La vita eccentrica
Soggetti e saperi nel mondo della rete
prefazione di Pietro Barcellona
La rete non ha un centro e non ha una fine: i suoi abitatori si trovano sempre al bivio tra il sentirsi più ricchi di competenze e di possibilità, e l’alienazione in un’anomia dissipativa.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053794
- Anno: 2009
- Mese: maggio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 192
- Tag: Sociologia Comunicazione Informatica Internet
L’importanza crescente della «rete» nella società contemporanea pone continui e inauditi problemi di interpretazione e di comprensione dell’agire umano. Una nuova comunicazione e un nuovo linguaggio che mettono in connessione milioni di esseri umani in uno spazio affatto diverso da quello fisico tradizionale e senza alcuna presenza della corporeità materiale dei parlanti. Un incremento inimmaginabile di informazioni provenienti da ogni parte che si depositano e si accumulano in siti accessibili attraverso semplici codici informatici. Una dilatazione senza precedenti delle possibilità di conoscenza e una flessibilità dei ruoli che trasforma la tradizionale distinzione tra lavoro e non-lavoro, tra tempo di vita e tempo mentale e che ci costringe a ripensare la nostra condizione di uomini. La rete è un universo senza confini e chi la frequenta è costantemente in bilico tra l’arricchimento delle competenze e delle possibilità, e l’alienazione in un’anomia dissipativa.
Prefazione di Pietro Barcellona - 1. La «socializzazione asociale». Apprendimento e processi produttivi - Esperienza e specialismi - La pratica della connessione e la comunicazione difficile - 2. Tecnica e corpo sociale. Fare-macchina - Il corpo come interfaccia - L’ibridazione soggettiva e il nuovo divenire umano - 3. Lo specifico cyborg - Di-segni di differenza: mostri - Urbanografie ed esercizi di libertà (nell’«età della tecnica») 4. Anthropos e capitalismo digitale - La differenza di Marx. Un supplemento - 5. Antropologia della tecnica - Retroterra tecno-filosofici - Attività tecnica, ragione sociale e libertà: Gilbert Simondon - Deleuze su Simondon - 6. Spazio e sapere - 7. Soggettivazioni eccentriche - 8. Contrazioni spazio-temporali: letture del contemporaneo - Per un’etica della libertà - 9. Etica e cyberspazio - Fuori-testo
Prefazione di Pietro Barcellona
Il trionfo dell’Occidente ha rappresentato la riduzione della società a un puro fatto funzionale, a una società in cui lo stare insieme sembra non avere altra ragione che il produrre e il consumare, e in cui il singolo entra in contatto con gli altri come funzionario della produzione e del consumo. In questo quadro, come sottolinea Ubaldo Fadini, anche i processi di apprendimento si combinano con le dinamiche produttive in maniera sempre più stretta e significativa, trovando nella rete lo strumento di condivisione e gestione di saperi «liquidi».
La base di questo mutamento è stata indubbiamente la rivoluzione informatica, che ha radicalmente modificato l’organizzazione del lavoro e dei rapporti sociali con un’estrema frammentazione delle prestazioni lavorative. Il sistema capitalistico, attraverso la gestione dell’innovazione tecnologica e della produttività, ha strutturato un potere enorme, sottratto ai vincoli della democrazia politica, costituendosi come sistema globale integrato di economia e società. Una tale configurazione sistemica è stata possibile solo con il passaggio da un sistema di interdipendenze sostanziali a un sistema autoriflessivo. Quando il pensiero del sistema assume se stesso come oggetto di «comprensione», si compie questo passaggio, giacché le connessioni fra le componenti diventano oggetto di riflessività, trasformandosi da relazioni strutturali in relazioni tecnico-funzionali.
Si è modificata la forma della razionalità e della relazionalità; i rapporti fra i diversi elementi della forma sistemica non sono più di interdipendenza sostanziale, ma di complementarietà funzionale; si è completamente scardinata la connessione fra i segmenti del lavoro, non più mediati da luoghi e identità fisiche ma da comunicazione informatica e spazi virtuali.
L’astrazione riflessiva caratterizza anche l’attuale statuto «cognitivo» dei processi: l’attività cognitiva è un motore generativo di conoscenza che, nella forma e nella fase sociale che stiamo vivendo, ricalca le strategie di accumulazione del capitale. Il postfordismo, può a ragione affermare Fadini, ha inventato il lifelong learning: un terribile meccanismo per cui un giovane deve per forza convincersi che la propria drammatica condizione di precarietà non dipenda più da «rapporti di forza tra le classi» ma dalla propria insufficiente formazione, condannandolo a cercare, quasi in eterno, sul mercato opportunità formative invece che lavorative.
