La sconosciuta del Musée de l'Homme
Finalista al Premio Merck Serono 2012
Un avventuroso giallo scientifico tra due continenti su un argomento di scottante attualità: le implicazioni scientifiche, etiche ed economiche della ricerca sulla clonazione.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015037
- Anno: 2011
- Mese: ottobre
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 192
- Tag: Letteratura Romanzo Genetica Etica Clonazione Bioetica
Sulla terrazza del Musée de l’Homme, a Parigi, viene uccisa una giovane donna asiatica. La vittima ha con sé un articolo contrario alla clonazione umana e un altro che celebra la riuscita degli esperimenti genetici del professore coreano Twang. Nessun altro indizio, a parte una bustina di fiammiferi di un bar di Seul con una testa di volpe. Da qui si dipana una vicenda che vede coin volti il commissario Jasmin e l’amico giornalista Marc Cour tra Francia, Italia e Corea, dove la ricerca d’avanguardia convive con antichissimi rituali sciamanici. Seguendo il filo dell’intrigo da un continente all’altro, non si può fare a meno di interrogarsi sul difficile equilibrio tra limiti etici e progresso scientifico: fino a che punto siamo disposti a spingerci? Un giallo scientifico avventuroso su un tema di scottante attualità: le implicazioni scientifiche, etiche ed e conomiche della ricerca sulla clonazione.
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Fu allora che la vide. Dietro il comignolo. Allarmato dalla posa innaturale e dall’immobilità del corpo, si avvicinò ed ebbe un moto di orrore. La ragazza giaceva supina, le braccia in croce e le mani spalancate. Sotto la testa un’ombra, una pozza di lacca scura, sangue, gli occhi stralunati. Un grosso foro nel collo. I vestiti – una camicetta chiara e una gonna di jeans – non erano sporchi. Le gambe nude, un paio di mocassini a tacco basso. Giovane, asiatica, bella, con il volto stanco. Una piccola cicatrice a sinistra della commessura labiale alterava l’armonia dei tratti. Alain Galant, la fronte madida di sudore, si chinò su di lei e notò, come ipnotizzato, la fluidità del sangue che fuoriusciva dal collo.
Esitò un secondo prima di afferrare il pezzo di carta che le spuntava dalla tasca. Era un ritaglio del suo articolo Il codice inviolabile, apparso tempo addietro sul «New York Times». L’aveva scritto su richiesta del quotidiano, esponendo le proprie ipotesi sull’origine della vita, l’evoluzione della specie, l’improbabilità della clonazione umana.
Era stato contestato con veemenza dalla stampa americana.
Alain si sentì percorrere da un brivido e sommergere da una ridda di domande incalzanti e caotiche: perché?
Chi era quella donna? Cosa voleva? Come era stata uccisa? E quell’elicottero...?
Sul cellulare, Alain premette il tasto di chiamata automatica relativo al numero di Sartelle.
«Jacques, salga al più presto sulla terrazza. È urgente».
Jacques Sartelle, ansante e un po’ inebetito, si inginocchiò accanto al corpo della donna per osservarla da vicino.
«La conosce?» gli chiese Galant.
«Neanch’io, mai vista. Santo cielo, che situazione di m...».
«Bisogna chiamare la polizia».
«Sì, certo. Subito. Ma mi racconti del vostro incontro».
«Si è presentata un po’ prima delle dieci. Il portinaio l’ha accompagnata nel mio ufficio. In una specie di gergo mezzo inglese mezzo non-so-che, ha chiesto di incontrarla.
Mi ha detto solo che veniva da Seul per un’intervista.
Non le ho chiesto il tesserino. Non lo faccio più da quando l’anno scorso lei mi ha accusato di aver offeso la giornalista del “National Geographic”». Poi tornò a chinarsi sul cadavere. «Ma com’è possibile che qualcuno sia stato ucciso su questa terrazza, in questo museo, nel più completo anonimato?».
