I numeri ribelli
I numeri ribelli mostra il volto umano della scienza: luci e ombre, debolezze e passioni si fondono nel ritratto di un matematico e del suo mondo. Philibert Schogt esplora il labirinto dell’ispirazione, dove perdersi può condurre alla follia.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015020
- Anno: 2011
- Mese: maggio
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 192
- Tag: Matematica Letteratura Romanzo
Isaac Swift è un matematico. A trentacinque anni non ha ancora sfondato e teme di aver perso ogni possibilità di farcela. L’inutile ricerca di un risultato che lo renda famoso ha finito per mandare in rovina anche la sua vita sentimentale, e la sua esistenza scorre stancamente tra le lezioni e i pochi amici. Le cose cambiano improvvisamente quando Isaac pensa di aver trovato la soluzione a un celebre problema che da quasi due secoli attende una risposta: il problema dei numeri ribelli di Beauregard. Ma, nel momento in cui il successo tanto desiderato sembra finalmente a portata di mano, il suo sogno si trasforma in incubo: Leonard Vale, un ex-insegnante mentalmente instabile che frequenta i suoi corsi, lo accusa di avergli rubato la soluzione. Le ossessioni del suo persecutore porteranno Isaac a fare i conti con le proprie e ad abbracciare finalmente una nuova vita.
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Cinque più tre uguale otto. È sempre stato così e lo sarà sempre, ovviamente, ma non mi era mai sembrato tanto elettrizzante come quel giovedì mattina. Mi ero appena svegliato e stavo facendo i miei calcoli, una ginnastica quotidiana che mi aiuta a spazzar via la nebbia lasciata dai sogni. Due più cinque, dodici meno otto; a volte mi permetto addirittura un diciassette per quarantuno.
Nulla di troppo faticoso, però: l’infortunio più sciocco che può capitare a un atleta è uno stiramento mentre si riscalda. Di solito devo andare avanti un bel po’ prima di trovare il coraggio di alzarmi, ma quella volta cinque più tre fu più che sufficiente. La vita era meravigliosa, e quello sarebbe stato il gran giorno.
Dopo una rapida colazione sul balcone scesi in ascensore nel seminterrato a prendere la bicicletta. La strada per il campus è tutta in discesa, ma quel giorno me la presi comoda. La mia recente scoperta mi aveva reso estremamente cauto nel traffico, come un giovane padre che sviluppa un nuovo senso di responsabilità. Inoltre la giornata era già abbastanza calda e afosa, e non volevo sudare troppo prima di un incontro importante.
Ormai gli esami erano terminati e il campus era quasi deserto. I numerosi annaffiatoi sparsi per il prato centrale sparavano getti d’acqua intermittenti sull’erba ingiallita.
Assicurai la bici all’ala est dell’Istituto di Matematica e Informatica, ma come avrei dovuto immaginare le porte erano sprangate e così fui costretto a fare il giro fino all’ingresso principale.
Passai dallo studio a prendere una copia del mio articolo e proseguii per il lungo corridoio. I miei colleghi erano quasi tutti in vacanza, ma la porta di Larry Oberdorfer era aperta. Stava lavorando al computer, sorridendo fra sé come al solito.
«Ma guarda...», mi gridò. «Ti si vede sempre più spesso, ultimamente!».
«Sono venuto a trovare Dimitri», risposi, tagliando corto.
Ma guarda... In altre parole: cosa ci faceva in istituto fuori dall’orario di lavoro un matematico mediocre come me? Se solo avesse saputo!
Avvicinandomi allo studio di Dimitri non riuscii a contenere l’agitazione. Dimitri Arkanov è il nostro grande vecchio: è andato in pensione cinque anni fa e da allora non è più pagato dall’università, ma è rimasto come professore emerito; è sempre il primo ad arrivare ogni mattina, la mente brillante e fulminea come non mai.
Quando entrai nel suo studio era in piedi accanto alla finestra, intento a contemplare il campus e assorto in pensieri che con ogni probabilità trascendevano la mia comprensione.
