Bit Economy
La grande scommessa delle criptovalute tra libertà e speculazione
prefazione di Riccardo Iacona
La criptofinanza è davvero l’alternativa al circuito bancario o rischia di ripetere i suoi stessi errori? Bit Economy ci guida nel mondo delle criptovalute, tra creatori anonimi e miniere fatte in casa, tra valori vertiginosi e fallimenti colossali, tra nuovi mercati finanziari e truffe internazionali.
- Collana: SottoInchiesta
- ISBN: 9788822049025
- Anno: 2022
- Mese: novembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 176
- Tag: Economia Criptovalute
Da quando è stato inventato nel 2008 come risposta alla crisi finanziaria che ha distrutto l’economia del mondo, il bitcoin è arrivato a valere fino a 69000 dollari e sono nate altre 20000 criptovalute che hanno raccolto sul mercato fino a 3000 miliardi di dollari.
Ma a novembre 2022 FTX, una delle più grandi “banche” di criptovalute al mondo, è fallita, con perdite superiori ai 10 miliardi: 100000 investitori sul lastrico, la “Lehman Brothers” delle monete virtuali.
La criptofinanza è davvero la nuova alternativa al circuito bancario o rischia di ripetere gli stessi errori? Come stanno reagendo le autorità bancarie del mondo a questo vero e proprio attacco alla loro sovranità monetaria?
Le criptovalute, negli anni, hanno conquistato il mercato dell’arte, dello sport, della moda, sono diventate persino la moneta ufficiale di una nazione, il Salvador. Ma vengono anche usate nel mercato illegale per riciclaggio, truffe, evasione fiscale, traffici di droga e armi. Un’intera economia che la crisi di novembre 2022 ha messo seriamente in pericolo.
È la fine della nuova Bit Economy o solo l’inizio di un nuovo ciclo per le monete digitali?
Le criptovalute e la guerra in Ucraina
Quando alle cinque di mattina del 24 febbraio 2022 è stato svegliato dai colpi e dalle finestre che tremavano nel suo quartiere a sud di Kiev, Michael non si è preso molto tempo per pensare: il piano non lo prevedeva.
«Ho contattato tutto il personale rimasto: ci saremmo visti a casa mia. Da lì era più facile lasciare la capitale, avevamo studiato tutte le strade di uscita e preparato altre case dove fermarci al sicuro in Ucraina». Le strade di Kiev si erano già riempite di auto e ci sono volute ore perché il personale raggiungesse la sua casa. Alle cinque del pomeriggio la notizia: i russi erano avanzati fino al confine nord di Kiev, non era più sicuro rimanere lì per lui, i suoi dipendenti e le loro famiglie, così hanno caricato le automobili e preso l’autostrada per i Carpazi, verso il confine con l’Ungheria.
«Ci abbiamo messo due giorni, fermi in code lunghissime per strada e guidando di notte. Ma alla fine siamo arrivati alle montagne». Questa tappa era solo un altro tassello del piano che aveva ideato: Michael Chobanian, 38 anni, presidente dell’Associazione Blockchain Ucraina, fondatore di Kuna, il più famoso exchange del Paese, aveva cominciato a lavorarci da mesi, mentre centomila soldati russi erano ammassati al confine e in molti avevano cominciato a pensare al peggio.
Già a gennaio Chobanian aveva riallocato tutto il personale strategico di Kuna in Europa, per permettere al sito di continuare il commercio di criptovalute. I dipendenti rimasti con lui a Kiev erano pochi: una volta trasferiti sulle montagne e messi in salvo anche loro sarebbe iniziata la fase successiva, la più importante del piano.
«Ero in contatto con il governo ucraino da mesi ormai, e sapevo che se i russi avessero attaccato saremmo stati a corto di armi, munizioni e attrezzatura di base». Michael non avrebbe mai potuto finanziare quel materiale per tutto il Paese, quindi aveva preparato una raccolta fondi per l’Ucraina in criptovalute: «L’ho lanciata la mattina del 26 febbraio: ho usato la piattaforma di Kuna, sono bastati due click ed era pubblica. L’ho diffusa sui miei social, su quelli della piattaforma, è diventata virale e in due ore avevamo già un milione di dollari in criptovalute».
