Viva la scienza
Narrazione e disegni si fondono in perfetta armonia per aiutarci a scoprire la bellezza della scienza in compagnia dei suoi più illustri protagonisti.
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068316
- Anno: 2012
- Mese: aprile
- Formato: 17 x 20 cm
- Pagine: 232
- Note: illustrato a colori, cartonato
- Tag: Scienza Storia della scienza
La scienza è comunemente vista come un’attività difficile e per pochi eletti, portata avanti da studiosi che si isolano dal mondo reale. Gli autori, accompagnandoci in un viaggio avvincente che spazia dalle infinità dell’Universo fino all’evoluzione, ci svelano invece, attraverso aneddoti intriganti e biografie avventurose, la vera essenza degli scienziati: uomini pieni di passioni, immersi nella storia e nella vita quotidiana. Che cos’è la scienza, attività unica per l’uomo, vitale per affrontare tante insidie della vita moderna? È la domanda cruciale con cui si apre il racconto di questo mondo straordinario. Dalla fisica alla matematica, passando per la chimica e la biologia, con la scoperta del DNA e delle sue molteplici combinazioni che rendono uniche tutte le forme di vita, il libro giunge ad analizzare il ruolo delle nuove tecnologie, i significati sociali di Internet e quelli etici della clonazione, e le sfide per il futuro che la scienza può aiutare a risolvere. Disegni e parole convergono in perfetto equilibrio per stimolare i lettori a godere pienamente dell’avventura della scienza.
Introduzione - 1. Cos’è la scienza? - 2. Viva la matematica! - Il teorema di Pitagora e i numeri irrazionali - Un frutto lungamente cercato: la dimostrazione dell’Ultimo Teorema di Fermat - Il genio matematico - Gli Elementi di Euclide - I numeri primi - Pi (p) nei cieli come in Terra - Esistono molti infiniti - Incertezza dentro la certezza: Gödel - Viva la matematica! - 3. L’Universo - L’astronomia, una scienza antica - Copernico, Brahe e Keplero - Gli insegnamenti e l’esempio di Galileo - Cartesio: su lettere e numeri - Isaac Newton, «il Grande tra i Grandi» - La Rivoluzione scientifica - Fratelli nello spazio e nel tempo (o nello spazio-tempo?): da Newton ad Einstein - Cosa c’è là fuori? Comete, nebulose e galassie - Dalla spettroscopia all’espansione dell’Universo - La ricchezza dell’Universo - 4. La vita, polvere di stelle: dagli atomi ai sogni - La chimica, una scienza onnipresente - Un chimico che perse la testa: Lavoisier - Gli elementi chimici e la tavola periodica - La struttura della materia - I fenomeni elettromagnetici - Dai raggi X alla radioattività - Sistemi solari microscopici? Il modello atomico di Rutherford - La fisica quantistica e il suo contributo alla conoscenza della struttura della materia - Un mondo eterogeneo e sconcertante - La fisica quantistica, pilastro del mondo attuale - Polvere di stelle - Charles Lyell e la nascita della geologia moderna - La crosta terrestre si muove: da Wegener alla tettonica a placche - La comparsa della vita sulla Terra - La ricchezza della vita - Sul filo del rasoio cosmico: grandi estinzioni - E apparve la specie umana, Homo sapiens - Il messaggero dell’evoluzione: Charles Darwin - Un monaco a cui piacevano i piselli: Gregor Mendel e l’ereditarietà biologica - Dai cromosomi e le cellule staminali al DNA - Il Progetto Genoma Umano - La fisiologia e i cani idrofobi o affamati - Su cervelli e sogni umani - 5. Scienza e futuro - Il futuro arriva molto più in fretta - Internet, il futuro è cominciato ieri - Terra, mia cara Terra, che sarà di te? - Esodi planetari? - Vita, sì, però che vita? - Esseri immortali? - Appendice I 40 grandi della scienza - Indice dei nomi
Un chimico che perse la testa: Lavoisier
Nessuno fece di più, per convertire la chimica in una scienza sistematica, del francese Antoine-Laurent de Lavoisier (1743-1794). Considerato il padre della chimica moderna, Lavoisier fu uno dei grandi protagonisti dell’Illuminismo. Con le sue ricerche confutò la teoria dei 4 elementi (aria, acqua, terra e fuoco) e spiegò processi molto importanti come quello della combustione, dimostrando il ruolo cruciale svolto dall’ossigeno, fino ad allora quasi sconosciuto, a cui egli stesso attribuì questo nome come parte di una nomenclatura alla base di quella moderna e ancora oggi utilizzata. Sull’acqua, per esempio, scrisse le seguenti parole in un libro a cui faremo subito riferimento: «L’acqua sino a questi ultimi tempi erasi riguardata come una sostanza semplice, e gli antichi non avevano fatto difficoltà alcuna a qualificarla col nome di elemento. Questa era certamente per loro una sostanza elementare, poiché non erano giunti a decomporla, o almeno perché le decomposizioni dell’acqua che giornalmente si facevano sotto ai loro occhi, erano fuggite alle loro osservazioni; ma non si tarderà a vedere che l’acqua non è più per noi un elemento».
