La scienza in cucina
Piccolo trattato di gastronomia molecolare
prima edizione 2010
5a ristampa
prefazione di Dario Bressanini
Perché l’aragosta bollita è rossa e la meringa è gonfia? Indagine scientifica e abilità culinaria si alleano per comprendere meglio ciò che facciamo ogni giorno in cucina… e per preparare nuove leccornie!
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068194
- Anno: 2017
- Mese: novembre
- Formato: 17 x 20 cm
- Pagine: 160
- Note: illustrato a colori
- Tag: Scienza Chimica Cucina Enogastronomia Alimentazione
La scienza può contribuire a perfezionare la cucina? Assolutamente sì, come dimostra Hervé This in questo libro analizzando la fisiologia del gusto, l’effetto degli alimenti sull’organismo umano e i meccanismi molecolari che stanno alla base di fenomeni noti ai cuochi da millenni, ma mai realmente compresi. L’arte culinaria passa così dal regno dell’esperienza a quello della conoscenza per trasformarsi in «gastronomia molecolare», una nuova disciplina in grado di smentire i falsi miti che si tramandano in cucina. Dopo aver scoperto l’origine del gusto amaro, delle bollicine dello champagne e del colore del Porto, neofiti della cucina e cuochi provetti impareranno a classificare le salse, montare a neve il bianco dell’uovo, lavorare la pasta sfoglia, cucinare con le pietre roventi e molto altro, senza dimenticare lo scopo ultimo della cucina: far felici i propri ospiti!
Prefazione all’edizione italiana di Dario Bressanini - Aperitivo - 1. Facciamo lavorare i sensi - Elogio della superficialità - I grassi sono deliziosi... - Flavourindegno - La sensazione di freschezza - Gusti e recettori - I denti dell’amaro - Pregiudizi enologici - Un’illusione gustativa - 2. Salute e alimentazione - Verdure per le ossa - Olio d’oliva e salute - La digeribilità - I pigmenti salutari del vino - Le virtù della pappa reale - La qualità della carne - 3. Quali sono le note? - La guerra dello scalogno - Il profumo delle cose - I tannini «fondono» - La forza rivelata dei tannini - Il gusto di tappo - 4. La questione degli antipasti - L’uovo a 65°C - Si consideri un uovo... - Il ripiegamento in cucina - Eliminiamo i grumi! - Perle succulente - 5. Capire e perfezionare - La cucina preistorica - Che tenerezza! - Cinque porzioni al giorno! - Il colore dei fagiolini - Il gusto del pollo arrosto - Pochi scambi - Come dare gusto... - La cardinalizzazione - Profumi prigionieri - Ventitré tipi di salse - A che scopo? - 6. Senza dimenticare tutto ciò che rende bella la vita - Il cibo terra terra - I formaggi al carciofo - I formaggi lavorati - I cetriolini sottaceto - Il pane raffermo - I cristalli di vento - Il buon vecchio rame - La meringa italiana - L’opacità del pastis - Le bolle nelle fibre - Il colore e il gusto dei vini di Porto - Alambicchi e distillazioni - 7. Dalla cucina molecolare al costruttivismo culinario - La cucina mira alla chimica - È ora? A voi la parola! - Terra incognita - Parentele culinarie - Costruiamo ricette... - La cucina astratta - Il boccone della staffa - Glossario - Bibliografia - Indice analitico
Prefazione di Dario Bressanini
Hervé This è uno dei fondatori della gastronomia molecolare, e più in generale uno dei più grandi fautori, insieme al giornalista americano Harold McGee, di un approccio scientifico alla cucina. Alla buonacucina.
Ultimamente quella che a me piace chiamare la cucina scientifica sta diventando molto popolare anche in Italia. Si pubblicano libri, tra cui questo che avete tra le mani, si scrivono articoli su riviste e blog, se ne parla in televisione, si invitano a parlare chimici e fisici ai congressi dei cuochi, si organizzano corsi.
Certo a prima vista sembra strano, soprattutto in Italia, dove le scienze in generale e la chimica in particolare sono ancora viste da molti con sospetto se non con ostilità. Soprattutto in campo gastronomico, in un paese come il nostro dove modificare una ricetta della Tradizione (con la t maiuscola) è considerato quasi una blasfemia. Figuriamoci suggerire di usare in un piatto una sostanza chimica, un gelificante, sconosciuto al tempo di Pellegrino Artusi. Tutti chiamano «l’Artusi» il famoso libro del gastronomo di Forlimpopoli. Ma il suo titolo completo è in realtà La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene segno che l’accostamento tra scienza e gastronomia alla fine dell’Ottocento non creava scandalo. Questo binomio infatti non è per nulla una novità, come invece molti cuochi e chef moderni sembrano pensare.
