Elogio della scienza
Le grandi svolte culturali che hanno segnato la storia del pensiero scientifico, in un viaggio circolare tra microcosmo e macrocosmo.
- Collana: Fuori Collana
- ISBN: 9788822041715
- Anno: 2012
- Mese: ottobre
- Formato: 19,5 x 17,5 cm
- Pagine: 192
- Note: illustrato a colori, rilegato
- Tag: Scienza Fisica Storia della scienza Astronomia
In questo libro appassionante, il fisico Sander Bais presenta una panoramica dei principali momenti di svolta nella storia delle scienze naturali, concentrandosi non tanto sugli aspetti tecnici, quanto invece sulla dimensione culturale della scienza. L’impresa scientifica ha contribuito a cambiare in modo sostanziale il nostro modo di concepire l’Universo e ha radicalmente trasformato la nostra percezione del posto che gli esseri umani occupano al suo interno. Nel corso di questo affascinante viaggio circolare tra microcosmo e macrocosmo, l’autore ci mostra come la scienza liberi la nostra mente dai miti collettivi che limitano la capacità di interpretare la realtà che ci circonda. Quella di Bais è un’autentica opera di divulgazione scientifica, in cui tutti i temi e i campi delle moderne scienze naturali vengono illustrati con la chiarezza e la semplicità di uno studioso che vi si è dedicato con passione. Affinché il messaggio innovatore della scienza superi i confini dell’accademia, è necessario mostrare la scienza per quello che è: un fenomeno sociale complesso che può fornirci una solida base per distinguere il vero dal falso, e che ci ricompensa offrendoci la possibilità di intravedere l’elusiva bellezza dell’Universo.
Prefazione - Introduzione - I. La curiosità vince i pregiudizi - Sistemi di riferimento - Codificare e decodificare - Dalla curiosità alla scoperta - Da fonte attendibile... - Spingersi oltre i confini - Pregiudizi duri a morire - La scoperta della Terra - Tuoni, fulmini e buchi neri - Dall’evoluzione all’HIV - Timori infondati - II. La doppia elica della scienza e della tecnologia - Interrogativi fondamentali - Domanda e offerta - La scienza empirica - La macchina della conoscenza - Ciò che la scienza non può fare - III. Punti di svolta - L’Uroboros della scienza - L’impresa scientifica - Strutture - Questioni di scala - Quattro forze fondamentali - Il cerchio delle scienze - La tecnologia - Tre frontiere - Punti di svolta - L’evoluzione cosmica - Unità e interconnessione - Le domande finali - IV. Alla ricerca della verità - I fatti parlano da soli - Discorso sul metodo - Uno stringato intermezzo - Popper è superato? - Una sociologia della scienza - Verso una Google-scienza? - La scienza nel cuore della cultura - Epilogo Della modestia scientifica - Bibliografia consigliata - Indice delle illustrazioni - Indice analitico
Dall’evoluzione all’HIV
All’inizio del nuovo millennio, nel mondo occidentale, si è svolto un altro dibattito che ha acquisito un’aura quasi scientifica. La controversia, di natura religiosa, ha suscitato grande attenzione perché alcuni leader politici di rilievo si sono affrettati a prendere posizione in materia.
Si trattava di una questione connessa con la teoria dell’evoluzione. Il movimento dell’intelligent design, il disegno intelligente, affermava che in natura vi sono chiari esempi di «complessità non riducibile» e che il paradigma centrale della moderna biologia – per cui tutti gli organismi si sono evoluti da forme di vita primitive secondo i princìpi della teoria dell’evoluzione di Darwin – non era in grado di spiegare tali esempi. La loro esistenza, secondo i sostenitori del movimento, rendeva insostenibile la teoria dell’evoluzione.
L’attacco non è stato portato per le consuete vie scientifiche, che prevedono di presentare i risultati di ricerche accurate a riviste specialistiche peer-reviewed. Più l’argomento è importante, più la rivista prescelta deve essere prestigiosa e critica. Ma la strategia del movimento del disegno intelligente ricorreva a un argomento spesso addotto per non seguire questa strada. In altre parole, si sosteneva che l’establishment scientifico non avrebbe mai accettato di pubblicare un articolo che confuta un dogma così rilevante. È comprensibile: nessuno contribuisce ad abbattere la propria casa. Per molti scienziati un ragionamento del genere, tipicamente pseudoscientifico, è lungi dall’essere con vincente. Il sistema in base al quale vengono selezionati gli articoli da pubblicare è tutt’altro che perfetto, ma è evidentemente abbastanza onesto da consentire a contributi rivoluzionari – come quelli della teoria della relatività e della teoria quantistica – di superare un esame rigoroso.