«Aspettiamo che la polizia abbia concluso gli interrogatori».
Il direttore andò incontro al procuratore che era appena arrivato e, d’istinto, lanciò uno sguardo oltre la porta della scala prima di salutare i due uomini.
«Alain Galant, direttore del museo. L’ho chiamata io.
Ecco, il cadavere è lì».
«È in arrivo il mio collega Pierre Jasmin, commissario della Squadra omicidi. Io sono il sostituto procuratore. Di chi si tratta?».
«Non ne ho idea. Una perfetta sconosciuta».
«Ha toccato qualcosa?».
«Sì, ho preso questo foglio che le spuntava dalla tasca.
È uno dei miei articoli».
«Quale tasca?». Il magistrato assunse un lieve tono di rimprovero.
«La sinistra, sulla gonna».
«Me lo dia. Di cosa tratta l’articolo?».
«Clonazione, antropologia. Nulla di sconvolgente».
«No, nel modo più assoluto».
«Ha sentito qualcosa o qualcuno?».
«No, niente e nessuno». Esitò. «Un elicottero è passato vicinissimo, facendo un baccano infernale. Si è al- lontanato in quella direzione, verso Issy. Ma succede spesso, o almeno mi sembra. Non so dirle altro».
Il commissario era arrivato. Portava un paio di occhiali neri e un vestito beige; la giacca mostrava un rigonfiamento in corrispondenza della fondina. Niente cravatta.
Senza distogliere lo sguardo dalla vittima, porse ai due uomini il suo biglietto da visita.
«Il foro sul collo è stato causato da un proiettile di piccolo calibro. Data l’inclinazione, la pallottola deve essere uscita da dietro, all’altezza del cranio. Forse ha attraversato il cervello. Quindi lei non ha sentito lo sparo mentre saliva le scale?».
«No. D’altronde non vedo come avrebbe potuto fuggire un assassino. L’altra botola è chiusa, la terrazza è dotata di un solo accesso».
«E lei chi è?».
«Jacques Sartelle, assistente del professor Galant».
«Niente da segnalare? Cosa ci faceva questa donna sulla terrazza?».
Sartelle riferì di nuovo della richiesta di un appuntamento e della telefonata al suo superiore.
«L’ha accompagnata lei quassù?».
«Sì, le ho chiesto di aspettare l’arrivo del professor Galant.
D’estate, con il bel tempo, riceviamo i visitatori su questa terrazza. Sa, per il panorama».
«E non è rimasto con lei?».
«No, aspettavo una telefonata importante».
«Da chi?».
«Dal ministro dei Trasporti. È mio suocero».
Il commissario sbatté le palpebre. Messaggio ricevuto.
Non gli piaceva granché quel genere di cose. Le pressioni sulle inchieste lo infastidivano. Bisognava dar prova di discrezione con la stampa, tener fuori i nomi di quegli uomini di riguardo. Un delitto, si sa, getta sempre del fango.
Non bastava che Alain Galant fosse un personaggio pubblico: ecco che c’era di mezzo anche il genero del ministro.
Che scalogna... Non doveva sbagliare una mossa.
Estrasse dalla tasca un paio di guanti di lattice per la perquisizione.
Fece scorrere le dita inguantate sugli abiti della giovane donna, infilandole ora in una tasca, ora in una piega. Trovò un pacchetto di Camel semivuoto contenente cinque sigarette e una scatola di fiammiferi con la pubblicità di un bar o ristorante di Seul: un logo che rappresentava una testa di volpe all’interno di un cerchio, più un indirizzo in coreano. Il conto di un pranzo su un foglio senza intestazione. Una banconota da cinquanta euro. Nient’altro. Bel risultato.
22 aprile 2012 | Corriere del Mezzogiorno |
10 marzo 2012 | LIBRICONSIGLIATI.IT (WEB) |
21 dicembre 2011 | La Gazzetta del Mezzogiorno |