In realtà gli scienziati, e i chimici in particolare, si sono sempre interessati al cibo e al modo di cucinarlo.
Se non altro perché sono persone come le altre e si cibano (e magari cucinano) ogni giorno.
Possedere una mentalità scientifica rende quasi automatico, per uno scienziato, porsi delle domande su quello che succede al cibo durante la preparazione delle varie ricette e cercare delle risposte.
Sono certo che qualche protoscienziato dell’antichità, dopo aver scoperto che la carne cotta era più gustosa di quella cruda, si sia chiesto il perché.
Dobbiamo però aspettare sino al secolo dei Lumi, il Settecento, per trovare degli studi sistematici e, per la prima volta, risposte scientifiche ai quesiti che sorgono spontanei dal mondo della gastronomia.
Uno dei massimi pensatori scientifici del tempo fu sicuramente Benjamin Thompson. Nato nel 1753 nella colonia britannica del Massachusetts, allo scoppio della Rivoluzione americana, fedele al Re, se ne fuggì in Europa, prima in Inghilterra e poi in Baviera, dove al servizio del Duca supervisionò la produzione di cannoni. In quel periodo diede dei con tributi fondamentali alla termodinamica con i suoi esperimenti sulla natura del calore, gettando le basi per la scoperta di una legge fisica fondamentale: il primo principio della termodinamica.
Insignito del titolo di Conte del Sacro Romano Impero per i servigi resi decise di farsi chiamare Conte Rumford, prendendo il nome della piccola cittadina del Massachusetts dove aveva studiato.
Thompson si interessò molto ai metodi e agli strumenti di cottura del cibo. Ideò un camino che ancora oggi porta il suo nome. Prima del suo progetto innovativo i cami ni nelle case erano molto simili a quelli che possia mo ancora osservare in qualche castello medievale: a pianta rettangolare e con una canna fumaria immediatamente sopra la zona dove risiedeva il fuoco. Questi camini erano scarsamente efficienti per scaldare gli ambienti e riempivano di fumo i locali. Thompson intuì che se le pareti interne del camino fossero state oblique avrebbero potuto riflettere parte del calore nel locale, aumentandone l’efficienza. In più introdusse una «strozzatura» nella canna fumaria in modo tale da convogliare il fumo prodotto su per il camino. Il suo progetto ebbe un successo notevole e ben presto Thompson divenne noto come «l’uomo che tolse il fumo dalle cucine di Londra».
In un saggio pubblicato nel 1799 indagò sul procedimento comunemente utilizzato all’epoca per cucinare il cibo – la bollitura, e scrisse: Il processo con cui il cibo è solitamente preparato, la bollitura, è così familiare a tutti, e i suoi effetti così uniformi, e apparentemente così semplici, che pochi, credo, si sono preoccupati di studiare come o in che modo quegli effetti sono prodotti, e se siano possibili dei miglioramenti nel processo del cucinare.
Ecco lo scienziato che non può fare a meno di porsi delle domande, di fronte a fenomeni apparentemente semplici e sotto gli occhi di tutti. All’epoca era già nota empiricamente la legge che correla la temperatura di ebollizione dell’acqua all’altitudine.
L’acqua bolle a 100 °C solo al livello del mare, alla pressione di una atmosfera. A mano a mano che saliamo con l’altitudine la temperatura di ebollizione scende. Questo significa che della carne immersa in acqua a bollore in Baviera cuoce ad una temperatura inferiore rispetto a quella che si può ottenere a Londra, quasi sul livello del mare. Non si è mai sentito però, scrive Thompson, un cuoco della Baviera lamentarsi perché in montagna i cibi non sono ben cotti.
Non si può non ammirare la sua logica stringente: [...] Se la carne può, senza difficoltà, essere cucinata con il calore di 209,5 gradi Fahrenheit [n.d.a. 98,6 °C] a Monaco, perché non dovrebbe essere possibile cuocerla con lo stesso grado di calore a Londra? [...] È evidente quindi che il processo del cucinare chiamato «lessare» può essere effettuato in acqua che non è all’ebollizione. [...] Da tempo sospettavo che fosse alquanto improbabile che precisamente la temperatura di 100 °C (quella dell’acqua all’ebollizione) fosse quella più adatta per cucinare ogni sorta di alimento.
All’epoca, in Inghilterra, carne e verdure venivano buttate in acqua a vigorosa ebollizione per cuocerle. Ora sappiamo che per cuocere della carne, ad esempio uno spezzatino, è opportuno non far mai arrivare all’ebollizione l’acqua di cottura, altrimenti la carne diventa molto dura.
