matematica può aiutare a capire il mondo che ci circonda. Un anziano pensionato, un giovane barista, un professore appena entrato negli “anta”: tre generazioni a confronto per dimostrare l’impensabile e, soprattutto, vincere la più ardua delle scommesse. Perché la matematica può non solo essere utile e intrigante, ma anche la vera protagonista della storia.
Prefazione - 1. Un incontro veramente casuale - 2. Giochiamo? - 3. Tertium non datur - 4. Cambiare la propria vita - 5. Numeri enormi, ovvero come colpire un piccione al volo - 6. Tira che ti ritira - 7. Errori/orrori - 8. Un gioco come un altro - 9. Giocare o non giocare, questo è il problema - 10. Vincere contro il banco - 11. Una “parentesi” matematica - 12. Riassumiamo? - 13. Praticamente impossibile: il Superenalotto - 14. Un prurito per la vita: il Win for Life - 15. Gioco e superstizione: il Lotto - 16. Quando il banco non c’è - 17. Come cani - 18. Azzardopatia - Epilogo - Bibliografia - Indice analitico
La chiesa di Santo Stefano è una delle più belle della città. Anch’essa caotica, nel suo rincorrersi di mura e torri, archi e tetti, è ipnotica, tanto è varia e maestosa nel contempo. La piazza antistante, rinnovata da poco, è punto di ritrovo per giovani universitari, studenti che marinano la scuola e anziani in cerca di compagnia. Le panchine che la circondano sono sempre piene, ma non a quell’ora del mattino, e così trovammo posto per sederci.
«Il gioco che le propongo è facile. Basta un dado, per giocare».
«Di quelli da gioco dell’oca?» Mi chiese incuriosito.
«Sì, quelli da gioco dell’oca! O da Monopoli, se preferisce!».
«Manipolo?».
Scioccamente, non riuscii a non ridere. «Non manipolo: Monopoli! È un gioco da tavolo. Un gioco di società», solo allora mi resi conto di quanto fosse fuori luogo quell’esempio: quelli della sua generazione probabilmente non hanno mai giocato a questo tipo di giochi e i ragazzini di oggi, i suoi nipotini, facilmente non sanno neanche cosa siano! E pensare che da bambino ho vissuto per giocare a giochi di società: Risiko!, Crack!, Brivido... Per essere bravi insegnanti forse si dovrebbero guardare un po’ anche i cartoni animati e le serie tv che riempiono il tempo libero dei nostri studenti, per avere riferimenti comuni quando si cercano esempi calzanti ma leggeri nel contempo. «Comunque non importa se non lo conosce, mi basta che abbia presente un dado da gioco!».
«Di quelli da gioco dell’oca?».
Sorrisi. «Sì, di quelli da gioco dell’oca. Bene, innanzitutto non costa niente giocare! I giochi d’azzardo sono sempre così: o non costa nulla o costano poco: chi non si può permettere un Gratta e vinci? Vero?».
«Sacrosanto, figliolo».
«Bene, lei lancia il dado e, le ricordo, senza spendere nulla, se uscisse 1 le darei 5 euro».
«Giochiamo!», mi interruppe lui, tutto eccitato.
«Aspetti, mi faccia finire! Il dado da gioco dell’oca ha sei facce... Dicevo, se uscisse 1 lei vincerebbe 5 euro...».
«Senza spendere nulla?».
«Senza spendere nulla! Se uscisse 2, vincerebbe un euro».
«Un caffè!».
«Sì, vincerebbe un caffè. Se uscisse 3, un caffè».
«E se uscisse 4?», mi chiese impaziente.
«Un caffè», gli risposi io soddisfatto. Mi stava seguendo, e questo era bene. Non era scontato! Se solo avessi avuto da scrivere, sarebbe stato più facile... «E se uscisse 5, vincerebbe sempre un euro!».
«Senza spendere nulla?» mi chiese quasi incredulo.
