Le grandi domande Fisica
Michael Brooks si interroga sulla natura della realtà e risponde a venti domande sui temi fondamentali della fisica quantistica, della relatività, dell’origine dell’Universo.
- Collana: Le grandi domande
- ISBN: 9788822013026
- Anno: 2011
- Mese: marzo
- Formato: 15 x 21,3 cm
- Pagine: 208
- Note: illustrato, rilegato e chiuso con elastico
- Tag: Scienza Fisica Universo Relatività Fisica quantistica
A COSA SERVE LA FISICA?
CHE COS’È IL TEMPO?
CHE FINE HA FATTO IL GATTO DI SCHRÖDINGER?
PERCHÉ CADONO LE MELE?
I SOLIDI SONO DAVVERO SOLIDI?
PERCHÉ NON ESISTONO PRANZI GRATIS?
SIAMO IN BALÌA DEL CASO?
CHE COS’È LA PARTICELLA DI DIO?
SIAMO UNICI?
SI PUÒ VIAGGIARE NEL TEMPO?
IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE STA SCOMPARENDO?
PERCHÉ E = mc2 ?
POSSO CAMBIARE L’UNIVERSO CON UN SEMPLICE SGUARDO?
LA TEORIA DEL CAOS È SINONIMO DI DISASTRI?
CHE COS’È LA LUCE?
LA TEORIA DELLE STRINGHE SI OCCUPA DAVVERO DI STRINGHE?
PERCHÉ ESISTE QUALCOSA ANZICHÉ NIENTE?
VIVIAMO IN UNA SIMULAZIONE?
QUAL È LA FORZA PIÙ POTENTE DELLA NATURA?
QUAL È LA VERA NATURA DELLA REALTÀ?
Introduzione - A COSA SERVE LA FISICA? Domande impossibili, ricompense inattese e l’eterna sete di conoscenza - CHE COS’È IL TEMPO? La freccia del tempo, il disordine e gli orologi elastici di Einstein - CHE FINE HA FATTO IL GATTO DI SCHRÖDINGER? La fisica quantistica e la natura della realtà - PERCHÉ CADONO LE MELE? La gravità, la massa e il mistero della relatività - I SOLIDI SONO DAVVERO SOLIDI? Gli atomi, i quark e i solidi che scivolano tra le dita - PERCHÉ NON ESISTONO PRANZI GRATIS? L’energia, l’entropia e la ricerca del moto perpetuo - SIAMO IN BALÌA DEL CASO? L’indeterminazione, la realtà quantistica e il ruolo probabile della statistica - CHE COS’È LA PARTICELLA DI DIO? Il bosone di Higgs, l’LHC e la ricerca del significato della massa - SIAMO UNICI? I limiti del nostro Universo e la ricerca di mondi paralleli - SI PUÒ VIAGGIARE NEL TEMPO? La relatività incontra la fantascienza - IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE STA SCOMPARENDO? La deriva dei poli, il cuore turbolento del pianeta e la vita in pericolo - PERCHÉ E = mc2? L’equazione fondamentale dell’Universo - POSSO CAMBIARE L’UNIVERSO CON UN SEMPLICE SGUARDO? Strani legami quantistici: possiamo riscrivere la storia? - LA TEORIA DEL CAOS È SINONIMO DI DISASTRI? L’effetto farfalla e la sua influenza sul clima e sul moto dei pianeti - CHE COS’È LA LUCE? Strana per essere un’onda, e ancor più strana per essere una particella - LA TEORIA DELLE STRINGHE SI OCCUPA DAVVERO DI STRINGHE? Le vibrazioni che hanno creato l’Universo - PERCHÉ ESISTE QUALCOSA ANZICHÉ NIENTE? Il Big Bang, l’antimateria e il mistero della nostra esistenza - VIVIAMO IN UNA SIMULAZIONE? La natura umana, le leggi fisiche e il progresso tecnologico - QUAL È LA FORZA PIÙ POTENTE DELLA NATURA? Dalla superforza alle interazioni che mantengono l’Universo unito - QUAL È LA VERA NATURA DELLA REALTÀ? Oltre il mondo dei quanti comincia il regno dell’informazione - Glossario - Indice analitico
PERCHÉ CADONO LE MELE?
La gravità, la massa e il mistero della relatività
A causa della gravità, naturalmente. Lo sanno tutti. Ma qual è la natura fondamentale della gravità? Ecco una domanda molto più difficile, nonostante la gravità sia la prima delle forze fondamentali della natura di cui ci rendiamo conto in maniera consapevole.
