Gravità
La forza che governa l'Universo
prima edizione 2010
ristampa
prefazione di Gino Segrè - postfazione di Silvio Bergia
La gravità nelle parole (e nei disegni) di uno dei più grandi fisici del XX secolo. Da Galileo a Einstein, George Gamow ripercorre la storia delle idee e degli uomini che hanno contribuito alla comprensione della più elusiva tra le interazioni fondamentali.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002488
- Anno: 2011
- Mese: febbraio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 160
- Note: illustrato in bianco-nero
- Tag: Fisica Isaac Newton Galileo Galilei Universo Albert Einstein George Gamow Gravità
La gravità governa l’Universo. Tiene unite le centinaia di miliardi di stelle della nostra galassia, la Via Lattea; fa girare la Terra intorno al Sole e la Luna intorno alla Terra; fa cadere al suolo le mele mature. In questo volume, pubblicato per la prima volta nel 1962, George Gamow ripercorre la storia della fisica della gravitazione attraverso l’opera dei tre personaggi che più hanno contribuito a plasmarla: Galileo, il primo a studiare in dettaglio la caduta dei corpi; Newton, che colse la natura universale della forza di gravità; ed Einstein, che interpretò la gravità come la curvatura del continuum spazio-temporale a quattro dimensioni. I lettori ostili alle equazioni potranno comunque saltare la parte più tecnica senza perdere l’essenza del racconto, grazie al talento narrativo di Gamow.
Il libro è arricchito dai disegni originali dell’autore.
Premessa all’edizione italiana di Elena Ioli - Prefazione all’edizione italiana di Gino Segrè - Introduzione - 1. Come cadono le cose - 2. La mela e la Luna - 3. Il calcolo infinitesimale - 4. Le orbite dei pianeti - 5. La Terra è una trottola - 6. Le maree - 7. I trionfi della meccanica celeste - 8. Fuga dalla gravità - 9. La teoria einsteiniana della gravitazione - 10. I problemi irrisolti della gravità - Postfazione all’edizione italiana di Silvio Bergia - Breve profilo cronologico della vita personale e professionale di George Gamow - Opere di George Gamow - Indice analitico
Capitolo settimo
I trionfi della meccanica celeste
Nell’arco di un secolo il seme piantato da Newton con la formulazione della legge di gravitazione universale e con l’invenzione del calcolo infinitesimale crebbe e diede vita a una foresta tanto meravigliosa quanto fitta. I calcoli di grandi matematici, come Joseph Louis Lagrange (1736-1813) e Pierre Simon Laplace (1749-1827), diedero alla meccanica celeste una perfezione mai raggiunta prima nella scienza. Partendo dalla semplicità delle leggi di Keplero sul moto dei pianeti, che sarebbero state esatte se questi ultimi si fossero mossi esclusivamente sotto l’effetto della gravità solare, la teoria arrivò a includere le interazioni reciproche o perturbazioni tra i pianeti, raggiungendo così un livello di complessità molto elevato. Naturalmente, essendo le masse dei pianeti molto più piccole di quella del Sole, le perturbazioni delle loro orbite dovute alle reciproche interazioni gravitazionali sono molto piccole, ma non abbastanza da poter essere trascurate se si desidera ottenere una precisione paragonabile a quella delle misure astronomiche. Calcoli di questo tipo richiedono una quantità enorme di tempo e di risorse (anche se oggi i calcolatori elettronici danno una mano). L’astronomo americano E.W. Brown, ad esempio, dedicò vent’anni a studiare migliaia di termini di lunghissime serie matematiche per poter pubblicare i suoi tre volumi di dati con il titolo Tables of the motion of the Moon.
Si trattava di imprese faticose, che però davano spesso buoni risultati. Verso la fine dell’Ottocento un giovane astronomo francese, J.J. Le Verrier, stava confrontando i suoi calcoli sul moto del pianeta Urano – scoperto per caso nel 1781 da William Herschel – con le osservazioni relative alla sua posizione nei 63 anni successivi alla scoperta, quando si rese conto che qualcosa non quadrava. Lo scarto tra le osservazioni e i calcoli era esageratamente grande – fino a venti secondi d’arco, vale a dire l’angolo sotteso da un uomo a dieci miglia di distanza – e la differenza non era spiegabile con un errore sperimentale né tantomeno teorico.
