Diritto senza società
Dal disincanto all'indifferenza
prima edizione ottobre 2003
Una provocatoria rilettura del progetto giuridico-filosofico moderno e delle sue inevitabili aporie nell'epoca della globalizzazione.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053381
- Anno: 2008
- Mese: aprile
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 208
- Tag: Politica Filosofia Filosofia politica Diritto Globalizzazione
Una interpretazione «forte» dell'«attualità», che ne rintraccia le profonde radici filosofiche e politiche nel paradigma del diritto moderno. Sebbene la dimensione giuridica sia assunta come luogo privilegiato da cui muovere per la comprensione delle logiche, dei significati e dei meccanismi della modernità, è attraverso l'astrazione delle norme giuridiche e la «vuotezza» del diritto inteso come mera procedura che, nell'epoca moderna, si realizza la massima esaltazione della libertà individuale. L'analisi delle istituzioni giuridiche porta alla luce l'intreccio tra il processo di disincantamento del mondo e l'autofondazione dell'ordine giuridico-sociale, da un lato, e il progetto di emancipazione del singolo, dall'altro. Tale intreccio che, nella modernità, ha legato la libertà alla sfera del «mercato», oggi dispiega pienamente la sua «efficacia» nel paradossale annichilimento della libertà del soggetto, schiacciato dalle potenze dell'economia e della tecnica.
Ho sempre ritenuto che qualsiasi attività di riflessione e di elaborazione concettuale si debba misurare su quella che Foucault chiamava la diagnosi dell’attualità e che, per quanto il peso dei «pregiudizi» dell’osservatore sia sempre in gioco in qualsiasi approccio «conoscitivo» (che per ciò stesso non può essere mai puro rispecchiamento del reale), sia sempre possibile distinguere fra l’intenzione «normativa» (di chi si propone di orientare le azioni umane verso un modello o un fine) e il tentativo di «comprendere» il «senso» di quello che facciamo. È ovvio che anche l’attività di «comprensione» non è pura accumulazione di dati e fatti, ma anche elaborazione di concetti e categorie. Ma queste categorie e questi concetti non sono né dedotti da premesse astrattamente razionali, né assunti come apriori rispetto all’oggetto di cui si prova a decifrare il significato. L’approccio «comprendente» mira a far emergere i significati dalle pratiche individuali e collettive che funzionano da «regolatori» delle condotte, pur essendo immanenti alle stesse e spesso inconsapevolmente implicati nelle attività quotidiane apparentemente spontanee.
Come ha scritto Aldo Gargani le teorizzazioni sono, in realtà, una forma di disciplinamento della prassi che ne consente la razionalizzazione e la stabilizzazione, cosicché non sono le teorie «probabilistiche» che «svelando» la realtà ne «ordinano» gli accadimenti, ma, al contrario, è lo sviluppo delle pratiche mercantili e la conseguente accelerazione degli scambi commerciali a introdurre il problema di calcolare in modo ragionevole il rischio implicato in questo tipo di relazioni.
Comprendere, perciò, non significa spiegare in termini di pura causalità quale fatto è implicato nella causazione di un dato evento, quanto piuttosto ricostruire il nesso che all’interno di una determinata forma di vita «lega» una certa teorizzazione e una certa pratica.
La domanda che oggi si pone a chi assume questa prospettiva è, anzitutto, quella del rapporto fra la «Modernità» (e la sua «rappresentazione») e il momento attuale che viene comunemente definito come l’epoca della globalizzazione.
Com’è ormai opinione prevalente, la Modernità si distingue dalle epoche precedenti per aver tematizzato la società come istituzione che regola la propria vita per produrre norme e ordine che non hanno altra fonte che se stessa. La costituzione della società coincide nella Modernità con la sua auto-istituzione come fonte immanente della propria normatività, mentre nelle altre epoche la legittimazione del potere normativo è stato sempre esteso e, in certo senso, trascendente (Dio, natura, tradizione). Contestualmente la Modernità istituisce come suo centro motore l’individuo in quanto tale e come scopo fondamentale la realizzazione della sua libertà da ogni vincolo esterno che non sia riconducibile alla sua volontà. Per queste ragioni la società moderna si istituisce come società storica, cioè contingente e «artificiale», non deducibile da nessuna necessità naturale, ma, al contrario, destinata a dominare e manipolare lo statuto necessitante della natura. Gli uomini moderni abitano la «storia» come dimensione individuale e collettiva entro la quale essi creano continuamente le loro condizioni materiali di esistenza e la cultura e le istituzioni che le danno forma e determinazione, senza che questa prassi creativa abbia altro fondamento che la società stessa. Non a caso la scienza della società e la scienza storica acquistano le loro significazioni all’interno di questa costellazione che ruota attorno ai due poli della libertà individuale e dell’ordine sociale, prodotto collettivamente nella dialettica fra contingenza caotica e ordine istituito.
Queste coordinate sembrano divenute totalmente irrilevanti nell’epoca della globalizzazione che appare essenzialmente come definitivo tramonto della società come istituzione (come tecnica organizzativa), attraverso la quale si realizza la mediazione fra l’istanza di libertà e l’ordine prodotto dall’autogoverno della società, e come fine della storia intesa come metamorfosi dell’orizzonte di senso entro il quale si sviluppa la dialettica sociale. Come è stato scritto, oggi il mondo coincide con se stesso e gli individui coincidono con l’intera umanità che vive sul pianeta. I concetti di Stato nazionale, che aveva rappresentato la forma dell’organizzazione sociale e di sovranità, che aveva individuato nella democrazia, come governo del popolo, la base di ogni ordinamento, sono inutilizzabili per descrivere e comprendere le forme della globalizzazione. Così come sono superati i tradizionali concetti di spazio e tempo, intesi come delimitazione geografica della sovranità e come scansione temporale delle trasformazioni delle forme di vita nell’articolazione della memoria e del progetto. La fenomenologia di questo mutamento epocale è descritta puntualmente nell’ormai abbondantissima letteratura sulla globalizzazione, sul declino dello Stato e sull’irrilevanza del concetto di società. Non è perciò il caso di riprodurla in questa sede.
Basta accennare rapidamente all’esperienza sempre più diffusa della «frantumazione» estrema delle relazioni, al crescente deperimento delle mediazioni istituzionali, al moltiplicarsi dei processi di differenziazioni funzionali, alla desostanzializzazione di ogni referente tradizionale (l’uomo, la natura, ecc.), alla percezione comune di un mondo atomizzato che, pur rinviando a qualche forma di connessione immediata, non consente di individuare alcun centro motore dell’ordine sociale.
Ai nostri fini interessa piuttosto richiamare le teorie, i paradigmi e le rappresentazioni che si misurano con la questione dell’interpretazione di questo mutamento, che ne strutturano i processi stabilizzando la tendenza e i mutamenti in atto e che convergono nella diagnosi di una fine della Modernità (de-finita come epoca della sinte