Ultimi pensieri
a cura e prefazione di Vincenzo Barone
Morale e scienza, matematica e fisica dei quanti: una preziosa raccolta di saggi, articoli e conferenze di uno dei più grandi scienziati e intellettuali del primo Novecento.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002648
- Anno: 2016
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 240
- Tag: Scienza Matematica Filosofia Fisica Spazio
Apparso postumo, un anno dopo la morte di Poincaré, Ultimi pensieri raccoglie saggi, articoli e testi di conferenze risalenti all’ultimo decennio della sua vita, che compongono una sorta di testamento scientifico e intellettuale del grande studioso francese.
Ai temi classici della sua riflessione critica (l’origine e il fondamento della geometria, la relazione tra matematica e logica, il primato dell’intuizione), si affiancano quelli legati alle nuove teorie fisiche (relatività e teoria dei quanti), che Poincaré affronta con straordinaria acutezza, da scienziato e da filosofo. Impreziosiscono la raccolta alcuni scritti etici di grande modernità, sul rapporto tra morale e scienza, e sulla libertà scientifica.
La chiarezza espositiva, la forza dell’argomentazione e lo stile al tempo stesso appassionato e rigoroso rendono il libro affascinante ed estremamente attuale. Le sue pagine permettono di cogliere lo spirito scientifico del primo Novecento e di apprezzare l’influenza esercitata da Poincaré sul pensiero contemporaneo.
Tra fisica ed eticadi Vincenzo Barone - Nota editoriale - 1. L’evoluzione delle leggi - 2. Lo spazio e il tempo - 3. Perché lo spazio ha tre dimensioni - L’Analysis Situse il continuo - Il continuo e i tagli - Lo spazio e i sensi - Lo spazio e i movimenti - Lo spazio e la natura - L’Analysis Situse l’intuizione - 4. La logica dell’infinito - Che cosa deve essere una classificazione - I numeri cardinali - L’articolo di Russell - L’assioma di riducibilità - L’articolo di Zermelo - L’uso dell’infinito - Riepilogo - 5. La matematica e la logica - 6. L’ipotesi dei quanti - Termodinamica e probabilità - La legge della radiazione - I quanti di energia - Discussione dell’ipotesi precedente -I quanti d’azione - La nuova teoria di Planck - Le idee di Sommerfeld - Conclusioni - 7. I rapporti fra la materia e l’etere - 8. La morale e la scienza- 9. L’unione morale - APPENDICI - 1. I fondamenti della geometria - La lista degli assiomi - Indipendenza degli assiomi - La geometria non archimedea - La geometria non desarguesiana - La geometria non pascaliana - Lo Streckenübertrager - Geometrie diverse - Conclusioni - 2. Cournot e i princìpi del calcolo infinitesimale - 3. Il libero esame in materia scientifica - 4. Il diavoletto di Arrhenius- Indice dei nomi
Capitolo 8
La morale e la scienza
Spesso, nell’ultima metà del XIX secolo, si è sognato di creare una morale scientifica. Non ci si accontentava di vantare le virtù educative della scienza, i vantaggi che l’animo umano ricava per il proprio perfezionamento dal guardare in faccia la verità; si contava sul fatto che la scienza mettesse le verità morali al di sopra di ogni contestazione, così come ha fatto per i teoremi di matematica e per le leggi enunciate dai fisici.
Le religioni possono avere una forte influenza sui credenti, ma non tutti lo sono; la fede si impone soltanto su alcuni, la ragione su tutti. È alla ragione che dobbiamo rivolgerci, e non dico a quella del metafisico, con le sue costruzioni brillanti e tuttavia effimere come le bolle di sapone, che ci divertono per un istante e poi scoppiano. Soltanto la scienza sa costruire in modo solido e duraturo: ha posto le basi dell’astronomia e della fisica e, oggi, sta edificando la biologia; grazie agli stessi procedimenti, un giorno, costruirà la morale. Le sue prescrizioni regneranno indiscusse, nessuno cospirerà contro di esse e non ci si sognerà di insorgere contro la legge morale più di quanto, oggi, non si pensi di rivoltarsi contro il teorema delle tre perpendicolari o la legge di gravità.