La situazione eccezionale del disegno intelligente, cui sono stati dedicati fin troppi libri, ha fatto scattare un campanello d’allarme. La comunità dei biologi si è subito impegnata a spiegare gli esempi in questione in base ai princìpi evolutivi, e la loro irriducibile complessità è risultata essere un po’ più riducibile di quanto proclamato dai suoi sostenitori. La controversia è culminata in una causa giudiziaria intentata nel 2005 negli Stati Uniti davanti alla corte distrettuale del Middle Pennsylvania da undici genitori contro il distretto scolastico della regione di Dover, a causa della decisione di quest’ultimo di rendere obbligatorio l’insegnamento del disegno intelligente nell’ambito delle lezioni di biologia. La causa si è risolta con una sentenza dal tono fermo emessa dal giudice John E. Jones III, che l’ha motivata con un circostanziato documento di ben 139 pagine.
Il verdetto stabiliva che l’insegnamento del disegno intelligente durante le lezioni di biologia in una scuola pubblica era in contrasto con il primo emendamento della Costituzione americana, poiché tale teoria non era scientifica e non poteva essere separata dal suo retroterra creazionista e religioso.
Da questo incidente ho imparato che è sempre pericoloso trarre conclusioni radicali da qualcosa che non capiamo, e che si farebbe meglio a trarre conclusioni modeste da ciò che invece comprendiamo.
Mi occupo qui di tale questione perché ha disorientato il pubblico, e le conseguenze avrebbero potuto essere molto gravi. Il movimento del disegno intelligente, che molti considerano dichiaratamente antiscientifico, ha insistito in tutte le maniere sul fatto che la sua visione della biologia dovesse essere insegnata nelle scuole secondarie per controbilanciare il contenuto implicitamente «nichilista» e antireligioso del programma ufficiale, che dà per scontata l’evoluzione. Non posso che condividere le reazioni accese di molte associazioni e istituzioni che riuniscono gli studiosi di scienze naturali negli Stati Uniti, che hanno invitato genitori e insegnanti a opporsi a «qualsiasi piano di studi in cui gli studenti siano tenuti a mettere a confronto la teoria scientifica scrupolosamente verificata dell’evoluzione con l’ipotesi dubbia del disegno intelligente.
La dottrina religiosa, sotto qualsiasi veste, è fuori luogo nel campo delle scienze esatte». Già nel 2002 la celebre rivista «Scientific American» aveva pubblicato un singolare articolo dal titolo Quindici risposte alle assurdità del creazionismo che iniziava con l’affermazione seguente:
Quando, 143 anni fa, Charles Darwin introdusse la teoria dell’evoluzione attraverso la selezione naturale, si scatenò tra gli scienziati dell’epoca un dibattito accanito, ma le prove sempre più numerose provenienti dai campi della paleontologia, della genetica, della zoologia, della biologia molecolare ed altri ancora hanno confermato la correttezza della tesi dell’evoluzione al di là di ogni ragionevole dubbio. Oggi la questione è ormai chiusa ovunque – tranne che nell’immaginazione collettiva.
Ci si potrebbe aspettare che, dopo secoli di progresso scientifico, miti e superstizioni siano stati spazzati via, ma non è così semplice. Nell’agosto del 2006 la rispettabile rivista «Science» scriveva che i sostenitori della teoria dell’evoluzione negli Stati Uniti erano sempre di meno! Nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 la percentuale degli adulti che affermavano che la teoria dell’evoluzione è «vera» era scesa dal 45% al 40%.
Anche la percentuale di persone che rifiutava la teoria di Darwin era diminuita dal 48% al 39%, mentre quella dei «non so» era triplicata dal 7% al 21%. È come se non avessimo mai detto addio al Medioevo.
Ma nello stesso articolo veniva anche indicato il vero problema:
Se gli viene presentata senza fare menzione del termine «evoluzione», il 78% degli adulti si ritrova in una descrizione dell’evoluzione di piante e animali.
Tuttavia, il 62% dei soggetti esaminati nello stesso studio crede che Dio abbia creato l’uomo nella sua forma attuale, senza alcuno sviluppo evolutivo. Tali adulti sembrano propendere per l’eccezionalità del genere umano. Se ne trovano tracce nel modo in cui molti adulti cercano di integrare la genetica moderna nella loro concezione della vita. Ad esempio, solo un americano adulto su tre riconosce che più della metà dei geni umani è identica a quella dei topi, e appena il 38% crede che gli esseri umani hanno in comune con gli scimpanzé più della metà dei geni. Da un’altra ricerca risulta che meno della metà degli americani adulti può dare una definizione elementare del DNA. Pertanto non sorprende che quasi la metà di coloro che hanno risposto nel 2005 non sapesse in quale percentuale i geni umani fossero presenti anche nei topi e negli scimpanzé.