Le Verrier sospettò che la discrepanza fosse dovuta alle perturbazioni indotte da un pianeta sconosciuto situato su un’orbita esterna a quella di Urano; si mise all’opera per calcolare che massa avrebbe dovuto avere l’ipotetico pianeta e che caratteristiche avrebbe dovuto avere il suo moto per spiegare le deviazioni osservate nell’orbita di Urano. Alla fine dell’estate del 1846 Le Verrier scrisse a J.G. Galle dell’Osservatorio di Berlino: «Dirigete il vostro telescopio verso un punto dell’eclittica nella costellazione dell’Acquario, a 326° di longitudine, e vi troverete – con un margine di errore di un grado – un nuovo pianeta, simile a una stella di nona grandezza e dotato di un disco visibile».
Galle seguì le istruzioni. Il nuovo pianeta, battezzato Nettuno, fu trovato la notte del 23 settembre 1846. Per correttezza va detto che l’inglese J.C. Adams condivide con Le Verrier l’onore della scoperta matematica di Nettuno. Adams aveva comunicato i suoi risultati a T. Challis dell’Osservatorio dell’Università di Cambridge, ma quest’ultimo fu troppo lento nella ricerca e perse così una grande occasione.
La storia si è ripetuta, anche se in modo meno drammatico, nella prima metà del Novecento. Verso la fine degli anni ’20 gli astronomi americani W.H. Pickering, dell’Osservatorio di Harvard, e Percival Lowell, fondatore dell’osservatorio omonimo in Arizona, avanzarono l’ipotesi che le perturbazioni osservate nell’orbita di Urano e di Nettuno indicassero l’esistenza di un altro pianeta al di là di quest’ultimo. Ci vollero però più di dieci anni prima di trovare il nuovo corpo celeste, che venne chiamato Plutone e che potrebbe essere un satellite di Nettuno sfuggito alla sua attrazione: a scoprirlo fu C.W. Tombaugh del Lowell Observatory, nel 1930. Non è ancora ben chiaro se la scoperta sia stata il frutto delle predizioni o di una ricerca sistematica e meticolosa. Un altro esempio interessante della precisione raggiunta dai risultati della meccanica celeste è l’utilizzo del calcolo delle date delle eclissi lunari e solari come riferimenti nella storia dell’umanità. Nel 1887 l’astronomo austriaco Theodore von Oppolzer pubblicò una serie di tabelle con i risultati dei suoi calcoli relativi alle eclissi solari e lunari del passato, a partire dal 1207 a.C., e a quelle future fino al 2162: in tutto, più o meno 8000 eclissi di Sole e 5200 eclissi di Luna. Utilizzando questi dati si scopre ad esempio che il nostro calendario è indietro di quattro anni. Secondo le testimonianze storiche infatti, la Luna ebbe un’eclissi «in segno di lutto» per colpa di Erode, re di Giudea, che nell’ultimo anno del suo regno ordinò il massacro di tutti i bambini della città di Betlemme nella speranza che tra di loro ci fosse anche il Cristo neonato. Secondo le tabelle di von Oppolzer l’unica eclissi compatibile con i fatti narrati è quella del (venerdì?) 13 marzo dell’anno 3 a.C., il che ci porta a concludere che Gesù Cristo nacque quattro anni prima della data indicata tradizionalmente dal nostro calendario.
Altri esempi di eclissi importanti dal punto di vista storico sono quelli dell’eclissi del 6 aprile 648 a.C., che ci permette di fissare con certezza il primo riferimento storico della cronologia greca, e dell’eclissi del 911 a.C. che determina la cronologia dell’antica Assiria.
19 Maggio 2010 | Corriere della Sera |
01 Aprile 2020 | SoloLibri.Net |