Convinto della validità delle proprie osservazioni, cercò di convincere i cuochi dell’epoca che fosse meglio cuocere la carne mantenendo un leggerissimo bollore piuttosto che una vigorosa ebollizione, che avrebbe indurito la carne.
Si lamenta così nel suo saggio:
So bene, per esperienza personale, come sia difficile persuadere i cuochi di questa verità; ma è così importante che nessuna fatica dovrebbe essere risparmiata nell’impresa di
rimuovere i loro pregiudizi e illuminare le loro conoscenze.
Per convincere i cuochi tradizionalisti il Conte Rumford suggerisce di far fare loro un esperimento di controllo: prendere due recipienti e nel primo cuocere la carne a vigorosa ebollizione, nel secondo tenere l’acqua a sobbollire.
La carne nel bollitore in cui l’acqua è stata tenuta solo bollente ma senza bollire, sarà tanto cotta quanto quella dell’altro. Sarà anche migliore, cioè più tenera, succulenta e con più sapore.
[...] Sono cosciente del pericolo a cui mi espongo raccontando in pubblico questi fatti e le deduzioni da questi, che sono certamente troppo nuovi e straordinari per essere creduti se non con le dimostrazioni più inattaccabili.
Spinse i suoi ragionamenti all’estremo, confortato dai suoi esperimenti, a tal punto da proporre per la prima volta nella storia della gastronomia di cuocere la carne a basse temperature (diciamo tra i 60 °C e gli 80 °C). Un procedimento che solo ora, a più di due secoli di distanza, è diventato popolare nelle cucine dei ristoranti, i cui cuochi molto probabilmente ignorano la figura del Conte Rumford.
Louis Pasteur fu un altro scienziato, chimico del secolo successivo, interessato professionalmente agli alimenti. Onoriamo il suo nome al supermercato ogni volta che comperiamo una bottiglia di latte. Fu l’inventore del procedimento di riscaldamento, che oggi chiamiamo pastorizzazione, mediante il quale dal latte vengono eliminati eventuali batteri patogeni, potenzialmente pericolosi per la salute. In realtà non fu Pasteur ad applicare il procedimento al latte. Lui inventò il procedimento, e lo brevettò, per applicarlo al vino e alla birra, per eliminare i microrganismi che causavano molti danni economici ai produttori, rendendo il vino spesso imbevibile durante l’invecchiamento.
Fu però un chimico molto famoso, sempre nell’Ottocento, a introdurre metodologie nel modo di cucinare che ancora oggi si insegnano nelle scuole alberghiere. Il suo nome lo troviamo ancora una volta al supermercato, anche se non molti sanno che era un chimico. Sto parlando di Justus von Liebig. Quello dell’estratto e dei dadi da brodo, esatto! Le sue ricerche lo portarono a inventare il processo industriale per preparare l’estratto di carne e a fondare l’azienda che porta il suo nome.
Chimico tedesco di grande valore e fondatore della moderna agricoltura basata sui fertilizzanti, decise di studiare i processi di trasformazione della carne sottoposta all’azione del calore. Particolare attenzione in quel periodo era diretta ai cosiddetti «composti albuminoidi» di cui l’albume dell’uovo era il prototipo. Oggi chiamiamo queste molecole proteine. Tutti sanno che l’albume, riscaldato, da trasparente diventa bianco e da semiliquido diventa solido coagulando. Liebig sapeva che la carne conteneva molecole simili. In un suo famoso trattato, Liebig enuncia una celebre teoria su come si debba procedere per preparare un brodo oppure un bollito. Nel primo caso lo scopo è estrarre tutti i succhi interni alla carne, nel secondo i succhi dovrebbero, per quanto possibile, rimanere all’interno per dar gusto alla pietanza.
La teoria di Liebig è questa: se vogliamo preparare un bollito, dobbiamo cercare di tenere all’interno il più possibile i succhi. È opportuno quindi immergere la carne in acqua bollente: in questo modo le proteine sulla superficie coaguleranno formando una pellicola protettiva e «sigillando» così la carne. Viceversa, se lo scopo è ottenere un buon brodo, dovremo immergere la carne in acqua fredda e scaldarla pian piano, lasciando ai succhi il tempo di uscire. La teoria di Liebig si estende anche alle cotture a fuoco vivo o in padella, ad esempio per una bistecca o per un arrosto. Si deve «sigillare» la carne con alte temperature per impedire ai succhi di uscire. La fama di Liebig come scienziato era tale che queste procedure, ignote ai cuochi prima di allora, vennero quasi immediatamente riprese da famosi chef francesi dell’epoca e inserite nei loro manuali di cucina. Questo dimostra come il mondo della cucina all’epoca avesse un occhio ben attento verso le nuove scoperte scientifiche. Queste procedure vengono ancora oggi insegnate in molti corsi di cucina.