Chobanian da anni è il punto di riferimento di tutta la comunità “cripto” in Ucraina: è stato lui ad aprire la prima società di criptovalute e a fondare il primo exchange nel Paese; era naturale, quindi, che le criptovalute giocassero un ruolo chiave nel suo piano, ma le ragioni della sua scelta erano tutt’altro che ideologiche.
Sin dalla sua instaurazione il governo Zelenskji ha fatto tutto il possibile per digitalizzare la Pubblica Amministrazione ucraina, ma una parte della macchina burocratica resta ancora di impronta sovietica e Chobanian racconta l’ipotesi di finanziare il piano in grivnie, la valuta corrente ucraina, come un’Odissea moderna.
Per cominciare avrebbe dovuto fondare un’organizzazione umanitaria a cui destinare i fondi, o cercarne una fidata tra quelle già esistenti. Poi avrebbe dovuto compilare quintali di moduli, fornire documenti, aprire un conto in banca: perdendo giorni, settimane, forse mesi per ottenere i permessi. La parte più difficile sarebbe stata passare i controlli delle banche: avrebbe avuto limiti ai prelievi e ai depositi per le leggi antiriciclaggio, e in qualsiasi momento gli istituti di credito avrebbero potuto bloccargli le riserve.
«Ma c’è un fattore ancora più importante», sottolinea Chobanian, «con il sistema bancario ucraino un bonifico fatto dall’Italia ci avrebbe messo tre giorni ad arrivare, soprattutto per grosse somme di denaro. Il mio bonifico a sua volta ci avrebbe messo altri tre giorni ad arrivare al fornitore. È una settimana in tutto: con le criptovalute, invece, dopo due ore avevo raccolto un milione e in venti minuti potevo pagare chiunque. Questo fa la differenza perché io ho usato il fondo per comprare dei giubbotti antiproiettile».
Chobanian assicura di essere stato il primo a consegnare quei giubbotti all’esercito: è arrivato prima di ogni altra nazione straniera e ogni altra organizzazione umanitaria. «I nostri soldati hanno avuto quei giubbotti con una settimana di anticipo e questo vuol dire vincere le battaglie, in uno scenario di guerra. Aggiungi che nessuno può bloccare il mio conto né impedire i miei pagamenti. Le criptovalute si sono rivelate il mezzo di pagamento perfetto in tempo di guerra».
Appena inviati all’esercito i primi giubbotti, Chobanian ha ricevuto una telefonata dal Ministero della transizione digitale ucraino: al telefono il viceministro Alexander Bornyakov gli ha chiesto di convertire il suo fondo in criptovalute nel fondo ufficiale del governo. «La nostra guerra è sul campo, dobbiamo difenderci casa per casa e arruolare volontari, ma senza giubbotti non possiamo mandare la gente al fronte» ci ha spiegato Bornyakov, ricordando come nei primi giorni dopo l’invasione il sistema bancario della nazione fosse in difficoltà; «l’idea di Chobanian era perfetta per risolvere il problema: si acceleravano i tempi di consegna e noi potevamo arruolare più persone».
Bornyakov è considerato da tutti il braccio esecutivo dietro la grande digitalizzazione del Paese, l’uomo che ha promosso l’applicazione Diya, grazie alla quale ogni ucraino può comodamente portare tutti i propri documenti sul cellulare.
A luglio 2022, il giorno in cui i russi avevano bombardato a Vinnycja un centro commerciale con una clinica, uccidendo 23 persone di cui tre bambini, e distrutto due università a Mykolaïv, Bornyakov è riuscito comunque a trovare mezz’ora per parlare con noi e ribadire l’importanza dei risultati ottenuti con le criptovalute: «Il fondo è stato un successo perché con le criptovalute puoi vedere dove vanno i tuoi contributi. Così i donatori si sono fidati e la comunità cripto ha risposto con grande entusiasmo».
