L'Universo, questo sconosciuto
Dalla nascita della Luna ai paradossi del continuum spazio-temporale, dall'energia oscura all'eco distorto del Big Bang: Stuart Clark affronta le tante sfide ancora irrisolte dell'astronomia moderna.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002693
- Anno: 2017
- Mese: aprile
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 256
- Note: illustrato
- Tag: Scienza Fisica Big Bang Cosmologia Universo Astrofisica
Il 21 marzo 2013 è iniziata una nuova stagione per la cosmologia. L’Agenzia Spaziale Europea ha diffuso la mappa della radiazione cosmica di fondo, il bagliore residuo del Big Bang. Probabilmente la più importante immagine dell’Universo mai catturata, la mappa ci ha svelato il vero aspetto del cosmo. Per la prima volta, ci siamo trovati davanti agli occhi il modello, e in un certo senso la storia, della nascita del l’Universo. Lontana dal fornirci risposte definitive, la mappa ha però mostrato piccole anomalie che hanno gettato ombre sulla nostra visione cosmologica, indicandoci che «viviamo ancora in un Universo sconosciuto, che aspetta solo di essere esplorato e compreso».
Con interessanti aneddoti sulla vita degli scienziati che hanno fatto la storia della cosmologia, Stuart Clark affronta le più grandi domande a cui la scienza non ha ancora dato risposta. Come si è formata la Luna? Cosa sono materia ed energia oscura? Abbiamo davvero compreso come funziona la gravità? Attraverso i meandri più misteriosi dell’Universo, dal cuore dei buchi neri al Big Bang, ci interrogheremo sulla natura stessa della realtà.
Introduzione. Il giorno in cui abbiamo visto l’Universo - 1. L’architetto dell’Universo - 2. I segreti di Selene - 3. Il crogiolo della gravità - 4. Il bestiario stellare - 5. Buchi nell’Universo - 6. Il giardino lussureggiante - 7. Chiaroscuro - 8. Il giorno senza ieri - 9. Multiversi e paesaggi temporali - 10. Risolvere la singolarità - Letture consigliate - Crediti fotografici - Indice analitico
La conferenza stampa era iniziata e tutti erano sulle spine. Chi
non era riuscito a presenziare la stava seguendo in diretta streaming
su internet. Twitter era tutto un cinguettio.
Per segnalare l’importanza dell’evento, il primo a parlare è stato
il direttore generale dell’ESA, Jean-Jacques Dordain. In toni sommessi
e con un inglese non proprio esemplare, ha raccontato che
Planck aveva mostrato un Universo «quasi perfetto». Ma cosa intendeva
con «quasi perfetto»?
Il compito di spiegarlo è toccato al professor George Efstathiou,
dell’Università di Cambridge, uno tra i più eminenti cosmologi al mondo.
All’inizio della conferenza stampa Efstathiou sembrava teso.
Aveva le spalle curve e le labbra serrate a formare una linea sottile.
Quando ha iniziato a parlare la tensione è scomparsa: ora appariva
a suo agio e sciolto, parlava con precisione, quasi rilassato. Senza
chiasso eccessivo ha annunciato che l’immagine mostrata sullo
schermo era la mappa più precisa della radiazione cosmica di fondo
mai ottenuta. Una miniera d’oro d’informazione, ha detto, nonostante
le sembianze la facessero somigliare a «una palla da rugby
sporca o un’opera d’arte moderna».
Nessuno ha riso ed egli ha tirato avanti, assicurando al pubblico
che c’erano cosmologi che avrebbero «forzato i nostri computer o
forse addirittura abbandonato i figli pur di ottenere una copia di
questa mappa». Anche stavolta nessuno ha riso.
Ha detto che la mappa di Planck era incredibilmente interessante
ma, anziché spiegarne le ragioni, si è addentrato in una lezione
di cosmologia fondamentale. A circa mezz’ora dall’inizio
della conferenza stampa non era stato detto niente di nuovo.
Quando ha presentato le conclusioni, non c’erano che piccole correzioni
a quanto già si conosceva, o poco più. La materia ordinaria
compone circa il 5 per cento dell’Universo anziché il 4 per
cento, il rapporto tra materia oscura ed energia oscura è leggermente
diverso, l’Universo è 80 milioni di anni più vecchio di
quanto pensavamo, ossia ha 13,8 miliardi di anni anziché 13,7 miliardi.
La conclusione generale, ha dichiarato, era che il modello
cosmologico standard aderisce estremamente bene ai dati raccolti
da Planck.
Io seguivo la conferenza stampa da casa, pronto alla tastiera a
riassumerne i risultati per Across the Universe, il mio blog di
astronomia ospitato dal sito web del quotidiano «Guardian», e
stavo iniziando a preoccuparmi. A un certo punto ho ricevuto un’email
da un amico, un redattore scientifico inglese di alto livello,
che diceva: «Se questo è tutto ciò che hanno da dire, allora è un incubo».
