L'«incivilimento dei barbari»
Identità, migrazioni e neo-razzismo
prima edizione giugno 1983
nuova edizione ampliata
La storia recente ha portato alla ribalta paesi e culture del Terzo Mondo, riproponendo all'Occidente in termini del tutto nuovi i nodi dell'etnocentrismo, del rapporto tra nazioni egemoni e paesi dominati, dell'imperialismo culturale.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822060174
- Anno: 2007
- Mese: maggio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 360
- Tag: Antropologia Società Terzo Mondo Etnologia Immigrazione Imperialismo Razzismo
Questo libro intende rimeditare, alla luce di ampie esperienze storico-comparative rese possibili da una comprensiva antropologia critica, le categorie convenzionali di «etnocentrismo», d'«identità», e di «imperialismo culturale». Ne risulta una riequilibrata interpretazione non solo dell'etnocentrismo, ma dei limiti dell'antietnocentrismo. D'altronde il riemergere odierno, secoli dopo Rousseau, di un'antropologia orientata alla rivalorizzazione di mondi primitivi e tribali contrapposti alla civiltà occidentale in crisi, si presenta - nel contesto di tanti irrazionalismi d'oggi - con un segnale d'allarme, come scienza ambivalente: la quale da un lato sa aprire orizzonti impensabili alla comprensione e alla intercomunicazione fra gli uomini, dall'altro può occultare trabocchetti insidiosi in cui va a cadere chi, per sfuggire al disagio della nostra crisi alienante, nella rincorsa dietro un'identità nostalgicamente rimpianta o immaginariamente reinventata, non si avvede che l'identità non sfugge alla storia e vuole essere ad ogni momento costruita e ricostruita su basi creative e dinamiche.
Premessa
A Benedetto Croce, il quale propugnava «l’incivilimento dei barbari» come obiettivo e privilegio dell’Occidente verso le popolazioni del Terzo Mondo, sfuggiva – per effetto dei sottintesi ideologici e della boria eurocentrica insiti nella filosofia idealista a lui trasmessa dal modello hegeliano – quanto discutibile dovesse presto rivelarsi la nozione di «barbarie», a quali popoli più appropriatamente pertenga l’appellativo di «barbari», quale continente abbia elaborato e prodotto le forme più raffinatamente aberranti di barbarie.
Oggi una più matura e allargata coscienza storica, una smaliziata metodologia critica ed autocritica ha messo ormai a nudo di che lagrime grondi e di che sangue il cosiddetto «incivilimento» già dato come missione storica dell’Occidente, mentre per converso la stessa nascita delle conoscenze antropologiche, l’approfondimento critico dei metodi d’interpretazione e analisi nelle scienze umane, stanno portando ad un metodico ridimensionamento, alla trasformazione, ad una riarticolazione della stessa nozione di civilizzazione com’era intesa nella tradizione nostrana. Anzitutto la messa in discussione della nozione di «civilizzazione», come storica missione attribuita alla civiltà occidentale, trova motivi di giustificazione nella stessa storia dei rapporti esterni con altre genti, e dei rapporti fra gruppi, nazioni e stirpi all’interno della società occidentale. Lacerante è la conflittualità fra principi e prassi, etica e politica, nell’intero sviluppo della storia occidentale. I genocidi delle genti native compiuti secoli or sono, nel nome della superiore civiltà cristiana, dai conquistatori dell’America continuano fino ad oggi con i massacri delle popolazioni amazzoniche perpetrati dagli eredi di quegli antichi conquistatori, nel nome di un cinico opportunismo economicistico. È sottinteso il principio che è diritto di una «razza presunta superiore» sopprimere l’identità ed eliminare fisicamente genti appartenenti a cosiddette «razze inferiori». Lo sterminio degli Ebrei compiuto dai nazisti non era un’operazione militare né motivata da qualunque altra logica se non quella degradata della «giusta eliminazione d’una cosiddetta razza inferiore». Le fosse di Katyn fatte riempire da Stalin nel 1941 dai cadaveri di 11.000 ufficiali polacchi trucidati dai «fratelli» russi per decapitare una nazione «sorella» dimostrano a quale grado di cinismo politico una nazione potente sa giungere nel nome di un egemonismo imperialista. La guerra del Vietnam rientra nella logica militare, ma l’entità e i modi dei massacri rivelano il grado di raffinatezza nella barbarie genocida di una moderna grande nazione occidentale. Il sistema delle torture e delle «sparizioni» applicato in Argentina dal potere ufficiale contro presunti avversari politici, i loro parenti e qualunque individuo sgradito (anche bambini) o sospettabile, è un ulteriore esempio di «civiltà» degradata come barbarie.
La cosiddetta «pulizia etnica» praticata dai Serbi in Bosnia recentemente contro i Musulmani – in nome dell’aberrante ideologia di una «Grande Serbia Ortodossa» –, con il metodo «originale» e infame dello sterminio della popolazione maschile e lo stupro sistematico delle donne, per «cambiare la razza» della generazione che ne seguirà, è degno modello della barbarie di oggi nell’Europa «civilizzata».
Oltre a queste considerazioni, per una presa di coscienza critica circa l’accezione dei termini «barbarie» e «civilizzazione», rileviamo che sta maturandosi in Occidente una diffusa conoscenza dei processi di acculturazione «bifronte». In rapporto ai quali processi non potremo più limitarci a guardare univocamente le azioni d’intervento trasformativo praticate sulle culture «altre» dalle istituzioni più varie delle nazioni occidentali e gli effetti distruttivi od ambigui che ne discendono, bensì è inevitabile prendere atto della meno appariscente ma non meno sottile e incisiva penetrazione o influenza di esperienze e conoscenze provenienti dalle società «altre» nei settori più disparati del pensiero, della cultura, nell’intera Weltanschanung dell’Occidente. Non v’è sfera della nostra cultura – dalla teoria economica al diritto, dalla religione all’arte, dalla sociologia alla linguistica, dalla storiografia alla filosofia, dalla pedagogia alla psicologia, dalla medicina alla psichiatria – che non sia messa in discussione e che non sia spinta a rinnovarsi dal confronto con le nuove conoscenze antropologiche, dal confronto con la realtà delle culture «altre».