Peccato che la teoria fosse falsa e le procedure prive di fondamento. Liebig in questo caso non fu un buon scienziato: si devono sempre sottoporre alla prova sperimentale le proprie teorie, cosa che Liebig non fece, ma la sua fama portò il mondo scientifico (e quello gastronomico) ad accettare le sue teorie «sulla fede». È perfettamente inutile usare dell’acqua fredda per preparare un buon brodo, come ha dimostrato sperimentalmente proprio Hervé This nel suo libro Pentole & provette.
La rosolatura della carne non «sigilla» in alcun modo la carne e non impedisce ai succhi di uscire.
La motivazione gastronomica della rosolatura è stata spiegata da un altro chimico, il francese Louis Camille Maillard, all’inizio del XX secolo. Le reazioni che portano il suo nome, ampiamente citate da This in questo libro, servono per creare quelle molecole «gustose» che siamo abituati ad associare alla carne arrostita, e avvengono solo a temperature sufficientemente elevate.
Gli scienziati misero alla prova le teorie di Liebig sulla sigillatura della carne nei primi decenni del XX secolo e dimostrarono che erano sbagliate pubblicando i risultati su riviste scientifiche. Perché allora vengono ancora insegnate nelle scuole di cucina? Nel secolo scorso i cuochi si sono progressivamente allontanati, anche «filosoficamente», dalla scienza. Forse si sono sentiti più vicini a degli artisti che a dei chimici inconsapevoli. Fatto sta che l’informazione che la teoria di Liebig fosse sbagliata non è uscita dal mondo scientifico. Ecco perché ancora molti cuochi credono sia vera.
Con l’arrivo della grande industria chimica, con i suoi indubbi successi ma anche con i problemi che ha portato, l’immagine illuminista della chimica come portatrice di progresso e conoscenza si è sempre più affievolita nel grande pubblico lascian do spazio a immagini meno piacevoli. La chimica al servizio della grande industria alimentare, con il suo uso e a volte abuso di additivi, aromi e sostanze chimiche in genere, ha potuto solo peggiorarne l’immagine a tal punto che la buona cucina e la chimica non parevano avere più nulla in comune.
Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso un astrofisico britannico, Nicholas Kurti, appassionato gastronomo e desideroso di ricreare i legami perduti tra il mondo scientifico e quello gastronomico, lamentava la situazione in una serie di conferenze di «scienza in cucina» che ha tenuto in Gran Bretagna. Kurti affermava ironicamente: «è una triste riflessione che noi conosciamo meglio la temperatura all’interno delle stelle che quella all’interno di un soufflé».
Gli scienziati infatti avevano continuato a studiare il cibo e i suoi metodi di preparazione, ma sempre più spesso, ignorati dagli chef, lavoravano per rispondere alle domande dell’industria alimentare, desiderosa di sapere con precisione quale fosse la temperatura migliore per cuocere un prosciutto o la composizione migliore per una maionese industriale.
Kurti mise insieme un gruppo di amici, tra cui Hervé This e Harold McGee, con l’idea di organizzare un convegno scientifico, ad Erice in Sicilia, dove per la prima volta da quasi un secolo si sarebbero potuti nuovamente parlare cuochi e scienziati.
Il resto è storia: nel 1992 si tenne il primo convegno internazionale sulla «gastronomia fisica e molecolare», successivamente abbreviata in «gastronomia molecolare». A quel convegno ne seguirono altri, sempre a Erice, spingendo sempre più a fondo l’indagine scientifica della buona cucina e attirando sempre più cuochi e scienziati (anche se, a dire il vero, i cuochi italiani brillano per l’assenza, pur tenendosi il convegno in Sicilia).
Da chimico, appassionato gastronomo, autore del popolare blog Scienza in cucina e curatore per la rivista di divulgazione scientifica «Le Scienze» della rubrica «Pentole e provette», che nella rivista con sorella francese «Pour la Science» è tenuta proprio da Hervé This, non posso che rallegrarmi di questo rinnovato interesse per la scienza ai fornelli.
Interesse che, come spero di avervi dimostrato in queste poche pagine, non è affatto nuovo. Il legame tra scienza e cucina era stato solo dimenticato dai più. Ma ora, anche grazie ai libri di This, e questo che avete tra le mani è l’ultimo tradotto in italiano, il legame si è di nuovo rinsaldato.
Buona lettura.
1 settembre 2017 | Dimensione Benessere |
29 giugno 2014 | Emmeciquadro |
25 maggio 2013 | Corriere della Sera |
14 aprile 2012 | Puglia Libre |
01 novembre 2010 | le Scienze |
01 ottobre 2010 | jack |
31 maggio 2010 | Il Tempo |