Potremmo prendere in considerazione altri punti di contrasto tra scienza e fede presenti nella cultura moderna. A tale scopo rimando a libri interessanti come L’illusione di Dio, di Richard Dawkins e Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale, di Daniel Dennett. Affrontare in questa sede la discussione ci porterebbe troppo lontano, pertanto concludo l’argomento con alcune equilibrate osservazioni di Jerry Coyne dell’Università di Chicago:
L’accettazione dell’evoluzione non deve necessariamente portare a un abbandono della moralità o della spiritualità. L’evoluzione è semplicemente una teoria dei processi e dei modelli della diversificazione della vita, e non una filosofia complessiva sul senso della vita. I filosofi hanno discusso per anni se l’etica debba avere un fondamento naturale. È evidente che non esiste alcun legame logico, e tanto meno ve n’è uno di tipo causale: in Europa la religione è assai meno onnipresente che in America e la fede nell’evoluzione è più diffusa; tuttavia la civiltà in questo continente non è in declino. La maggior parte degli scienziati credenti, dei laici e dei teologi non ritiene che accettando la teoria dell’evoluzione ci si precluda una vita retta e piena di significato. E l’idea che la religione offra l’unico fondamento possibile per tale significato e per la moralità può a sua volta non essere corretta: il mondo è pieno di scettici, agnostici e atei che conducono una vita retta e ricca di significato.
Vi sono casi molto più eclatanti in cui persone e istituzioni responsabili approvano dichiarazioni e misure assurde frutto di qualche mito, a scapito di soluzioni chiaramente più razionali. Uno di questi riguarda la velocità letale con cui il virus HIV (si veda l’illustrazione a p. 53) si diffonde in Africa. Milioni di persone sono rimaste vittime dell’arrogante rifiuto di intervenire basandosi sulle prove scientifiche esistenti. Potrebbe esserci una spiegazione sociologica per tale rifiuto e forse, a voler essere corretti, bisogna accettare il punto di vista altrui. Ma quando qualcuno è al potere e ha la responsabilità di milioni di vite, il rispetto non è il sentimento che provo di fronte all’assunzione deliberata di posizioni del genere.
Wangari Maathai, ministro dell’Ambiente del Kenya, ha ottenuto il premio Nobel per la pace per il suo impegno a favore di lodevoli cause come la lotta contro il disboscamento e la promozione dei diritti delle donne in Africa. Mi addolora sapere che proprio lei ha detto cose terribili sull’HIV e l’AIDS. Wangari Maathai ha dichiarato che l’HIV è un’arma biologica, appositamente sviluppata da alcuni scienziati occidentali per utilizzarla contro la gente di colore e soggiogare l’Africa. Anche Thabo Mbeki, ex
Presidente del Sudafrica, paese in cui l’AIDS è da lungo tempo la prima causa di morte, durante il suo mandato aveva sull’HIV idee così strane, che hanno reso praticamente impossibile una lotta efficace contro la malattia.
Il Vaticano ha ripetutamente affermato che l’uso del preservativo è una delle cause principali della rapida diffusione del virus, e che pertanto deve essere evitato. Ciò è stato ripetuto di recente da papa Benedetto XVI durante un discorso pubblico tenuto in occasione della sua prima visita nel continente africano effettuata nel marzo del 2009. La sua affermazione per cui il problema dell’AIDS «non può essere risolto con la distribuzione dei preservativi, che al contrario lo aggravano» ha suscitato accese reazioni da parte di organizzazioni sanitarie e politiche. L’influente rivista medica «The Lancet» ha pubblicato un editoriale in cui la suddetta affermazione veniva bollata con determinazione come «inaudita e del tutto errata» e il pontefice veniva accusato di «travisare le prove scientifiche per predicare la dottrina cattolica». È ammissibile che si sacrifichino vite umane a una dottrina solo perché i suoi massimi esponenti hanno perso di vista la verità e la ragionevolezza? Reagendo a una situazione analoga verificatasi in precedenza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva rilasciato la seguente dichiarazione:
Simili affermazioni errate sui preservativi e l’HIV sono molto pericolose quando si ha a che fare con una pandemia che ha già ucciso venti milioni di persone e al momento attuale ne tocca altri quarantadue.
Qualcosa può sempre andare storto, quando si usa il preservativo, ma il virus non è in grado di attraversarlo; un uso costante e corretto del preservativo, secondo l’OMS, riduce il rischio di infezione del 90%. Circolava inoltre un altro mito crudele e primitivo, secondo cui si poteva eliminare l’HIV e guarire avendo rapporti sessuali con una vergine. Come c’era da aspettarsi, ciò ha fatto sì che molte giovani ragazze venissero violentate e infettate – e il fenomeno continua a ripetersi.
Una fuga criminale nell’irrazionalità come reazione alla paura e alla disperazione; un espediente traumatico per le vittime e tragico perché condannato a fallire.
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