Il Nobel e l'impostore
Fatti e misfatti alle frontiere della scienza
prefazione di Andrea Frova
Qual è il confine tra buona e cattiva scienza? David Goodstein si interroga sulle ragioni che possono spingere uno scienziato a manipolare i risultati sperimentali e sui fondamenti dell’etica scientifica.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002532
- Anno: 2012
- Mese: febbraio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 176
- Note: illustrato
- Tag: Scienza Etica Bufale scientifiche Pseudoscienza
In oltre vent’anni di carriera come fisico e docente al prestigioso California Institute of Technology, David Goodstein ha affrontato in prima persona il problema della frode scientifica e ha contribuito alla definizione di linee guida per l’identificazione di comportamenti antiscientifici. Il Nobel e l’impostore è il frutto di quell’esperienza: attraverso l’analisi di casi reali o presunti di frode scientifica avvenuti nel corso del XX secolo, Goodstein cerca di rispondere a una domanda apparentemente semplice ma che attende ancora una risposta definitiva: che cosa caratterizza la frode scientifica e quali sono gli strumenti ideali per combatterla? I casi descritti dall’autore vanno dal processo postumo a Millikan al caso della fusione fredda (con un risvolto tutto italiano) passando per le manipolazioni di Kumar, Urban e Schön. Ogni caso fa storia a sé: spesso il confine tra dolo e superficialità è labile, e talvolta le convinzioni di un ricercatore rischiano di assumere un ruolo patologico nella valutazione dei risultati e delle critiche. La scienza, conclude Goodstein, è un’avventura fantastica che ogni giorno ci insegna qualcosa sull’Universo in cui viviamo. Dobbiamo vigilare affinché le azioni di pochi soggetti senza scrupoli non compromettano l’esito di questa avventura.
Prefazione all’edizione italiana di Andrea Frova - Introduzione - 1. Preliminari - 2. Il caso Robert Andrews Millikan - 3. Cattive notizie dalla biologia - 4. Verso una definizione del comportamento scorretto: l’evoluzione dell’approccio negli anni ’90 - 5. Cronache della fusione fredda - 6. La frode nella fisica - 7. La scoperta che non era troppo bella per essere vera - 8. Che cosa abbiamo imparato? - Appendice Le linee guida del Caltech sui comportamenti scorretti nella ricerca - Indice analitico
Capitolo sesto
La frode nella fisica
«I fisici hanno conosciuto il peccato». Sono le famose parole pronunciate da J. Robert Oppenheimer dopo il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Negli anni successivi parve che la comunità dei fisici potesse essere immune – o per lo meno fortemente resistente – a un’altra forma di peccato, quella della fabbricazione di dati falsi. Quasi ogni caso di frode scientifica degli ultimi trent’anni sembrava non riguardare la fisica ma la biologia e le discipline correlate. All’inizio del XXI secolo, tuttavia, emersero bruscamente alla luce del giorno due casi eccellenti. Il primo riguardava l’annuncio (poi smentito) della scoperta dell’elemento 118 al Lawrence Berkeley National Laboratory. Il secondo aveva a che fare con un giovane ricercatore dei Laboratori Bell, Jan Hendrik Schön.
Schön conseguì il dottorato nel 1997 all’Università di Costanza, in Germania (il suo paese d’origine), dopo aver lavorato per un’estate presso famosi Laboratori Bell di Murray Hill, nel New Jersey. Dopo il dottorato ricevette un’offerta per tornare a Murray Hill per un post-dottorato, ma per qualche tempo fu costretto a restare a Costanza in attesa del visto per gli Stati Uniti.
Nonostante la giovane età era già considerato un brillante fisico sperimentale e non mancava chi lo vedeva come un candidato autorevole a riconoscimenti futuri, tra i quali, perché no, un premio Nobel.