Nei primi due giorni quel fondo ha raccolto 15 milioni di dollari, nei mesi successivi è arrivato a 70 milioni: il governo ucraino ha comprato 5500 giubbotti antiproiettile, 500 000 razioni di cibo, caschi, visori notturni, walkie talkie, vestiti, kit di pronto soccorso, tutto finanziato in criptovalute.
Già prima dell’inizio della guerra l’Ucraina era il primo Paese occidentale per uso di criptovalute: oltre il 10% degli abitanti aveva un portafoglio virtuale, in pratica più di 5 milioni di utenti. Questo ha reso più facile l’uso delle nuove monete in condizioni di emergenza, e ha permesso che nascessero contemporaneamente decine di altri fondi come quello del governo.
Rev Miller il 24 febbraio era all’estero con la moglie e i figli: «Non riuscivo a smettere di pensare al resto della mia famiglia a Charkiv, ai miei amici e a tutta la gente che stava rischiando la vita in quelle ore. Non potevo starmene con le mani in mano». Miller, 24 anni, imprenditore e sviluppatore, ha raggiunto immediatamente un network di amici e colleghi che lavorano nell’Information Technology e insieme a loro ha lanciato il sito Unchain, un’altra grande raccolta di fondi in criptovalute.
A distanza di appena qualche mese il sito riporta un totale di quasi 10 milioni di dollari ricevuti, e contiene intere sezioni dedicate ai partner con cui è stato sviluppato, alle ONG a cui sono stati devoluti i fondi, agli ospedali, alle raccolte di cibo.
Esiste persino una carta di credito Unchain, che i volontari distribuiscono alle donne con figli a carico: sulla carta di credito una madre con due figli riceve circa 300 dollari al mese e al momento sono circa 6000 le madri sul territorio che la stanno utilizzando.
Tutte queste informazioni si possono trovare nel rapporto dettagliato sulle voci di spesa del fondo, sempre disponibile online e aggiornato, dove sono riportati i servizi forniti nelle zone colpite dal conflitto, in pratica quasi tutti i teatri di battaglia attivi. «In quei giorni», ricorda Miller, «abbiamo avuto 3000 volontari, a Charkiv, Černihiv, Buča, Irpin’, Kiev, che ci hanno aiutato a evacuare i civili, portare cibo e vestiti, soccorrere le famiglie».
Tra quei volontari c’era Andriy Velykyy, che ha iniziato a girare il Paese per comprare viveri e beni pagati da Unchain, ed è rimasto senza parole quando ha raggiunto un campo di aiuto interamente finanziato in criptovalute: «Sono molti anni che lavoro in questo settore, ma quando ho visto quante operazioni stavano gestendo in quel campo, per la prima volta ho avuto la sensazione che il mio lavoro potesse veramente aiutare le persone intorno a me».
Il campo si chiama Phoenix Voluntary Camp, è stato messo in piedi in un albergo a Polianytsia, vicino ai confini con la Romania e la Polonia. «Per prima cosa abbiamo comprato decine di materassi, perché l’emergenza principale erano gli sfollati dalle altre zone del Paese». Vadym Prykhodko, che gestisce le operazioni nel campo, racconta che nella regione dei Carpazi, dopo l’attacco, la popolazione è cresciuta del 50%. Oltre ad aver sistemato gli sfollati, grazie ai fondi i volontari del Phoenix hanno comprato 3 jeep e 3 camioncini, e con quelli hanno iniziato un intenso viavai oltre i confini con la Romania e la Polonia, per rifornirsi di viveri e beni da portare a Kiev, a Mykolaïv e a est del Paese. «Ci siamo trovati più volte sotto il fuoco incrociato dei missili. È stato spaventoso, ma non ci siamo fermati, anzi: in pochi giorni qui in albergo hanno cominciato ad arrivare i volontari di altri fondi cripto, con cibo e beni per gli sfollati. Tutti insieme abbiamo fatto base qui. È stata una collaborazione fantastica».
10 Dicembre 2022 | Repubblica |
10 Gennaio 2023 | La Gazzetta del Mezzogiorno |
12 Gennaio 2023 | Earthday.it |
27 Gennaio 2023 | www.pde.it |
30 Gennaio 2023 | www.pde.it |
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