Come Euclide, Copernico, Galileo, Newton o Darwin (solo per citarne alcuni) ci hanno affidato libri in cui spiegavano o riassumevano le loro ricerche, libri che ora chiamiamo «classici della scienza», anche Lavoisier ci ha lasciato il Trattato elementare di chimica, che apparve nel 1789, l’anno in cui ebbe inizio la Rivoluzione francese, il movimento sociale e politico che avrebbe distrutto la sua vita.
Figlio di un ricco avvocato di Parigi, Lavoisier studiò diritto come il padre, ma sin dal primo momento mostrò il suo interesse per la scienza, i cui studi affiancò a quelli legali. Infatti, anche prima di ottenere il titolo di avvocato, scrisse – nel 1763 – il suo primo lavoro scientifico sulle aurore boreali. Particolarmente importante fu l’anno 1768, quando fu nominato «aggiunto sovrannumerario» dell’Accademia delle Scienze e iniziò anche la sua attività con la Ferme Générale, una delle principali istituzioni esistenti nell’Ancién Regime per la riscossione delle imposte. Si trattava di un’organizzazione finanziaria privata (Lavoisier ne entrò a far parte comprando delle azioni). Come appaltatore, Lavoisier era obbligato a fare delle ispezioni e presentare le sue osservazioni ai direttori della Compagnia, férmiers più anziani ed esperti come Jacques Paulze, del quale sposò, nel 1771, la figlia tredicenne Marie Anne Pierrette Paulze (1758-1836). Lo stesso anno del suo matrimonio, Lavoisier incrementò la sua quota di partecipazione nella Ferme Générale, investendo 780 000 franchi, una fortuna già per quei tempi. Riassumendo, Lavoisier apparteneva alla classe dirigente francese e la sua posizione sociale generava un particolare risentimento nelle classi più povere. Sorprende allora che nel processo terminato con la sua condanna a morte, assieme a Lavoisier ci fossero altri 25 férmiers (uno dei quali era suo suocero)? «Tutti gli Appaltatori Generali presenti», si legge nel testo della sentenza (che porta la data del 19 floreale dell’anno II, cioè l’8 maggio 1794), «sono stati condotti dinanzi il tribunale rivoluzionario per essere giudicati in base alla legge per i seguenti capi d’accusa: sperpero di denaro pubblico, violazioni e abusi, frode nei confronti del popolo, tradimento verso il governo e altri crimini di cui sono stati messi a conoscenza».
In realtà, questa condanna riguardava solo una parte dell’attività di Lavoisier il quale credeva che le sue conoscenze scientifiche fossero utili alla società. In questa prospettiva, egli aveva realizzato, per esempio, lavori che oggi definiremmo di «scienza applicata» (nel 1766 concorse al premio istituito dall’Accademia delle Scienze con un lavoro sull’illuminazione). Ricoprì anche importanti incarichi pubblici: nel 1775 fu nominato tra i 4 direttori della Régie des Poudres (l’Amministrazione delle Polveri), l’istituzione statale incaricata della produzione di polvere da sparo e salnitro, incarico che mantenne fino al 1791; nel 1787 fu eletto rappresentante del Terzo Stato nell’Assemblea Provinciale di Orleans e nel 1789 fu deputato supplente per la nobiltà di Bois presso gli Stati Generali e membro della Comune di Parigi.
Nulla di tutto questo gli fu però utile in quegli anni convulsi. La sua testa cadde sotto la ghigliottina l’8 maggio del 1794, insieme ad altri ventotto condannati, accusati di cospirazione contro il popolo francese. «È bastato solo un attimo per tagliare la sua testa. E forse non basterà un secolo per generarne un’altra pari alla sua», si dice furono le parole di Lagrange quando venne a conoscenza della morte di Lavoisier.
