Il suicidio dell'Europa
Dalla coscienza infelice all'edonismo cognitivo
La cultura europea è a un bivio: o resiste al riduzionismo tecnologico o si autodistrugge. In ogni caso, l'Europa non ha futuro se non saprà guardare con occhi nuovi alle sue radici mediterranee.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053473
- Anno: 2005
- Mese: febbraio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 192
- Tag: Politica Filosofia Filosofia politica Politica internazionale Storia contemporanea Europa
Questo libro analizza in termini al tempo stesso spietati e appassionati l'atto deliberato e irresponsabile con cui, nella fase attuale, l'Europa si sta arrendendo alla propria dissolvenza. La "coscienza infelice" si lascia sedurre dalle sirene di un'utopia ipertecnologizzata, che promette di soddisfare a comando la fame universale di piacere e conoscenza, mentre l'"edonismo cognitivo" costituisce la nuova sintesi sociale che soppianta gli elementi fondamentali della tradizione europea. La diffusa sinergiatra prassi sociale e tecnoscienza, il cui esito è la manipolazione della vita e della mente, sostituisce il tentativo di conciliazione attuato dalla grande filosofia europea. Ma l'uomo occidentale potrà curarsi solo mantenendo aperta la tensione tra l'Io e il mondo. La partita decisiva si gioca, dunque, sul piano culturale.
Introduzione - 1. Il futuro dell'Europa fra tecnoscienza e nichilismo - Tendenze in atto - La crisi dell'idea di Europa - Le tradizioni europee - La fuga dagli dèi - La coscienza europea fra libertà e tecnica - La tecnica e il destino dell'Occidente - L'essere mortale dei mortali e la costituzione dell'Io - La «volontà interpretante» - 2. La tecnicizzazione dell'anima: post-umanesimo e alienazione - Premessa - La percezione del tempo e la forma della comunicazione - Comunicazione e informazione: la connessione informatica - La razionalità computazionale - La posta in gioco: il controllo del vivente - La riproducibilità tecnica della vita e il nuovo capitale - Per una lettura del processo: la neutralizzazione della mente/coscienza - La distruzione dello spazio simbolico e il «matrimonio» tra cervello e computer - Crisi della «rappresentazione» e strategie di potere - 3. Gli itinerari della post-modernità: dal paradigma della soggettività al paradigma sistemico - La soggettività evenemenziale - Metodologismo e desostanzializzazione del mondo - Da Cartesio a Luhmann: la teoria dei sistemi - Naturalizzazione della società e decostruzione della soggettività - L'eredità hegelo-marxista e la dissoluzione della temporalità - L'ultima spiaggia della ragione illuministica - L'apertura verso il futuro è possibile? - 4. Globalizzazione e morte della coscienza - La naturalizzazione dell'economia e il «pensiero unico» - Globalizzazione e privatizzazione del «mondo» - Privatizzazione e rimozione delle passioni - L'invenzione della coscienza e la fantasia dell'onnipotenza - I percorsi della coscienza e la degenerazione attuale - Utopia e profezia - Profezia e politica - Appendice - I. Una nuova «narrazione»: la strategia dei nuovi diritti - Discorso scientifico e narrazioni - La narrazione dei nuovi diritti - Biopolitica e diritti - Le nuove forme di appropriazione dei «beni immateriali» - L'uomo flessibile e la manipolazione informatica - Le nuove contraddizioni e il collasso dell'Occidente - II. Una socializzazione asociale - Lo sfaldamento della sintesi sociale - Due modelli inadeguati - Una socializzazione asociale - La metafisica degli esperti - Un sistema di astrazioni - L'invenzione dei bisogni - L'educazione è riflettere sulle pratiche - Riprendere il mito - Il possibile è interno al reale - Modernità come negazione della temporalità - Modernità senza paideia - Una transizione lenta e sofferta - Bibliografia
Introduzione
