Capitolo primo
La città protagonista
La città attraverso i secoli
La città è la grande protagonista dei nostri anni. Stretta tra la crisi degli Stati-nazione e la nuova dimensione internazionale dei processi di accumulazione e di distribuzione è la città che deve affrontare il futuro il quale, non venendo più inerzialmente dal passato, è tutto da progettare e costruire. Addirittura c’è anche chi sostiene, come Jacques Derrida, che alle città sia concesso, per il loro ruolo strategico, di «riorientare le politiche dello Stato».
Che le città che hanno un futuro siano solo quelle che lo hanno già scelto è un principio largamente diffuso in Europa. Per un verso esse devono poter competere vantaggiosamente sulla scena internazionale e affrontare il difficile confronto tra città, e per l’altro devono poter rispondere alla mutevole domanda della propria gente. Scrive Calvino: «Crediamo di continuare a guardare la stessa città, e ne abbiamo davanti un’altra, ancora inedita, ancora da definire, per la quale valgono “istruzioni per l’uso” diverse e contraddittorie, eppure applicate, coscientemente o meno, da gruppi sociali di centinaia di migliaia di persone».
La città ci appare oggi profondamente trasformata non solo fisicamente, ma anche geograficamente estesa com’è a macchia d’olio con i confini labili e spesso rilevanti solo dal punto di vista amministrativo. Sono mutate l’organizzazione sociale e la cultura, sono mutati i suoi abitanti e quanti per motivi diversi la usano e la vivono. È cambiata l’immagine della città e, soprattutto, è cambiata la domanda che ad essa rivolgono i cittadini. La città contemporanea, infatti, deve rispondere non solo ai bisogni ma anche ai desideri della propria gente. Deve funzionare, deve soddisfare e deve piacere.
Alla centralità della città non corrisponde, però, un’adeguata capacità di leggerla, governarla e progettarla. Ciò non dipende unicamente dai cambiamenti fisici o dalla velocità dei processi che la investono. Chi ha il compito di guidare e progettare la città fa spesso ricorso a una realtà fittizia costruita sui dati statistici e sugli apparati normativi, nell’illusione che questi possano offrire un’immagine della città concreta e vissuta. Lo stesso lessico consegnatoci dalla tradizione appare assolutamente inadeguato. Per non parlare degli apparati teorici tradizionali che sembrano oggi assolutamente obsoleti. Vecchi saperi a cui spesso ci affidiamo per guadagnare certezze analitiche e soprattutto operative ci appaiono inadeguati ad affrontare una realtà dinamica e spesso elusiva. La nuova realtà, infatti, è estremamente complessa e impone allo studioso, e specialmente a chi deve governare e progettare, di abbandonare le certezze del proprio territorio scientifico e professionale e di camminare invece sui confini disciplinari, che sono di certo sdrucciolevoli ma che consentono letture e analisi approfondite.
Le mappe sempre più precise e raffinate grazie ai satelliti e all’elaborazione dei Big Data non risolvono il problema, così come non bastavano secoli fa le vedute a volo di uccello e, successivamente, le fotogrammetrie aeree. Persiste, dunque, invariato e costante nei secoli, il difficile rapporto tra la città vista come sistema e l’esperienza delle persone che la vivono. A tale scopo, quindi, può essere utile ripercorrere i punti essenziali di questo impegnativo ma non aggirabile rapporto che si rivela in tutta la sua complessità nell’Ottocento, quando nasce e si forma la città moderno-industriale.
La grande onda della modernizzazione del XIX secolo investe contemporaneamente la città e lo spirito dei suoi abitanti, modificando profondamente entrambi ma, soprattutto, trasformando il loro rapporto. È ciò che i sociologi, a cavallo tra Ottocento e Novecento, hanno descritto in maniera binaria come il passaggio dalla Comunità alla Società che nella città si condensa e si rappresenta. Scriveva Charles Baudelaire nel 1852 in una delle sue più celebri poesie, Il cigno: «... la forme d’une ville / Change plus vite, hélas! que le coeur d’un mortel (... d’una città la forma veloce si rinnova, / più rapida, ahimé, del cuore d’un mortale)», quando il piccone creativo di Georges Eugène Haussmann, più conosciuto come barone Haussmann, si era appena abbattuto su Parigi per farne la capitale moderna del XIX secolo, incarnazione e rappresentazione della modernità.
Quella di Baudelaire, però, non è la città delle pietre ma è la città vissuta, il suo sguardo di scrittore e poeta non può e non intende separare il vissuto dallo spazio costruito. La distinzione che fa nei famosi due versi della poesia introduce il tema dell’esperienza umana in una città e in un mondo che cambia, anticipando con una sintesi poetica uno dei nodi centrali degli studi urbani contemporanei.
Come talvolta accade è stato un poeta ad accorgersi della grande trasformazione in corso e di come questa non interessasse solo le forme fisiche della modernità e la sua economia, ma riguardasse lo spirito e la personalità degli abitanti, per cui è necessario che architetti e urbanisti facciano i conti anche con il vissuto della gente. A tal fine ho ritenuto importante ripercorrere per sommi capi il rapporto, spesso conflittuale, tra una visione della società come sistema e una che parte invece dall’esperienza o dallo sguardo del singolo individuo, focalizzando l’attenzione sulle metropoli dell’Ottocento che della grande trasformazione sono insieme campo e rappresentazione. Le analisi di sociologi, urbanisti e filosofi sono certamente importanti per capire la grande trasformazione della città investita dall’onda della modernizzazione, ma uguale valore hanno le opere e le riflessioni di scrittori, pittori e musicisti dell’Ottocento e dell’inizio del secolo successivo che di questa vicenda sono stati attenti testimoni e narratori. Sono soprattutto gli artisti, protagonisti della grande modernizzazione, ad aver fornito il contributo più prezioso per capire e rappresentare la città nuova e la sua gente altrettanto nuova.