Il giorno prima della sua condanna, Lavoisier scrisse a suo cugino Augez de Villers: «Ho vissuto un’esistenza ragionevolmente lunga e di discreto successo e credo che il mio ricordo sarà accompagnato da qualche lamentela e forse da qualche gloria. Cosa avrei potuto desiderare di più? Le vicende in cui mi trovo coinvolto probabilmente mi eviteranno gli inconvenienti della vecchiaia».
Il suo fu, come si può vedere, un finale degno, con un tocco di fine ironia e, inevitabilmente, di malinconia. Un finale che non impedì – e mai potrebbe impedire – che la scienza a cui si era dedicato con passione continuasse a progredire.
Feynman mostrò anche grande originalità e abilità pedagogiche e intuitive non comuni nella sua versione della QED, nella quale introdusse alcuni diagrammi (conosciuti come «diagrammi di Feynman») che facilitarono enormemente i complessi calcoli della teoria.
Ed è impossibile dimenticare la sua partecipazione alla Commissione Presidenziale istituita per indagare le cause dell’incidente della navetta spaziale Challenger nel 1986. Fu proprio lui a dimostrare, in una delle sessioni della Commissione, il motivo del disastro. Ebbe bisogno solo di un bicchiere d’acqua gelata e una guarnizione di gomma, che immerse nell’acqua per dimostrare, contrariamente a ciò che si era pensato, come la bassa temperatura della mattina in cui ebbe luogo il lancio avesse reso particolarmente fragile la gomma delle guarnizioni che rivestivano le giunture della navetta.
Tenendo conto del fatto che questo libro ha la pretesa di avvicinare alla scienza quante più persone possibili e che un modo di farlo è mostrare che né la scienza né gli scienziati sono privi di umanità, ci sembra opportuno citare la lettera che Feynman scrisse il 3 febbraio 1966 a un suo vecchio studente, un giapponese di nome Koichi Mano, che gli aveva scritto per complimentarsi del premio Nobel.
La lettera di Feynman in questione fu motivata anche da una dichiarazione di Mano. Infatti, in una precedente lettera, questi aveva risposto a una precisa domanda di Feynman dicendo di occuparsi solo di «un banale problema, umile e pratico».
Caro Koichi,
mi ha fatto molto piacere ricevere la tua risposta, e sapere che hai un buon lavoro nei laboratori di ricerca.
Purtroppo la tua lettera mi ha rattristato, perché pari davvero infelice. Sembra che l’influenza del tuo professore ti abbia dato una falsa idea di quali siano i problemi degni di essere affrontati. I problemi degni d’interesse sono quelli che si possono realmente risolvere o aiutare a risolvere, quelli per i quali si può realmente dare un contributo. Un problema è importante, nella scienza, se giace davanti a noi insoluto e se riusciamo a vedere un modo per farvi breccia e penetrarlo un poco. Ti consiglierei di prendere problemi ancora più semplici o, come hai detto, umili finché ne trovi uno che puoi risolvere facilmente, non importa quanto sia banale. Conoscerai il piacere di riuscire e di aiutare i tuoi simili, anche se si trattasse solo di rispondere a una domanda di un collega meno capace di te. Non devi privarti di questi piaceri solo perché hai un’idea erronea di che cosa è importante.
Mi hai incontrato all’apice della mia carriera, quando ti sembravo occupato in problemi prossimi agli dèi. Ma nello stesso periodo avevo un altro studente di dottorato (Albert Hibbs), la cui tesi riguardava la formazione di onde prodotte dal vento che soffia sulla superficie dell’oceano. Lo accettai come studente perché era venuto da me con il problema che voleva risolvere. Con te ho fatto un errore, ti ho dato io il problema invece di lasciare che te lo trovassi da solo; e ti ho lasciato una idea falsa delle cose interessanti o piacevoli o importanti su cui lavorare (e cioè quei problemi per i quali capisci che tu puoi fare qualcosa).
Ne sono desolato, ti chiedo scusa. Spero di riuscire a rimediare almeno un poco, con questa lettera.
Io ho lavorato su innumerevoli problemi che tu definiresti umili, ma che mi sono piaciuti e mi hanno dato molta gioia perché talvolta sentivo di poter riuscire. Ad esempio, gli esperimenti sul coefficiente di attrito per superfici molto levigate, per tentare di apprendere qualcosa su come funziona l’attrito (senza riuscirci).