Ecco un esperimento che potete fare anche voi a casa. Vi serve un bambino di sei mesi (potete farvelo prestare). Legate una lenza a uno dei giochi del bambino – a un sonaglio, ad esempio – e appendetelo al soffitto in modo che poggi appena su una sedia e che la lenza sia tesa e invisibile. Fate in modo che il bambino vi veda mentre fate scivolare via la sedia, e osservatelo attentamente: quando il sonaglio rimane inspiegabilmente sospeso a mezz’aria, il bambino lo fisserà molto più a lungo del normale.
Per gli psicologi questo è il modo in cui il bambino esprime il proprio stupore. A quanto pare sappiamo fin da piccolissimi (e da prima di quanto avremmo potuto immaginare) che quando un oggetto non è sostenuto cade verso il basso, e quando ciò non accade ne siamo sconcertati. Non c’è da stupirsi, quindi, se i giochetti di levitazione degli illusionisti dell’età vittoriana hanno ipnotizzato un’intera generazione. Quando la realtà sfida la gravità, dentro di noi non sappiamo se esserne affascinati o indignati.
È che la gravità, vedete, è tiranna. Non la si può imbrogliare. Non possiamo schermarla come si fa con un campo elettrico o un campo magnetico. E non possiamo neanche contrastarla con un’altra forza: sembra proprio che la fisica non sia in grado di fornirci un’antigravità.
Il potere della gravità occupa un ruolo così importante nella nostra esperienza che in pratica non ci accorgiamo neanche della sua presenza. È solo quando non c’è – o meglio, quando ci sembra che non ci sia – che ci ricordiamo della sua presenza costante.
Forse è per questo che i primissimi scienziati le hanno dedicato pochissima attenzione. Oggi sappiamo che la caduta di una persona che inciampa, la traiettoria arcuata di una freccia e il moto dei pianeti si spiegano nello stesso modo, ma nella Fisica di Aristotele non c’è traccia di una forza universale che governa il cosmo. È vero che Aristotele ipotizzava che gli oggetti non si allontanassero dalla Terra a causa della «pesantezza» di quest’ultima, ma il suo ragionamento era tortuoso. Per Aristotele l’intensità dell’attrazione terrestre dipendeva dalle dimensioni dell’oggetto e dalla sua composizione.
Aristotele affermava che gli oggetti pesanti cadono più velocemente di quelli leggeri. Questa idea è legata all’ossessione dei Greci per gli elementi:Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Gran parte degli oggetti noti ad Aristotele erano composti da materiali estratti dalla Terra, e secondo lui l’attrazione era così intensa perché gli oggetti volevano ritornarci. Le nostre conoscenze non riuscirono ad abbandonare questa idea errata per quasi duemila anni. Alla fine, però, Galileo Galilei dimostrò che Aristotele aveva torto: un corpo pesante e uno leggero cadono con la stessa velocità, a patto di poter trascurare la resistenza dell’aria.
Non solo rumore
Se il mondo ha una natura fondamentalmente casuale, possiamo almeno sperare di far fruttare la sua casualità. Cominciamo dalle vibrazioni. Nel corso della Seconda guerra mondiale, gli equipaggi degli aerei si erano resi conto che gli strumenti di bordo funzionavano meglio durante il volo. Le vibrazioni dell’aereo, infatti, impartivano alle lancette degli indicatori una serie di piccole oscillazioni casuali che compensava l’attrito dei componenti della strumentazione. Anche gli animali sembrano trarre vantaggio dal rumore casuale. I gamberi d’acqua dolce finiscono più facilmente nelle fauci dei loro predatori quando l’acqua è calma: quando l’acqua è leggermente mossa la loro sensibilità alle turbolenze indotte dall’avvicinarsi di un pesce sembra essere più alta del solito.
Il caso sembra avere un’utilità anche sul fronte opposto dell’equazione del cibo: ne è un esempio la tecnica utilizzata dal pesce spatola per scovare il plancton. Il plancton, infatti, emette un debole segnale elettrico, e il muso allungato del pesce spatola è dotato di sensori capaci di rilevarne la presenza. La maggior parte del tempo il segnale emesso dal plancton è troppo debole per essere rilevato dal pesce spatola, ma l’evoluzione ha dotato l’animale di cellule nervose che aggiungono un po’ di rumore al segnale. Il risultato è un fenomeno noto come «risonanza stocastica», che amplifica il segnale e consente al pesce di rilevare la presenza del plancton.