In effetti, i peggiori timori di John Mather stavano diventando
realtà proprio davanti ai nostri occhi.
Poi tutto è cambiato. Efstathiou ha dichiarato: «Ma c’è ancora qualche
problema, ed è per questo che abbiamo descritto i risultati
scientifici come un Universo quasi perfetto».
Ha iniziato a incespicare nelle parole, a guardare verso il basso.
Ha ribadito l’ottima corrispondenza tra il modello cosmologico
standard e i dati, aggiungendo che avrebbe potuto semplicemente
fermarsi lì e affermare che «la cosmologia ha detto tutto». Seppur
con qualche esitazione, si è però spinto a dire: «Ma poiché abbiamo
una corrispondenza [generale] con i dati così buona, dovremmo esaminare
con occhio maggiormente critico ciò che non sembra invece
adattarsi. Dobbiamo osservare ciò che non torna perché è lì che
potrebbero nascondersi le prove di una nuova fisica».
I giochi erano infine aperti. Ecco i «nuovi fenomeni» a cui
Mather e tutti noi anelavamo. Stavamo per avventurarci in territori sconosciuti.
Efstathiou ha spiegato che, sulla scala più ampia, le fluttuazionidi temperatura erano più piccole del previsto e che tale comportamento
era impossibile nel contesto del modello cosmologico standard.
Inoltre, le fluttuazioni medie di temperatura in una regione
erano maggiori che nell’altra: di nuovo qualcosa di proibito dal modello
standard. Infine, come confermato dall’annesso comunicato
stampama non menzionato da Efstathiou, Planck aveva osservato
la macchia fredda di WMAP, confermandone l’esistenza.
La qualità delle osservazioni eliminava ogni dubbio circa l’effettiva
esistenza di queste anomalie. Erano tutte caratteristiche reali
dell’Universo primordiale, ed erano inspiegabili mediante i ragionamenti
standard. Non c’era trucco che il team di Planck non avesse
tentato per spiegare la provenienza di questi fenomeni. Il messaggio,
secondo Efstathiou, era che i dati di Planck mostravano che
«la cosmologia non ha affatto detto tutto».
Nel febbraio 2015, Chuck Bennett, professore di fisica alla Johns
Hopkins University, ha condotto con alcuni colleghi un confronto
meticoloso tra il modello cosmologico derivante dai dati di WMAP
e quello che si ottiene da Planck. Gli scienziati hanno fatto una scoperta
inquietante: le due soluzioni non sono compatibili, ognuna descrive
un Universo differente. È chiaro che da qualche parte manca
qualcosa. È possibile che le due soluzioni non siano del tutto corrette,
ma dovrebbero quanto meno essere consistenti. Ora si sta indagando
sul possibile errore: o uno dei set di dati è stato calibrato in
modo errato oppure il modello cosmologico standard è sbagliato.
Ma come possiamo progredire ulteriormente quando quella di
Planck è in assoluto la migliore immagine delle anisotropie della radiazione
cosmica di fondo a cui possiamo aspirare, la nostra fonte
d’informazione principale sull’Universo primordiale?
Davvero, nonostante tutti i nostri successi, viviamo in un Universo
sconosciuto ancora in attesa di essere esplorato e compreso?
In tutta franchezza, Douglas Adams non avrebbe potuto scrivere
di meglio. È stato il nostro momento “42” tradotto in realtà. Molti
cosmologi ritenevano che i dati di Planck avrebbero infine svelato
la risposta alla domanda fondamentale su La vita, l’Universo e tutto
quanto (che io intendo come l’origine dell’Universo), mentre ora
nessuno sapeva davvero cosa farsene.
La maggioranza ritiene questi piccoli intoppi null’altro che gli ultimi
dettagli ancora da chiarire, una serie di “puntini sulle i” scientifici
da sistemare, ma un numero crescente di scienziati li considera
invece il segno del fatto che la nostra comprensione dell’Universo è
completamente sbagliata.
È in questo regno dell’ignoto che si addentra il libro che tenete
in mano. Cercando le risposte giungeremo ai meandri più misteriosi
dell’Universo: dal cuore dei buchi neri all’istante del Big Bang,
fino a confrontarci con la natura stessa della realtà.
Il viaggio inizia in Inghilterra, sulla Great North Road tra Londra
e Cambridge, negli ultimi decenni del XVII secolo.
1 settembre 2017 | Ellin Selae |
13 giugno 2017 | archiviostorico.info |
5 maggio 2017 | convenzionali.wordpress.com |
11 aprile 2017 | RAMINGO! |
13 Ottobre 2020 | La Sicilia |