La città è l’uomo! La città è la più grande creazione della sua mente e del suo lavoro. Tutto ciò che la città può contenere e rappresentare è opera umana, essa quindi è intrisa del bene e del male, dell’odio e dell’amicizia. Esaltata dalla cultura romana e soprattutto da quella greca attraverso la civitas e la polis, la città ha avuto un trattamento diverso nella Bibbia. Nella Genesi, infatti, ritroviamo vari esempi: a partire dalla prima città fondata da Caino alla stessa Babele, quest’ultima destinata a scomparire perché abbandonata dai suoi abitanti che, puniti da Dio, non riuscivano più a comunicare tra loro, o, ancora, alle città di Sodoma e Gomorra distrutte da Dio per i vizi e i peccati della loro gente. La città è da sempre amata ed esaltata ma pure temuta e avversata. Anche tra i più attenti lettori della Bibbia come i protestanti, c’era chi la soffriva e detestava. Rousseau, ad esempio, raccomandava di non mandare il giovane Emilio in città perché questa lo avrebbe corrotto e «scopriva nella città il gouffre (il baratro) della specie umana, il luogo dove il sangue si vendeva al miglior offerente». Oppure c’era chi, come Frank Lloyd Wright, Lewis Mumford e Patrick Geddes, esaltava il mondo urbano e la sua cultura considerandoli il punto più alto del continuum del creato.
La città, in quanto creazione dell’uomo, ha da sempre rappresentato il mondo. Nella cultura classica greco-romana, infatti, la città è il simbolo stesso della società e delle sue istituzioni, del potere e della cultura e rappresenta anche una continua ed elusiva sfida ad ogni tentativo di conoscerla e mutarla. Cruciale è il rapporto tra la città fisica, quella delle pietre, che contiene la storia e l’identità, e la città delle persone, più sfuggente e varia, che la prima ha creato e condizionato. La tensione romana tra civitas e urbs simboleggia il collegamento fondante e dinamico tra la gente, le istituzioni e la forma della città. La trasformazione fisica, sociale e simbolica della città, in maniera che questa risponda anche visivamente ai sogni, ai desideri e alle idee della gente del suo tempo, è sempre stata una straordinaria e difficile impresa culturale e progettuale, in quanto comporta la riassunzione, da parte dell’uomo, del potere di costruire una città a propria immagine e somiglianza.
E non a caso il Rinascimento ha raccolto questa sfida proprio quando ciò che sembrava ovvio e non modificabile è stato rimesso in discussione: la religione con la riforma protestante, la geografia con la scoperta del Nuovo Mondo, la città con l’abbattimento delle vecchie mura e la riconquista del territorio divenuto nel Medioevo terra di nessuno. La città che giunge inerzialmente dai secoli del Medioevo, compressa dalle mura e dal passato, deve essere rifondata e deve esprimere la volontà dell’uomo nuovo rinascimentale. L’Uomo Vitruviano disegnato da Leonardo afferma se stesso come artefice del proprio mondo – che nella città si condensa – e di questo si propone come misura misurabile. La città è, da questo momento, pensata prima ancora di essere costruita e il tema delle città ideali riempie non solo i trattati di filosofia ma anche i dipinti, da Raffaello a Piero della Francesca. La città nuova del Rinascimento è l’esito di un progetto che è insieme urbano e politico.
Nascono le città immaginarie come la Sforzinda del Filarete – disegnata nella logica del Trattato di architettura – e quelle reali come l’Addizione Erculea della città di Ferrara ad opera dell’architetto Biagio Rossetti, da alcuni considerata la prima città moderna europea. Tutte sono espressione del risveglio della Ragione che intendeva imprimere il proprio segno nella storia.
È anche la straordinaria stagione delle utopie che, dal Cinquecento in poi, rinviano con modalità diverse alla città. In alcuni casi, la città ha una funzione puramente illustrativa in quanto serve solo a rendere visibile e comprensibile il progetto utopico, mentre in altri casi la forma fisica non solo rappresenta bensì incorpora la società ideale e ne consente, nel bene o nel male, il funzionamento, come nei moderni romanzi distopici di H.G. Wells o di George Orwell.
La città vista come oggetto e come enigma attraversa i secoli oscillando tra letture organicistiche, che cercano nell’equilibrio e nel benessere del corpo umano il modello ideale di riferimento, e metodi eclettici a cui contribuiscono poeti, ingegneri, pittori e filosofi che si sforzano di inventare una città a misura d’uomo. Soprattutto negli ultimi due secoli, la storia della cultura e del pensiero politico, scientifico e progettuale è segnata dallo sforzo di creare strumenti adeguati, dall’urbanistica alla sociologia, per capire la città esistente e disegnarne una perfetta o comunque migliore, capace di rispondere se non ai sogni e alle speranze quanto meno ai bisogni della gente. L’occhio del tecnico e dello scienziato non può non incrociarsi dialetticamente e anche conflittualmente con quello delle persone. È lo scontro, spesso fruttuoso, tra la “città oggetto” vista e analizzata dalla scienza e la “città soggetto” o la “città labirinto” attraversata e vissuta dalle persone.