Ecce gnomo
prefazione di Marco Travaglio - postfazione di Dino Aloi
Una raccolta di materiale inedito e delle migliori vignette di Nico Pillinini. La sua matita registra in maniera ora pungente, ora corrosiva un commento sulla realtà politica, sul costume e sulla società di questo inizio millennio.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822062895
- Anno: 2006
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 208
- Tag: Politica Fumetto Satira Silvio Berlusconi
L'appuntamento con la saga Berlusconi è giunto al terzo episodio: dopo Burlesconi (2003) e Bandana Republic (2004), entrambi pubblicati per i nostri tipi, ecco l'ultima raccolta di vignette create da Nico Pillinini. Come sempre, la sua matita dalla punta affilata continua a graffiare chi detiene il potere e lo gestisce per sistemare le proprie faccende. Quest'ultimo volume coincide con la fine della legislatura - e con le imminenti elezioni - e come nelle «comiche finali» offre ai lettori, nonostante la triste realtà dei fatti, una lettura in chiave satirica cercando di strappare un sorriso anche a chi alla fine del mese ci arriva con il borsellino vuoto. Nico Pillinini è irriverente e pungente come sempre e, con il suo stile inconfondibile e le sue fulminanti battute, rappresenta anche la barricata satirica del Sud, contro un Nord-Est bossiano e disfattista.
Prefazione di Marco Travaglio - Ecce gnomo - Una macchia di Dino Aloi
Prefazione di Marco Travaglio
Non avendolo mai conosciuto di persona, ma solo attraverso le sue vignette, mi ero fatto l'idea che Pillinini fosse uno pseudonimo. Invece si chiama proprio così: Pillinini. Ed è una bella fortuna, quasi come quella che toccò a Totò da giovane, quando gli rifilarono un gancio sotto il mento e venne su con la faccia storta. Perché Pillinini è un cognome da satiro. I pillinini dum dum, acuminati ed esplosivi, che spara col suo schioppo ogni giorno dalla prima pagina della «Gazzetta del Mezzogiorno», mirando dritto al culo della vittima designata, fanno un male bestia. Ecco, Pillinini – ne parlo sempre senz'averlo mai conosciuto – dev'essere proprio cattivo. Almeno quando prende la mira e fa fuoco. Perché le sue vignette, di cui il lettore troverà qui un'antologia aggiornata dell'ultimo anno di regime, sono di una perfidia rara. Mai compiacente, mai piacione, mai complice, mai ammiccante, men che meno bonario, Pillinini è l'esatto contrario di certi suoi colleghi (sempre più numerosi, purtroppo) che in tv e sui giornali dicono di fare satira e poi si compiacciono perché le loro vittime li ringraziano. Ecco, per chi fa satira i ringraziamenti della vittima sono come la menopausa, anzi come la pace dei sensi. La morte civile. Ci vorrebbe una legge Bacchelli, per questi vignettisti in disarmo che non fanno più ridere e ricevono commesse dal governo: noi vi diamo un tanto al mese, e voi fate il piacere di smettere. Per il vostro bene, e anche per il nostro. Dubito che Pillinini abbia mai ricevuto ringraziamenti. Nemmeno dall'aldilà, visto che – come satira comanda – riesce spesso a prendere per il culo anche i morti. Si capisce benissimo, dalle sue vignette, che prima di farle s'incazza, mentre le disegna è ancora incazzato. Tant'è che chi le guarda prima s'incazza e poi ride. O al massimo fa entrambe le cose contemporaneamente. Che poi sono le uniche due cose decenti che uno può fare di questi tempi. Per questo la sua satira, che Dino Aloi definisce «un detersivo per le coscienze», è tutta salute. Non è facile, nonostante le apparenze, far ridere e far incazzare con il Cavalier Bellachioma. Più di quanto non faccia ridere e incazzare lui, intendo. Di solito la satira ribalta, deforma, caricatura, ma con Bellachioma bisogna prestare molta attenzione, perché ribaltandolo e deformandolo e caricaturandolo si rischia di riportarlo alla normalità e di farne addirittura una persona seria. Che c'è da esagerare in un tizio che si paragona a giorni alterni a don Sturzo, a De Gasperi, a Winston Churchill e a Napoleone? Nico Pillinini lo sa bene, e infatti quando si occupa del nostro Gnomo di Stato si limita a mostrarlo per quello che è (spesso ricorrendo a fotografie al posto dei disegni): tanto fa ridere da solo. È la cronaca che diventa satira senza nemmeno toccarla. Non è comunque Bellachioma la sua unica e principale fonte d'ispirazione, a dispetto del titolo di copertina che è dedicato inevitabilmente a lui. Intanto c'è la sua corte dei miracoli e dei miracolati, che per i satiri è manna dal cielo: quando mai ci erano capitati tutti insieme nello stesso schieramento e nello stesso decennio dei comici naturali come Gasparri, Giovanardi, Calderoli, Castelli, Buttiglione, Pera, Fazio? Le conferme viventi dell'aforisma di Mino Maccari: «L'attività del cretino è molto più dannosa dell'ozio dell'intelligente». Una vignetta autoritrae l'autore in preghiera, affranto all'idea che Bellachioma si dimetta e sparisca dalla scena. Ma temo che Nico si sottovaluti, o sottovaluti l'Italia. A parte il fatto che la sparizione dello Gnomo di Stato è pura utopia (egli seguiterà a imperversare anche dall'opposizione: è capace, vedi 1996, di vincere anche quando perde), una sua eventuale eclissi non lascerebbe comunque Pillinini disoccupato. Intanto perché questa sinistra che si prepara al potere prima ancora di averlo conquistato gli (anzi, ci) fornirà materiale da vendere. E poi perché lui riesce a far satira su tutto: dallo tsunami alla guerra, dal terrorismo al papa, dalla crisi della Fiat a quella del gas, dalla pedofilia alle epidemie, alle banche. Io comunque, da giustizialista impenitente e un po' sognatore, preferisco la vignetta del gangster che prepara la cella per l'arrivo di Dell'Utri. E quella di Previti che non si preoccupa delle sirene della sinistra intorno a Ciampi, bensì delle sirene dei carabinieri intorno a sé. Ma, si sa, al cuore non si comanda. In attesa che quelle vignette si avverino (la speranza è l'ultima a morire), abbiamo bisogno di lui e di quelli come lui più che del pane quotidiano. Quindi, caro Nico, dacci dentro. Continua a regalarci ogni mattina la tua piccola rivoluzione quotidiana. Perché – come scriveva Aleksandr Herzen – «Il riso ha in sé qualcosa di rivoluzionario. In chiesa e a corte non si ride mai, almeno apertamente. Solo gli uguali ridono fra loro. Il riso di Voltaire ha distrutto più dei pianti di Rousseau».