Specie rare
Vincitore del National Book Award per la Fiction
Otto magnifici racconti in cui la passione e l’esperienza scientifica si intrecciano alle piccole vittorie e alle molte sconfitte dell’esistenza umana.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015112
- Anno: 2013
- Mese: novembre
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 288
- Tag: Biologia Letteratura Romanzo
Alcune lettere inedite di Mendel e un drammatico episodio d’infanzia sono l’eredità che lega Antonia a suo nonno. Perso nel limbo fra ricordi e realtà, il vecchio Linnaeus combatte con la scomparsa della sua leggendaria memoria. Due biologi marini si innamorano sulla labile linea di confine fra terra e mare, ma devono fare i conti con la labilità dei sentimenti. Di racconto in racconto, Andrea Barrett applica il suo sapiente microscopio narrativo a queste e altre «specie rare», personaggi eccezionali per sete di conoscenza e anticonvenzionalità, ma comunissimi nella loro dolente umanità. Se la scienza è una lente d’ingrandimento che permette di leggere il grande libro della natura, la letteratura è un prisma con cui scomporre, analizzare e descrivere le mille componenti della vita. È così che l’amore per la scienza si combina alla scienza dei rapporti umani, producendo una straordinaria serie di storie in cui l’invenzione romanzesca è intessuta di elementi reali, la curiosità scientifica è intrecciata alla passione, la storia è intimamente legata alla contemporaneità.
Il comportamento degli sparvieri - L’allievo inglese - La zona di marea - Specie rara - Soroche - Uccelli senza zampe - Le sorelle Marburg - Febbre navale
Uccelli senza zampe
Fuoco – 1853
Non c’era vento, quella sera. Il mare, illuminato dal plenilunio, brillava calmo e argenteo; la Croce del Sud proseguiva il suo viaggio sopra la nave e sotto di essa i calamari scivolavano invisibili negli abissi. Tra cielo e mare c’era Alec Carrière, disteso sull’amaca a mo’ di stella marina e intento a immaginare come la sua vita sarebbe cambiata grazie ai tesori imballati nella stiva.
Coleotteri, farfalle, ragni, falene, pelli di uccelli e di serpenti, ossa: il bottino raccolto lungo il Rio delle Amazzoni e poi difeso dalle onnivore formiche. Mr. Barton, il suo agente nella natia Filadelfia, aveva venduto i primi esemplari a caro prezzo, e Alec confidava che quel carico gli avrebbe infine regalato la libertà di dedicarsi agli studi in santa pace. Entro pochi mesi avrebbe compiuto ventun anni e sognava ciò che sogna ogni giovane uomo.
Prima di salpare per l’Amazzonia lavorava in una bottega che produceva valigie di cuoio, non lontano dalla taverna dei genitori a Germantown. Ma, come il giovane collezionista inglese che aveva conosciuto a Barra, nei pressi delle isole alluvionali del Rio Negro, era stato salvato da un’esistenza squallida e insignificante dal buon cuore di alcune persone e da un libro. Con il saggio di ornitologia dello zio sempre in tasca, aveva vagato sulle sponde del Wissahickon mandando a memoria i nomi degli uccelli e fantasticando di luoghi selvaggi. Suo fratello Frank gli aveva insegnato a sparare, e dietro la baracca del gabinetto aveva fatto i primi maldestri tentativi di preparare pelli e montature. Sapeva già che esistevano naturalisti che avevano imparato il mestiere da soli, che erano di origini altrettanto umili, e non aveva visto nulla di straordinario nelle proprie ambizioni.
Ogni due o tre mesi si avventurava nel centro di Filadelfia per recarsi all’Accademia di Scienze Naturali, dove alcuni dei membri correggevano le sue informi preparazioni e gli insegnavano quel che potevano. Dagli uccelli i suoi interessi si erano estesi ad altre specie. Titian Peale gli aveva mostrato un eccellente metodo per spillare ed esporre le falene.
Due dei fratelli Wells, Copernicus ed Erasmus, gli avevano insegnato a preparare gli scheletri. Tutto ciò estasiava Alec, ma irritava suo padre; quando il figlio aveva sedici anni, aveva già iniziato a insistere perché abbandonasse quel passatempo infantile e prendesse sul serio il proprio lavoro.
Alec per poco non aveva rinunciato. Ma nel 1850 Peale gli aveva fatto dono del meraviglioso libricino di William Edwards, A Voyage Up the River Amazon.
Leggerlo era stato come veder aprirsi una porta. Cosa lo tratteneva a Filadelfia? Edwards era poco più vecchio di lui quando era partito; Alec era sano e robusto, e aveva tre fratelli che potevano occuparsi dei genitori. Inoltre desiderava con tutto se stesso vedere la natura lussureggiante dei tropici.
Mr. Barton, un banditore d’aste di storia naturale conosciuto all’Accademia, gli aveva assicurato che tutto il Brasile settentrionale era poco noto, che Edwards ne aveva riportato solo esigue collezioni, e che avrebbe potuto tranquillamente pagarsi il viaggio raccogliendo uccelli, piccoli mammiferi, conchiglie terrestri e insetti di ogni ordine. Tra i ricchi, aveva detto Mr. Barton, impazzava la moda delle vetrine piene di creature tropicali ordinate per genere o di- sposte in tableaux. E in Nord America erano giunti dal Rio delle Amazzoni così pochi esemplari che c’era la garanzia di venderli a caro prezzo.
