Radicali liberi
Elogio della scienza anarchica
La scienza è davvero una disciplina noiosa per gente noiosa? Niente di più sbagliato. Michael Brooks ci presenta il volto segreto e umano – talvolta troppo umano – degli scienziati.
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068354
- Anno: 2012
- Mese: settembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 288
- Tag: Etica Pseudoscienza
Nella scienza vale tutto. Per arrivare a una scoperta, gli scienziati sono disposti a fare uso di droghe o a sperimentare su se stessi. Sono pronti a calpestare l’avversario e a combattere accanitamente per dimostrare la validità delle proprie idee anche quando tutto sembra dar loro torto. Gli esempi celebri abbondano: Newton non esitò a falsificare i propri risultati e ad attaccare ferocemente i colleghi che avrebbero potuto oscurare la sua fama; i premi Nobel per la medicina Werner Forssmann e Barry Marshall rischiarono la vita pur di dimostrare la validità delle proprie intuizioni; lo stesso Einstein non fu esente da errori e omissioni, e fu sempre profondamente restio ad accettare le critiche. È proprio questa anarchia di fondo a rendere possibile le grandi scoperte: senza la capacità di superare gli schemi predefiniti, senza il coraggio di infrangere le regole, la scienza cesserebbe di esistere. Per dare alla scienza un futuro e per far crescere una nuova generazione di scienziati è necessario far emergere il vero spirito scientifico, liberandolo dalla patina di noia e conformismo che lo avvolge e restituendogli dunque la libertà.
Prologo - 1. Come è cominciato tutto - Sogni, droghe e visioni divine - 2. I delinquenti - Le regole esistono per essere infrante - 3. I signori dell’inganno - Le prove non sono tutto - 4. Giocare con il fuoco - Chi non risica non rosica - 5. Sacrilegio - Infrangere tabù fa parte del gioco - 6. Fight club - Nessun premio per i secondi - 7. A difesa del trono - Machiavelli ne sarebbe orgoglioso - 8. Sulla linea di tiro - Vivere sulle barricate - Epilogo - Ringraziamenti - Indice analitico
È probabile che il procedimento sperimentato per la prima volta da Werner Forssmann abbia salvato la vita di qualcuno che conoscete.
Ogni anno milioni di persone si sottopongono a cateterismo cardiaco. È la normale tecnica utilizzata per controllare il funzionamento del cuore dopo una crisi, un dolore toracico o qualche altro sintomo di problemi cardiaci. Una descrizione della procedura basterà a farvi venire la pelle d’oca: si pratica una piccola incisione su un’arteria – di solito vicino all’inguine – e vi si infila un tubicino, facendolo scivolare fino al cuore. Di sicuro non è il genere di cose che vorreste farvi da soli.
La storia comincia nel 1929, quando Forssmann vide alcuni disegni che raffiguravano un veterinario intento a raggiungere il cuore di un cavallo attraverso la vena giugulare. A quell’epoca il cuore era offlimits.
Secondo l’opinione dominante, esporre il cuore, o più semplicemente toccarlo, equivaleva a condannare a morte certa il paziente.
Era un’idea sensata: oggi sappiamo che il contatto di un corpo estraneo con il rivestimento delle pareti del cuore può alterare il ritmo cardiaco, provocando la morte immediata. Forssmann, frustrato, si sentiva in un vicolo cieco. Si sapeva ben poco di come funzionasse il cuore e tanto meno di cosa potesse causargli dei problemi. Forssmann si disse che se si fosse riusciti, in qualche modo, ad accedere al cuore attraverso una vena, forse si sarebbe potuto quanto meno imparare qualcosa sul suo funzionamento. Forse si sarebbe potuto addirittura utilizzare un tubo per far arrivare farmaci o liquidi direttamente al cuore.
Forssmann aveva avuto l’idea, ma ciò che gli mancava era il potere.
Era solo un tirocinante di un piccolo ospedale di Eberswalde, 45 chilometri a nord-est di Berlino. Così andò dal suo capo, il chirurgo Richard Schneider, e suggerì di sperimentare la tecnica su pazienti moribondi. Schneider disse di no. Forssmann si offrì addirittura volontario, ma Schneider non ne volle sapere e vietò qualsiasi esperimento del genere.