«Siediti, Isaac», disse senza voltarsi. «Siediti».
Sentii contrarsi i muscoli dello stomaco: sulla scrivania c’era il mio articolo, insanguinato da commenti illeggibili in inchiostro rosso. Mi dissi che non c’era nulla di cui preoccuparsi: ero già rimasto seduto lì la settimana prima mentre Dimitri camminava su e giù per la stanza spulciando ogni passaggio della dimostrazione e cercando di rivoltare il mio ragionamento come un calzino, in cerca di un possibile errore. Quando finalmente versò due generose dosi di cognac per festeggiare la nascita di un nuovo teorema, il sole era già tramontato. Aveva insistito perché gli mostrassi la versione finale dell’articolo prima di spedirla a «Number»: non che sospettasse che avessimo trascurato qualcosa, ma voleva essere certo che avessi sviluppato la dimostrazione in maniera abbastanza dettagliata da renderla comprensibile, se non al grande pubblico, almeno al lettore medio di «Number». Eppure non riuscivo ancora a credere alla mia buona stella. Per quanto fosse altamente improbabile, non potevo escludere che avesse finito per trovare un errore fatale. Quell’inchiostro rosso mi impensieriva.
«Troppi annaffiatoi», borbottò. Si sedette dall’altra parte della scrivania e posò la mano sul mio articolo come se fosse la Bibbia. «Isaac», disse in tono solenne, «rileggendolo ho provato lo stesso piacere della prima volta. Forse addirittura maggiore, perché questa volta ho avuto il tempo di apprezzare le implicazioni del tuo teorema in tutta la loro portata. Le tue scoperte conducono alle vette più alte della teoria dei numeri, proprio come avevo sperato di fare io più di trent’anni fa quando mi ero occupato di questo problema. Il panorama che ci offri è mozzafiato».
Incassai il complimento con un lieve cenno del capo, sebbene dentro di me fossi raggiante.
«Voglio mostrarti qualcosa». Dimitri strappò un foglio da un blocco e scarabocchiò una serie spettacolare di equazioni che stabilivano un rapporto fra concetti fino ad allora del tutto scorrelati, spiegandomi in che modo tutto ciò derivasse più o meno direttamente dal mio teorema.
In un attimo giunse in fondo alla pagina e ne strappò un’altra.
Non mi era molto chiaro dove volesse arrivare; a essere sinceri, non mi era chiaro per nulla (con la matematica, o capisci o non capisci), ma ero troppo felice per farci caso. Stentavo a crederci: solo dieci giorni prima mi trovavo in uno stato così pietoso che Dimitri mi aveva consigliato di prendermi un po’ di ferie, un consiglio a fin di bene che aveva contribuito a demoralizzarmi ulteriormente.
Adesso eravamo sulla vetta, insieme. Avrei potuto passare ore senza far altro che ascoltare il grande
Dimitri Arkanov che «condivideva» con me le sue riflessioni – e probabilmente lo avrei anche fatto, se non avessero bussato alla porta. Dimitri era troppo preso dalle sue esplorazioni matematiche per accorgersene, e così mi vidi costretto a interrompere quel monologo pieno di entusiasmo.
«Già», disse, fissando la porta con espressione contrariata.
Bussarono ancora. «Sì?».
Era Vale. Nonostante l’ondata di caldo, indossava il suo solito completo di tweed. «Buongiorno, professor Arkanov», salutò, profondendosi in un inchino. «Buongiorno, professor Swift. Un vero colpo di fortuna, incontrarla qui. Stavo cercando proprio lei».
Nel corso dell’ultima settimana mi ero completamente dimenticato di lui. Non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per ricomparire, quasi avesse voluto compensare quell’assenza insolita e paradisiaca dai miei pensieri. Provai l’impulso irrefrenabile di ricacciarlo nel corridoio.
24 marzo 2012 | Il Sole 24 Ore |
28 luglio 2011 | L'Espresso |
19 giugno 2011 | La Gazzetta del Mezzogiorno |