Schön lavorava nel campo dei semiconduttori, i materiali di cui sono fatti i transistor. Le sue ricerche, però, riguardavano un’area nuova, quella dei semiconduttori organici (cioè a base di carbonio); perciò, i dispositivi messi a punto da Schön, per quanto sembrassero innovativi e promettenti, erano ancora in una fase assolutamente sperimentale. I semiconduttori organici sono solitamente più leggeri, più flessibili e meno costosi di quelli inorganici – tutte caratteristiche apprezzate – ma possiedono anche una resistenza maggiore, e quindi non conducono molto bene l’elettricità. Tuttavia sembrava che Schön, dapprima a Costanza e poi ai Laboratori Bell, fosse miracolosamente riuscito a risolvere tutti i problemi tecnici che aveva incontrato sul suo cammino. Ad esempio, aveva dichiarato che servendosi del drogaggio a effetto di campo – cioè modificando la concentrazione degli elettroni nei suoi campioni grazie all’azione di campi elettrici molto elevati – era riuscito a produrre effetti incredibili come la superconduttività e l’effetto Hall quantistico: era la prima volta che si parlava di risultati simili per i semiconduttori organici. Nonostante i tentativi ripetuti, chi aveva cercato di riprodurre gli effetti miracolosi osservati da Schön non c’era riuscito: i campi elettrici richiesti erano così elevati da provocare la perforazione elettrica degli strati di materiale isolante necessari per quel tipo di esperimenti. Schön, invece, affermava di essere riuscito a produrre strati isolanti di ossido di alluminio dotati di una resistenza mai vista alla perforazione, e di averlo fatto con i mezzi limitati di cui disponeva a Costanza.
Tra il 1998 e il 2001 Schön pubblicò in media un articolo ogni otto giorni insieme a un totale di venti coautori. Ben presto ottenne un posto fisso ai Laboratori Bell, e poco tempo dopo gli fu proposto di dirigere una delle sedi dell’istituto Max Planck in Germania. Nel dicembre del 2001 stava valutando proprio quell’offerta quando inviò un nuovo articolo a «Science».
Fu a quel punto che le cose cominciarono ad andare storte.
Nell’articolo inviato a «Science», intitolato Field-Effect Modulationof the Conductance of Single Molecules, Schön e i suoi due coautori annunciavano di essere riusciti a costruire un transistor formato da una sola molecola: era il capolinea logico della legge di Moore, secondo la quale il numero di transistor che possono essere realizzati su un singolo chip è destinato a raddoppiare più o meno ogni diciotto mesi. Furono proprio i toni trionfali di quella scoperta a far nascere qualche dubbio. Uno dei primi a suonare il campanello d’allarme fu Paul McEuen, un professore di fisica della Cornell University insospettito da quei dati troppo perfetti: lo aveva colpito in modo particolare il fatto che esperimenti distinti avessero lo stesso rumore (stiamo parlando dei disturbi di fondo casuali che compaiono in tutti gli esperimenti). Ben presto altri scienziati, tra cui alcuni ricercatori dei Laboratori Bell, segnalarono nuove anomalie. La situazione precipitò nella primavera del 2002, quando i Laboratori Bell nominarono una commissione per esaminare le accuse. Con una trasparenza rara nell’atmosfera nebulosa che caratterizza i casi di comportamento antiscientifico, la commissione guidata da Malcolm Beasley, un professore di fisica di Stanford, chiarì fin dal primo momento che intendeva rendere pubblici i risultati dell’inchiesta.
La commissione rese note le sue conclusioni come promesso, il 25 settembre. Schön fu riconosciuto responsabile di comportamento antiscientifico in almeno sedici dei ventiquattro capi d’accusa analizzati. Il rapporto stabiliva inoltre che Schön, nonostante i venti collaboratori, aveva effettuato tutti gli esperimenti («con qualche eccezione poco significativa») da solo e che «non esisteva una documentazione sistematica delle attività di laboratorio». Praticamente tutti i dati grezzi erano stati cancellati dal computer di Schön; tutti i campioni originali erano stati eliminati. Non senza esitazioni, il rapporto prosciolse tutti i colleghi di Schön, affermando che la comunità scientifica non era ancora pronta ad affrontare il problema della colpevolezza dei collaboratori in casi simili. Schön fu licenziato immediatamente dai Laboratori Bell; da allora se ne sono perse le tracce.
L’Università di Costanza gli revocò il dottorato nel 2004.
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