Se Marx aveva anticipato l’evoluzione macchinistica del capitalismo e aveva previsto la tendenziale predominanza del lavoro morto sul lavoro vivo, fino a ipotizzare la superfluità del lavoro operaio e umano, oggi ci troviamo di fronte al problema di come concettualizzare l’introduzione del «cervello artificiale» nel processo formativo e produttivo e di come affrontare la pervasiva trasformazione della sfera riproduttiva a nuova frontiera dell’accumulazione capitalistica, attraverso la manipolazione della vita e le biotecnologie.
Si tratta di una trasformazione radicale, in cui il sistema capitalistico ha assunto la forma del sistema a rete, modificando sia la forma del lavoro, sia la stessa forma del potere. Attraverso l’incorporazione della scienza e l’uso delle tecnologie, questo «sistema autocrate» ha affermato il proprio dominio sulla società, un dominio che si è esteso sempre più con l’affermarsi del processo di globalizzazione. L’idea di Fadini è che, in questo contesto, risieda lo stretto rapporto tra sviluppo della «società della conoscenza» e dinamiche formative, tanto che si utilizza il concetto di «capitale umano», in un modo tale da rendere i requisiti richiesti per collocarsi nel mercato del lavoro sempre più costosi, poiché comportano un elevato investimento di tempo e denaro nei processi di formazione.
Fadini individua come il soggetto acquisisca competenze nel momento in cui i saperi si pongono al centro delle dinamiche produttivo-economiche, allo stesso tempo come strumento, processo e prodotto. In questa prospettiva, si comprende il ruolo della tecnologia dell’informazione, come complesso di conoscenze che riconfigurano il modo di lavorare, con il concretizzarsi di controlli sempre più complessi e di meccanismi di gestione delle «risorse umane». Inoltre, mentre aumenta la produzione di merci sempre più «immateriali», anche per il consumo di quelle «materiali» si deve far riferimento, secondo Fadini, a un sapere sociale, che conferisce loro un più di «senso».
Lo statuto del «senso» cessa, così, di essere una categoria dell’esperienza individuale e collettiva, per trasformarsi in una prestazione del sistema, che è l’unico a poter «conferire senso» alle azioni umane. Il senso non è più un’esperienza, né un’interpretazione sociale, ma una forma del sistema, che la indica alla contingenza dell’esperire vivente come una direzione di marcia a un viandante smarrito. Il «senso sistemico» diviene l’unico senso ammissibile dell’agire sociale, producendo una società che non esprime alcun legame interpersonale.
La conseguenza di questi processi sembra essere l’inevitabile consunzione della realtà e una profonda trasformazione del rapporto fra immaginario e simbolico, fra segno e significato. In questa «scomparsa» della realtà, siamo diventati come satelliti alla deriva in uno spazio virtuale, corpi contigui ma incapaci di comunicare, punti di una rete senza centri, senza differenziazione dello spazio e del tempo. Il «tempo de-temporalizzato» rischia, nota Fadini, di eliminare la dimensione del futuro come piano dell’agire. Il futuro non è soltanto una dimensione precaria, incerta e incontrollabile, ma può addirittura venir meno, provocando «conseguenze assai significative a livello politico ed etico, soprattutto nel momento in cui diviene labile il nesso tra azione ed effetti, con l’esito ovvio di una caduta-perdita del senso di responsabilità». La responsabilità diviene, per Fadini, una pratica di ri-temporalizzazione, per indicare e delineare nuovi percorsi, temporalmente identificabili. Se l’assunzione di responsabilità può permettere una ri-temporalizzazione dell’agire, non bisogna dimenticare, ammonisce Fadini, che anche l’assunzione di responsabilità si struttura in una realtà definita dagli sviluppi del capitalismo flessibile.
Per questo Fadini indica come necessaria una riflessione di «antropologia della tecnica», che punti sul rapporto decisivo tra corporeità e tecnica, per sottolineare le qualità pratiche del sapere. Gli spazi antropologici, nota Fadini, – ovvero il «sapere», la «terra», il «territorio» e lo «spazio delle merci» – sono intessuti di molteplici spazi interdipendenti e prodotti dalle attività umane, sono dei veri e propri «mondi viventi», per cui si dovrebbe riconoscere la loro «irreversibilità», cioè il fatto che una loro eventuale sparizione non sarebbe pensabile se non come perdita del senso dell’umanità.
Nella sua ricerca dei caratteri dell’«età della globalizzazione», Fadini evidenzia il fenomeno della contrazione dello spazio e del tempo: c’è una forma di velocità della nostra epoca che esprime l’annullamento delle due dimensioni decisive dell’esistenza umana. Per questo assume, come criterio fondamentale di comprensione della società contemporanea, tale compressione spaziotemporale, che ha una pesante ricaduta sulle forme del pensiero e del linguaggio, sulle modalità della comunicazione, sugli aspetti fondamentali della vita sociale. Nella contemporaneità, in cui il presente ha incorporato il futuro, assistiamo, per dirla con Baudrillard, a una sorta di «accelerazione nel vuoto», che rende la nostra società una società dell’insoddisfazione; ogni avvenimento reale è soltanto la proiezione di uno scenario già calcolato e rappresentato; la simulazione sembra dominare la scena dell’esperienza, anticipando perentoriamente tutto ciò che il futuro può riservare e sopprimendo il divenire reale. Questa derealizzazione del mondo è radicata nella metamorfosi del valore, che diventa legge strutturale e istituisce il codice della simulazione. L’assoluta circolarità del rapporto fra produzione, formazione e consumo, assoggetta l’intera vita sociale alla legge del valore di scambio e cancella ogni autonomia e rilevanza del valore d’uso, la cui neutralizzazione corrisponde a un profondo mutamento strutturale.