È possibile che anche il nostro cervello ricorra a un trucco del genere. È stato dimostrato che i moscerini della frutta (il cui cervello ha la stessa struttura di quello dei vertebrati) si servono della risonanza stocastica per migliorare il proprio odorato. Alcune ricerche hanno dimostrato che è possibile migliorare la vista, l’udito, il tatto e l’equilibrio di una persona anziana aggiungendo un po’ di rumore casuale ai segnali che gli occhi, le orecchie e la pelle inviano al cervello. L’efficacia degli impianti cocleari utilizzati dalle persone con problemi di udito, ad esempio, aumenta quando al segnale viene aggiunta una piccola dose di rumore casuale.
L’antimateria nell’Universo
Una volta che ci si rese conto che l’antimateria poteva esistere, fu naturale chiedersi quanta ne contenesse l’Universo.È dappertutto? Se ne sta tranquilla in qualche stella di antimateria in una galassia di antimateria? E se è così, l’Universo contiene più materia che antimateria? Potrebbe essere questa la ragione per cui c’è qualcosa anziché niente? Il problema è che per trovare una risposta a queste domande bisognerebbe saperne molto di più sull’antimateria. Ma come si fa a studiare qualcosa che si annichila con qualsiasi cosa tocchi?
Lo spazio cosmico ci ha dato qualche risposta: abbiamo la ragionevole certezza che non esistono stelle di antimateria, anche se nell’Universo esistono sorgenti naturali di antimateria.Una di queste è stata osservata dal telescopio INTEGRAL:si tratta di una fontana di elettroni carichi positivamente (detti anche positroni) che fuoriescono da un punto vicino al centro della Via Lattea. Anche sulla Terra ci sono tracce di antimateria. Come dimostrò Carl Anderson, possiamo studiare l’antimateria analizzando i prodotti delle collisioni tra i raggi cosmici e l’atmosfera terrestre. Sfortunatamente, però, non si tratta di una sorgente abbondante: in tutto il Sistema solare, l’interazione tra i raggi cosmici di alta energia e le nuvole di gas producono all’incirca tre o quattro tonnellate di antimateria all’ora.
In realtà, i nostri sforzi per creare l’antimateria sulla Terra hanno dato risultati ancora più scarsi. La nostra principale sorgente di antimateria si trova al CERN, il centro europeo per la ricerca nucleare di Ginevra, ma sfrutta un procedimento estremamente primitivo. I ricercatori del CERN non fanno altro che inviare un fascio di protoni, carichi positivamente, contro un pezzo di metallo (rame o tungsteno). Il risultato è uno sciame di particelle, tra le quali si trova anche qualche antiprotone, carico negativamente. Alcune di queste (poche) particelle, emesse nella direzione giusta, finiscono in un sistema di raccolta.
Per ogni dieci miliardi di joule di energia spesi nel processo, i ricercatori del CERN ottengono l’equivalente di un joule di antimateria. Se annichilaste tutta l’antimateria mai prodotta al CERN otterreste l’energia sufficiente ad alimentare una sola lampadina per qualche minuto.
Non dovete immaginare di poter immagazzinare quest’energia per alimentare una rete elettrica. Dato che l’antimateria non può entrare in contatto con la materia ordinaria, la si isola in una cavità speciale, la «trappola di Penning»,mediante un insieme di campi elettrici e magnetici. Il campo magnetico fa sì che le particelle non tocchino le pareti della cavità. Finora gli scienziati sono riusciti a conservare l’antimateria in una trappola di Penning per pochi minuti alla volta; ogni trappola, inoltre, non può contenere più di un certo numero di particelle: non appena la repulsione reciproca delle particelle supera la forza del campo magnetico, infatti, l’antimateria si annichila sulle pareti della cavità.
Le trappole del CERN, inoltre, possono contenere un massimo di mille miliardi di particelle; detto così può sembrare tanto, ma non lo è. Corrisponde più o meno a un centesimo del numero di atomi contenuti nel palloncino di un bambino, e per arrivare a una cifra simile ci vorrebbero centinaia di milioni di anni di lavoro ininterrotto da parte degli scienziati del CERN. Per coronare il sogno di raggiungere le stelle a bordo di un’astronave alimentata ad antimateria (si veda il riquadro La propulsione ad antimateria) dovremo aspettare che si trovi una fonte di carburante più efficiente. La scarsità di antimateria, comunque, non ha impedito al CERN di darci qualche indizio per capire come sia potuto sopravvivere qualcosa al Big Bang.
17 aprile 2011 | La Sicilia |
25 marzo 2011 | Corriere della Sera |
24 aprile 2010 | Il Sole 24 Ore |
23 aprile 2010 | La Repubblica |