Oppure, come dipendono le proprietà elastiche dei cristalli dalle forze che si esercitano tra i loro atomi, o come fare aderire le placcature di metallo depositate elettroliticamente su oggetti di plastica (come le manopole delle radio). Oppure, la diffusione dei neutroni emessi dall’uranio. O la riflessione delle onde elettromagnetiche da parte delle pellicole che rivestono il vetro. Lo sviluppo di onde d’urto nelle esplosioni. Il progetto di un contatore di neutroni. Perché alcuni elementi catturano elettroni dagli orbitali L ma non dagli orbitali K. La teoria generale su come piegare la carta per ottenere certi giochetti da bambini (chiamati flexagoni). I livelli energetici nei nuclei leggeri. La teoria della turbolenza (ci ho speso molti anni, senza successo). Più tutti i problemi «grandiosi» della teoria quantistica.
Nessun problema è troppo piccolo o troppo banale, se riusciamo davvero a farci qualcosa.
Tu dici di essere anonimo. Non lo sei per tua moglie e per tuo figlio. Non rimarrai a lungo tale per i tuoi colleghi, se potrai rispondere alle loro semplici domande quando verranno nel tuo ufficio.
Non sei anonimo per me. Non restare anonimo per te stesso, sarebbe troppo triste. Trova il tuo posto nel mondo e giudicati onestamente, non in base agli ideali ingenui della tua gioventù, né sulla base di quelli che, erroneamente, immagini siano gli ideali del tuo insegnante.
Ti auguro fortuna e felicità.
Richard P. Feynman.
Internet, il futuro è cominciato ieri
Nel paragrafo precedente abbiamo citato i computer e anche internet, una parola che da poco tempo è parte sempre più integrante della nostra vita. È opportuno quindi fermarsi un momento su questo punto.
Internet è in realtà il prodotto di una serie di sviluppi compiuti nel corso del XX secolo in un ramo della fisica quantistica nota come fisica dello stato solido. Ci riferiamo in particolare agli enormi progressi compiuti nel campo elettronico, soprattutto con l’invenzione del transistor nel 1947 da parte di John Bardeen (1908-1991), William Shockley (1910-1989) e Walter Brattain (1902-1987), avvenuta presso il dipartimento di Fisica dello stato solido dei Bell Laboratories (già citati nel capitolo 3), un centro di ricerca industriale che però ospitava molti scienziati «puri».
Il transistor (già incontrato nel capitolo 4) è un componente elettronico, fabbricato con un materiale semiconduttore (la cui conducibilità elettrica è situata tra quella dei metalli, ottimi conduttori, e quella degli isolanti), in grado di regolare e amplificare una corrente che lo attraversa, consumando pochissima energia. I transistor hanno sostituito le valvole termoioniche, che avevano bisogno di parecchio tempo per riscaldarsi ed entrare in azione, erano più grandi, consumavano più energia e si guastavano frequentemente.
Un momento di particolare importanza per lo sviluppo dei transistor si ebbe all’inizio degli anni ’60 del Novecento, con il miglioramento delle tecniche di crescita dei materiali su sottili fogli di silicio, che con il tempo portarono ai cosiddetti chip. I transistor smisero così di essere componenti specifici da dover collegare a un circuito, divenendo invece parti di circuiti integrati le cui varie componenti potevano essere costruite su uno stesso wafer di materiale semiconduttore.
Fino alla comparsa dei transistor e dei circuiti integrati, i calcolatori utilizzati erano giganteschi ammassi di componenti elettronici. Durante la Seconda guerra mondiale fu costruito uno dei primi computer, l’Electronic Numerical Integrator and Computer, noto anche con l’acronimo ENIAC. Era composto da 17 000 tubi elettronici uniti da migliaia di cavi, pesava 30 tonnellate e consumava 174 chilowatt. Possiamo considerarlo il modello tipico della prima generazione di computer. La seconda generazione arrivò negli anni ’50 del Novecento, con i transistor e può essere schematizzata nel TRIDAC (Transistorized Digital Computer), costruito nel 1954 dai Bell Laboratories per la Us Air Force: utilizzava solo 700 transistor ed era in grado di competere in velocità con l’ENIAC. E poi, ogni volta con maggiore rapidità, sono apparsi computer sempre più potenti e più piccoli. Per fare un esempio, i chip usa e getta delle cartoline di auguri musicali hanno già più potenza di calcolo di tutti i computer esistenti prima del 1950. Secondo alcuni analisti, presto saremo circondati da minuscoli microprocessori che rileveranno la nostra presenza mediante sensori a raggi infrarossi (che usano il calore che perdiamo), anticiperanno i nostri desideri (solo dopo averli conosciuti per mezzo di una precisa istruzione) e interpreteranno perfino le nostre emozioni. Servizi igienici intelligenti controlleranno la nostra salute, compiendo analisi chimiche dell’urina o misurando le pulsazioni cardiache, semplicemente mentre li stiamo utilizzando. Altri microprocessori, situati in orologi da polso o da taschino – dotati di maggiore capacità di immagazzinare e manipolare le informazioni rispetto al più grande dei computer di qualche anno fa –, fungeranno da medici e guide assolutamente personali.