Da quando l'attività del «filosofare» è stata istituzionalizzata in uno statuto specialistico e infine, nella modernità, trasformata in una cattedra universitaria, l'interrogazione filosofica è diventata appannaggio esclusivo dei «professori» e ha privato l'intera comunità della competenza a pensare le «cose ultime». Le cose ultime, infatti, appartengono al regime della Verità, mentre l'esperienza dei comuni mortali è affidata a sensazioni ed emozioni che al più possono determinare il «senso comune». Al filosofo professionista spetta il compito di colmare l'abisso fra la Verità e il senso comune. Già queste sintetiche considerazioni bastano a suscitare molti dei dubbi che mi porto dietro da anni e che nelle pagine seguenti troveranno modo di esprimersi. Perché la Verità dovrebbe manifestarsi soltanto ad alcuni «dottori» e non anche agli altri comuni mortali? Se la Verità non si identifica con il senso comune, qual è la via impervia che conduce a questo mirabile incontro? La Verità come la morte dovrebbe essere democratica, livellatrice; non le si confà l'aria schizzinosa di una Dea che si concede a pochi. Perciò formulo le riserve sul punto. Anch'io sono convinto che oltre le «apparenze» – nelle quali siamo immersi nella vita quotidiana – e oltre la loro ineluttabile contingenza, ci sia qualcosa che resiste nella sua impresentabile opacità alla penetrazione del nostro sguardo indagatore. Ma il fatto che la Verità resista come ciò che sta fermo rispetto a ciò che muta, non implica affatto che essa sia disponibile al pensiero privato di un singolo abitante del pianeta. Come si può immaginare che qualcosa che sta oltre la contingenza – e quindi oltre l'apparire e sparire di cose e individui – possa essere posseduta da un singolo pensatore? Come può la contingenza, la finitezza catturare la necessità e l'eternità? Si dirà che la Verità non è a disposizione del singolo ma del logos universale e che i filosofi si limitano a usare la logica per argomentare in modo inconfutabile la Verità che non coincide con l'evidenza. Ma anche in un «processo» l'argomentazione non è la prova del fatto, anzi è la prova che il fatto non è né chiaro né univoco (non parla da solo). Argomentare serve a convincere e non a illuminare la scena del delitto. Persino la confessione del criminale aiuta a fissare la «verità processuale», ma non la Verità assoluta. D'altra parte, sarebbe strano che la Verità fosse subordinata alla logica argomentativa, giacché questa è per principio un mezzo per dialogare, ma non garantisce alcun raggiungimento del fine: tantomeno il possesso della Verità assoluta. Argomentare logicamente appartiene, infatti, al territorio dei media (di cui il linguaggio è l'indiscusso titolare); chiunque se ne serva, deve dare per scontato che tra il medium e il mediato non c'è alcuna garanzia di coincidenza. Questa considerazione ha tanto più senso, quanto più evidente diventa nel pensiero contemporaneo il tentativo di far coincidere la Verità con l'originario, l'immediato, ciò che non ha bisogno di linguaggio, l'indeterminato, il caotico, il simbiotico. Tutti tentativi che finiscono con evocare visioni mistiche e rapimenti celesti, ma che poi ricorrono ancora una volta alle proposizioni linguistiche per essere raccontati e divulgati ai non vedenti. In realtà, sia che si segua la via argomentativa sia che si segua la via intuitiva, i pensatori che propongono una qualche definizione della Verità, finiscono per ottenere un solo risultato: il divieto di pensare oltre, la frustrazione di ogni ricerca, la svalorizzazione della nostra esistenza terrestre. Una questione di monopolio che significa sempre plus-potere rispetto alla grande maggioranza degli umani. Si può essere nella verità, ma non si può possedere la verità, così «come non si può rinchiudere la realtà di Dio entro i limiti di un nome». E invece tutte le chiese istituite – si chiamino Stati, Accademie, Università, Partiti, ecc. – hanno posto la verità sotto il loro dominio e il loro controllo, e perciò emarginano tutti coloro che cercano la via dell'autonomia e della libertà attraverso l'esperienza della propria vita e della propria sofferenza. La verità si manifesta come «rottura» dell'ordine mortifero delle leggi vuote di valore simbolico, come «apertura» verso una nuova creazione di «simboli incarnati». La verità è lo scandalo, il rovesciamento della mentalità bloccata nel conformismo. Lo scandalo della debolezza, dell'impotenza e del limite di fronte all'arroganza della «Ragione» e della «Tecnica», che hanno riproposto nella modernità l'antica fantasia dell'onnipotenza, il miraggio di un padrone assoluto del significato della vita. Per impedire quest'esito sono convinto che i Greci abbiano inventato la distinzione fra Verità e opinione e abbiano definito il regime dell'opinione come quello che struttura lo «spazio pubblico» della polis, che non soggiace all'immutabilità delle leggi extra-umane […].
07 settembre 2005 | Il Sole 24 Ore |
16 aprile 2005 | l'Unità |