Con la sfrontatezza della gioventù, Alec aveva scritto a Mr. Edwards in persona, il quale gli aveva procurato una lettera di presentazione per vari mercanti. Poi aveva fatto i bagagli e usato gli scarsi risparmi per prenotare un passaggio su una nave mercantile. Suo padre era andato in collera; sua madre aveva pianto. Ma lui vedeva soltanto prodigi davanti a sé.
La foce del Rio delle Amazzoni sembrava un mare e si distingueva dall’oceano solo per il bizzarro colore giallo ocra. Il Rio Negro era nero come lo Stige. Giaguari altrettanto neri ed enormi nidi di tartaruga, aguti e serpenti giganteschi; sotto Baião, lo spettacolo di Alec che scuoiava pappagalli aveva richiamato una frotta di indiani ilari e curiosi. Determinato a raccogliere quanto più poteva, Alec aveva ignorato il caldo, il cibo scadente e le febbri che lo affliggevano a intermittenza.
Tanta perseveranza era stata ricompensata a Barra, dove Alfred Wallace lo aveva accolto come un fratello.
A quel tempo Wallace non era famoso. A eccezione della luce che gli ardeva dentro e che aveva acceso una fiamma identica in Alec, era un collezionista come tanti, esageratamente alto, con una zazzera di capelli gialli e abiti non meno logori dei suoi. Il giorno in cui si erano incontrati, il sole era precipitato in cielo come un uccello abbattuto e nell’improvvisa notte tropicale si erano messi a comparare pelli e fucili.
Alec soffriva di solitudine ed era contento di avere compagnia dopo mesi trascorsi fra indiani di cui non conosceva la lingua. Aveva chiacchierato troppo la sera dell’incontro con Wallace, lo sapeva. Ma, sebbene fosse più vecchio di dieci anni, divorato dalla febbre e in attesa di rimpatriare dopo tre estenuanti anni nella giungla, Wallace non aveva mai riso delle ciarle di Alec né lo aveva fatto sentire da meno. Gli aveva mostrato le cerbottane usate dai suoi cacciatori indiani e l’amaro olio vegetale con cui ungeva le corde su cui essiccava i campioni. Alec gli aveva fatto vedere i magnifici uccelli parasole che aveva catturato nell’igapò, la foresta inondata del Brasile. Accanto a quell’uomo così alto, magro ed emaciato, Alec si era compiaciuto di essere giovane, di avere un corpo robusto e compatto, del contrasto tra l’ampio palmo e il pollice a spatola delle sue mani e l’ossatura sottile di Wallace.
Tutto attorno i tucani e i pappagalli schiamazzavano, e le palme stormivano alla brezza della sera. Avevano mangiato pesce, farinha e tartaruga. Quindi si erano scambiati aneddoti sui libri che li avevano salvati. Quando Alec aveva scoperto che Wallace non era uno scienziato che viveva di rendita ma, come lui, poteva contare solo sulla vendita degli esemplari per pagarsi il viaggio, aveva provato un’immediata simpatia.
Dopo che si erano separati, Alec si era dedicato alla raccolta con zelo ancora maggiore. Adesso le prede se ne stavano ben imballate sotto di lui e, cullato dal pigro rollio della nave, si vedeva scendere da un veicolo davanti alla taverna dei suoi genitori, rivestito di un abito nuovo e carico di più denaro di quanto ne avessero mai visto.
Lo avrebbero accolto con entusiasmo, pensò Alec. Come tutti coloro che lo avevano aiutato. Quale sarebbe stata la sorpresa dei fratelli Wells e di Titian Peale, nel ricevere in dono le farfalle strabilianti che aveva tenuto in serbo per loro! E che silenzio sarebbe calato all’interno dell’Accademia,mentre parlava agli uomini che tanto gli avevano insegnato. Mostrando il piumaggio perfetto di uno di quei rari uccelli parasole, avrebbe indicato i lucenti ciuffi blu sulle penne della cresta.
«Quando l’uccello è a riposo» avrebbe detto, «la cresta si solleva formando una cupola blu che cela completamente la testa e il becco». Gli avrebbero dato una scrivania, pensò Alec, dove sedersi a catalogare i suoi tesori. E magari si sarebbe anche sposato, se avesse incontrato una donna che gli piaceva.
Era felice, e già mezzo addormentato. Poi il mozzo arrivò di corsa e si mise a scuoterlo dicendo: «Mr. Carrière! Il capitano dice di andare subito da lui. Dev’esserci un incendio!». E Alec, ancora immerso nei sogni del suo meraviglioso futuro, uscì stordito dalla cabina portando con sé solo l’ultimo volume del suo diario e il fagotto dei vestiti.
In coperta regnava il caos: fumo che saliva tra gli alberi, lingue di fuoco che divampavano dalla cucina, membri dell’equipaggio che gettavano acqua sul ponte e sulle vele. Il capitano Longwood sbraitava ordini e c’erano uomini che scioglievano le scialuppe e si apprestavano a calarle, mentre altri correvano a prendere barili di acqua e di biscotti.
«Cos’è successo?» urlò Alec. «Cosa posso fare?».
«Salvate ciò che potete!» gli urlò di rimando il capitano Longwood. «Ho paura che perderemo la nave».
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