E tutti questi microprocessori saranno collegati a internet, il sistema di cui parleremo fra poco, che sarà sempre più necessario, sia per chiamare il tecnico per la regolazione del nostro sistema di riscaldamento o di raffreddamento (formato da celle fotovoltaiche) che per informare il centro medico dei nostri problemi di salute.
Come si vede, i computer hanno cambiato le nostre abitudini e hanno ampliato le nostre possibilità, ma non nella stessa misura dell’altro grande strumento di comunicazione: il world wide web (www) e internet.
L’idea del www è dovuta a un fisico del CERN, Tim Berners-Lee (nato nel 1955). In questo centro europeo (già citato) si effettuano esperimenti di fisica delle alte energie che spesso coinvolgono gruppi di centinaia di persone, non necessariamente residenti nello stesso luogo e neanche all’interno dello stesso Paese. E di conseguenza, particolarmente sensibili a qualsiasi problema che ostacoli la comunicazione tra loro. Come soluzione a questa difficoltà, Berners-Lee, laureato in fisica all’Università di Oxford, propose nel 1989 l’idea del www. È vero che internet esisteva già da qualche decennio.
Era un insieme di reti globali attraverso cui comunicavano i computer inviandosi informazioni, avviato alla fine degli anni ’60 del Novecento dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per sviluppare un sistema di comunicazione che potesse sopravvivere a una guerra nucleare. Ma non era ancora presente in Europa (il CERN aprì i suoi primi collegamenti esterni a internet nel 1989 e un anno dopo era già il maggior centro di internet in Europa), né era libero da gravi problemi. Ecco come li descriveva lo stesso Berners-Lee nel libro L’architettura del nuovo web (1999): Internet era già in funzione negli anni ’70 [del Novecento], ma trasferire informazioni restava troppo complesso per quanti non fossero esperti di informatica. Dovevi aprire un programma per collegarti a un altro computer e poi nella conversazione (in un linguaggio diverso) con un’altra macchina usavi un programma differente per accedere all’informazione. Persino quando i dati tornavano al computer era impossibile decodificarli. Poi hanno inventato la posta elettronica. L’e-mail permette di spedire messaggi da una persona all’altra, tuttavia non creava uno spazio in cui l’informazione potesse esistere in permanenza e dove potevi andare a cercarla. I messaggi erano volatili.
Il www fu la risposta a questo problema. Un ingrediente fondamentale per il suo sviluppo fu l’invenzione – in cui Berners-Lee fu aiutato da Robert Cailliau – dell’http (Hyper-Text Transfer Protocol), che serve per trasferire informazioni su internet in modo da soddisfare le esigenze di un sistema di ipertesto globale, e dell’html (HyperText Markup Language), un linguaggio di calcolo per rappresentare il contenuto di una pagina ipertestuale, la lingua in cui sono scritte la maggior parte delle pagine in rete.
Può sembrare un’esagerazione, ma non è inverosimile pensare che ci sia stato un prima e un dopo nella storia dell’umanità e che il confine sia costituito, appunto, dall’invenzione del www e delle tecniche che hanno reso effettivamente possibile un internet accessibile a chiunque.
In sintesi: è vero, il futuro arriva adesso molto più rapidamente. E se si tratta di un «paese straniero» è una stranezza che si verifica quasi senza preavviso. E quindi è meglio essere preparati.
Così come siamo abituati a tenere qualcosa in frigorifero se riceviamo una visita improvvisa, è meglio prevedere ciò che la scienza e la tecnologia potranno fare nel futuro.
Perché, lo ripetiamo ancora una volta, fino a perdere la voce: la scienza è alla base di tutto quello che ci circonda!
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