In questo contesto, l’apparente paradosso di Baudrillard svela il suo significato: ciò che c’è di geniale nella merce contemporanea è l’indifferenza formale rispetto all’utilità, al valore; la preminenza è data senza riserve alla circolazione.
Parafrasando Baudrillard, lo stesso potrebbe dirsi per la comunicazione contemporanea, virtuale, simulata, anello della catena di simulacri in cui si struttura la società. La legge del valore di scambio si è rivoltata in una logica della commutazione generale senza referenti. I segni si scambiano fra loro senza scambiarsi più con qualcosa di reale, svincolandosi dall’esigenza di designare qualcosa e diventando liberi, per un gioco strutturale o combinatorio, secondo un’indifferenza e un’indeterminatezza totali. Si è realizzata l’autonomizzazione fantastica del valore; l’immaginario si è autonomizzato da ogni mediazione e da ogni rapporto con le funzioni pratiche di produzione e riproduzione della vita; gli individui vivono il rapporto con l’immaginario non più come un proprio prodotto, ma come un’oggettività estraniata, che ha preso il posto del reale.
Un mondo di segni si apre davanti al singolo, che non diventa più soggetto perché non entra più realmente in rapporto con l’altro; il rinnovamento del legame sociale, allora, può basarsi, come indica Fadini, proprio sul rapporto con il sapere, su un nuovo assetto delle soggettività in cui i processi di apprendimento derivino da relazioni reciproche e non da segni che hanno perso ogni riferimento al reale e funzionano unicamente per veicolare immagini.
Apprendere, afferma Fadini, è una pratica di confronto con ciò che appare enigmatico e incomprensibile, è l’incontro con l’altro, che si manifesta, nella relazione duale, come occasione di conoscenza. Allora, lo spazio del sapere, anche se si trova ad essere ridisegnato dalle tecnologie informatiche, resta sempre l’unica possibile dimensione per relazioni che valorizzino le soggettività a partire dalle differenze, come ricchezza collettiva, in un processo aperto di scambio che ridia senso a «una produzione antropica del futuro» che renda possibile una ricostruzione del legame sociale.
Capitolo nono
Etica e cyberspazio
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Lo spazio antropologico dell’intelligenza collettiva è appunto, a mio modo di vedere, un «ambiente» di esistenza nel quale la differenza etica, la diversità tra i modi d’esistenza, può essere affermata sulla base di una possibilità concreta, per la capacità d’agire, di dispiegarsi ulteriormente in virtù di un rapporto sempre più articolato, anche per «via» tecnologica, con gli altri. Nella «natura» resa artificiale, «astratta», del nuovo spazio del sapere si può tentare di mettere in pratica, al di là dei sistemi odierni di organizzazione della nostra realtà sociale (che appaiono sempre più «punitivi» e, in prima battuta, colpevolizzanti), una capacità d’incontro, di relazione, sulla quale radicare infine valori e norme assiologiche. È questo lo stimolo più produttivo da estrarre dal complesso di sollecitazioni di una riflessione, a tratti troppo utopistica, come quella di Lévy, che ha in ogni caso effettivamente il merito di fornire materiali utili per una riflessione sulla «tecnoantropologia» del cyberspazio che voglia portare l’attenzione sulla matrice di relazionalità (di socialità) di determinate progressioni tecnologiche. Un tracciato d’analisi, che fa riferimento alla tradizione dell’antropologia filosofica del Novecento (soprattutto quando si fa – è opportuno ancora ripeterlo – antropologia della tecnica, nel senso di un richiamo forte alla naturale artificialità dell’essere umano), non può che dispiegarsi eticamente nel momento in cui si apprezza comunque – al di là delle stesse logiche imperanti della commercializzazione spinta senza freni, con nessun imbarazzo – il tentativo, spesso contraddittorio, di «rifare mondo» – attraverso la rivendicazione del valore di libertà proprio del protagonismo dell’attività pratica, intellettuale, immaginativa degli uomini – anche da parte degli stessi «intellettuali collettivi» che si formano all’interno della rete. E tutto ciò nella convinzione che abbia ancora senso parlare di «una produzione antropica del futuro», meglio: della progettazione condivisibile di una società più vivibile, più libera.
29 luglio 2009 | Il Manifesto |
21 luglio 2009 | La Sicilia |
06 giugno 2009 | Liberal Mobydick |