Ciò che accadde in seguito dimostra semplicemente quanto possa essere anarchico – in questo caso, forse, sarebbe più adeguato «sovversivo» – uno scienziato. Forssmann sapeva che l’esperimento richiedeva strumenti chirurgici sterili che erano chiusi in sala operatoria, perciò rintracciò una persona che ne possedeva la chiave e cominciò un’opera di seduzione. La capo infermiera Gerda Ditzen non ebbe scampo.
«Cominciai a gironzolare intorno a Gerda come un gatto goloso intorno al recipiente della panna». Forssmann descrive così la sua prima mossa nell’incredibile sequenza di eventi che lo condusse al Nobel. Ditzen adorava la medicina, e Forssman sfruttò quella passione: la coprì di libri di testo, restò a parlare con lei di chirurgia per ore, e infine, quando ritenne che era giunto il momento, le accennò all’esperimento che avrebbe tanto voluto fare. Ditzen finì per consentirgli l’accesso all’attrezzatura necessaria, offrendogli il proprio corpo come primo soggetto di sperimentazione.
Una sera, quando la sala operatoria era ormai chiusa, la coppia si lanciò nell’impresa proibita. Forssmann fissò le braccia e le gambe di Ditzen al tavolo operatorio, dopo di che le disinfettò un braccio con lo iodio là dove avevano deciso di praticare l’incisione. A quel punto scomparve. Ditzen rimase in attesa – con un certo nervosismo, possiamo supporre – ma Forssmann non tornò. Tutto quello che voleva era l’accesso all’attrezzatura: non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo la vita di Ditzen. Allontanatosi, si incise la vena brachiale e si cateterizzò, spingendo un sottile tubicino di gomma in direzione del cuore.
Forssmann raccontò che la manovra gli procurò una «sensazione di bruciore». Quando il tubo ebbe raggiunto la spalla, Forssmann tornò da Ditzen e le mostrò ciò che aveva fatto. Il suo sotterfugio la fece infuriare, ma lui riuscì a calmarla e le chiese di accompagnarlo al piano di sotto, al dipartimento di radiologia, per osservare l’avanzamento del tubo man mano che Forssmann lo spingeva verso il cuore.
L’infermiera Ditzen sorreggeva uno specchio, per consentirgli di vedere quello che stava facendo.
Il tecnico delle radiografie, uscito dalla stanza alla chetichella, ritornò con il dottor Peter Romeis, uno dei colleghi di Forssmann.
La prima reazione di Romeis fu di cercare di rimuovere il catetere.
Forssmann si oppose, sferrando un violento calcio negli stinchi di Romeis. In preda a un dolore più forte di quello provato dall’uomo con un tubo di gomma nel proprio atrio destro, Romeis finì per desistere.
Il catetere aveva raggiunto il cuore; non c’era più niente da perdere nel fare una radiografia a dimostrazione del raggiungimento di quella pietra miliare della medicina.
L’immagine fu pubblicata nell’articolo inviato da Forssmann alla rivista «Klinische Wochenschrift» insieme a una menzogna spudorata sulla procedura utilizzata. Il capo di Forssmann, Richard Schneider, gli aveva suggerito di dire che la tecnica era stata sperimentata prima sui cadaveri; Forssmann aggiunse il tocco di un collega immaginario che aveva cominciato l’operazione ma che si era turbato troppo per poter continuare, abbandonando Forssmann e obbligandolo così a finire da solo. Era l’imbroglio finale che si confaceva a quella dimostrazione di anarchia.
La verità, alla fine, venne a galla; i colleghi e i superiori di Forssmann all’ospedale di Eberswalde ne rimasero impressionati. Ne rimasero talmente impressionati, in effetti, che lo mandarono a lavorare con l’illustre chirurgo tedesco Ferdinand Sauerbruch.
C’è qualcosa di ironicamente amaro in ciò che accadde in seguito.
Quando Sauerbruch scoprì cosa aveva fatto Forssmann lo licenziò, commentando seccamente «Non si può cominciare un’operazione in quel modo!». Nel giro di dieci anni, però, Sauerbruch divenne protagonista di una forma di anarchia dalle tinte decisamente più fosche: messo da Hitler a capo del corpo medico dell’esercito, finì per effettuare e autorizzare la sperimentazione medica sui pazienti dei campi di concentramento per conto delle SS. Gli esperimenti condotti – tra i quali l’esposizione dei prigionieri all’iprite – furono una delle ragioni che portò alla redazione del Codice di Norimberga.
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