Dall’altro lato, c’erano alcuni che della scienza pensavano tutto il male possibile, e in essa vedevano una scuola d’immoralità. Non soltanto essa dà troppo spazio alla materia, levandoci il senso del rispetto (perchè rispettiamo soltanto ciò che non osiamo guardare dritto in faccia), ma le sue conclusioni non rappresenteranno forse la negazione della morale? Come ha detto non ricordo quale celebre autore, la scienza spegnerà le luci del cielo o, per lo meno, le priverà di ciò che hanno di misterioso per ridurle allo stato di volgari lampioni. Essa ci svelerà i trucchi del Creatore, il quale perderà così qualcosa del proprio prestigio. Non è bene lasciare che i bambini guardino cosa c’è dietro le quinte: potrebbero avere dei dubbi sull’esistenza dell’uomo nero. Se lasciamo fare gli scienziati, ben presto non vi sarà più alcuna morale.
Cosa dovremmo pensare delle speranze degli uni e delle paure degli altri? Non ho esitazione a rispondere che sono entrambe vane, le une come le altre. Non può esistere una morale scientifica, ma non può nemmeno esistere una scienza immorale. La ragione è molto semplice ed è, come dire, puramente grammaticale.
Se le premesse di un sillogismo sono entrambe all’indicativo, lo sarà anche la conclusione. Perchè sia possibile mettere la conclusione all’imperativo, è necessario che lo sia almeno una delle premesse. I princìpi della scienza e i postulati della geometria sono all’indicativo, e non potrebbe essere altrimenti; lo sono anche le verità sperimentali, e alla base delle scienze non c’è e non può esserci nient’altro. Il dialettico più astuto può giocare con questi princìpi come vuole, combinandoli e impilandoli gli uni sugli altri: ciò che ne emergerà sarà sempre all’indicativo, non otterrà mai una proposizione che dica «fai questo» oppure «non fare quello», ossia una proposizione che confermi o contraddica la morale.
Ecco una difficoltà che i moralisti incontrano da lungo tempo. Si sforzano di dimostrare la legge morale, e questo bisogna perdonarglielo perchè si tratta del loro mestiere; vogliono basare la morale su qualcosa, come se potesse basarsi su qualcosa di diverso da se stessa. La scienza ci mostra che l’uomo non può che degradarsi se vive in questo o in quel modo; ma se io mi preoccupassi poco di degradarmi e se, ciò che voi chiamate degradazione, io lo chiamassi progresso? La metafisica ci porta a conformarci alla legge generale dell’essere che pretende di essere riuscita a scoprire; le si potrebbe però controbattere che noi preferiamo obbedire alla nostra legge particolare; non so cosa ci risponderebbe, ma vi assicuro che non avrà lei l’ultima parola.
La morale religiosa è forse in una condizione più felice della scienza o della metafisica? Obbedite perchè l’ha ordinato Dio, e lui è un maestro che può sconfiggere ogni resistenza. Si tratta di una dimostrazione? Non si può forse sostenere che è bello ergersi contro l’onnipotenza e che, nella lotta fra Giove e Prometeo, è proprio il torturato Prometeo il vero vincitore? E poi questo non è obbedire, quanto cedere alla forza; l’obbedienza dei cuori non può essere forzata.
Non possiamo nemmeno fondare una morale sull’interesse della comunità, sul concetto di patria, sull’altruismo, perchè resterebbe da dimostrare che nel momento del bisogno ci si deve sacrificare per la città di cui si fa parte o, ancora, per la felicità altrui; tale dimostrazione non può essere fornita da alcuna scienza o da alcuna logica. Ancor di più, la morale stessa dell’interesse bene inteso, quella dell’egoismo, sarebbe impotente, perchè, dopotutto, non è affatto certo che convenga essere egoisti nè che esistano individui che non lo sono per nulla.
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