«Sì, sempre senza spendere nulla. Quindi, riassumendo, con 1 vincerebbe 5 euro, con 2 un euro, con 3 un euro, con 4 un euro, con 5 un euro e con 6...».
«Con 6 un euro!», azzardò lui.
«Eh, chiaro, sono una banca che regala soldi!», gli risposi io.
«Nooo?», mi chiese lui e scoppiamo a ridere insieme. Ditemi voi se è mai possibile farsi prendere per i fondelli da uno sconosciuto!? E la cosa peggiore è che me l’ero cercata!
«Certo che no! Se uscisse 6 perderebbe 10 euro. Ma perderebbe solo una volta su sei. Praticamente mai. Capisce? È più facile vincere che giocare! Ed è più facile giocare che perdere!». Ecco, eravamo arrivati al punto cruciale: avevo sottolineato che giocare non costa nulla, avevo ripetuto le possibili vincite, avevo evidenziato che vincere è molto più facile che perdere e, soprattutto, avevo presentato la possibile perdita una sola volta, en passant, condendo il tutto con uno slogan d’effetto...
«È più facile vincere che giocare!» ripeté lui mentre rifletteva, «ed è più facile giocare che perdere!».
Se solo avessi parlato velocissimamente, scrivendo in piccolo le condizioni di gioco sulla panchina sarei stato una perfetta pubblicità della SISAL!
«La domanda è questa» lo incalzai io: «Le converrebbe giocare? Quante volte le converrebbe giocare? E a me, a me che sono il banco, converrebbe giocare? Quante volte mi converrebbe giocare? ... Ti piace vincere facile?».
«Ponzi ponzi po-po-po!» mi rispose lui.
Beccato! «Bene, giochiamo?».
Solitamente, nel mio giorno libero da scuola, evito di andare in centro. Però dovevo ordinare un libro e, chiamatemi vecchio, odio farlo online. Mi piace invece andare di persona, parlare coi commessi, stringere mani... e se posso passeggio tra gli scaffali, sfoglio i volumi appena arrivati, rileggo la seconda di copertina dei grandi classici... mi godo il tempo, lo dilato, lo assaporo, lo riempio di persone e cose. Come in quel momento. Seduto su una panchina, con il sole che cominciava a far capolino da dietro la chiesa di Santo Stefano, aspettavo in silenzio la risposta del mio nuovo amico.
Ma la risposta non arrivava e così mi persi nuovamente nei miei pensieri: capisco anni fa, ma che oggi il gioco d’azzardo sia un problema lo si sa. Come è possibile che personaggi famosi, e non poco, si prestino come testimonial? Può essere che sia solo per soldi? Nel senso, le persone a cui mi riferisco non hanno certo bisogno di più soldi o maggior notorietà! E quindi? Dov’è l’etica di uno sportivo o la poetica di un artista? Nel portafogli? Davvero?
«Come si chiama?». L’accento fortemente bolognese mi distrasse dai miei pensieri ancor più della voce in sé. Ecco, lo sapevo, non si ricordava neppure il mio nome! Se questo era il grado di concentrazione che riusciva ad avere come potevo sperare di...
«Federico. Mi chiamo Federico».
«Figliolo, per chi mi ha preso, lo ricordo bene! Non sono mica rintronato! Il gioco! Volevo sapere come si chiama il gioco!».
Sorrisi: «L’ho chiamato Sessant’1... allora, gioca?».
«Glielo ho già detto! Non sono rintronato! Né tantomeno sono nato ieri. Io giocherei» mise entrambe le mani sul bastone e sopra ci appoggiò il mento, «ma da come l’ha presentato ci deve essere un trucco!».
Ero stupito. Di più, eccitato.
«Allora?».
«Allora cosa?» gli feci eco io. Ma stavo solo giocando. Sapevo benissimo dove voleva andare a parare.
«Mi racconta l’altra parte della storia, o no?».
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