Tastiere in gabbia
prefazione di Luciano Canfora
Una novità della collana Orwell diretta da Luciano Canfora: l'editorialista e giornalista Massimo Nava svela i retroscena del "circo mediatico", tra censure, propaganda, notizie false e pressioni da parte del potere.
- Collana: Orwell
- ISBN: 9788822051035
- Anno: 2025
- Mese: novembre
- Formato: 13 x 20 cm
- Pagine: 160
- Tag: Politica
Le dittature e i regimi autoritari non amano la libertà di stampa e la reprimono con ogni mezzo, dalla censura all’arresto di giornalisti. La differenza fra regimi autoritari e democrazia in rapporto all’informazione è quindi ovvia. Meno esplorato è il processo che tende oggi a ridurre questa differenza. I metodi non sono altrettanto brutali, ma a lungo andare le conseguenze per la salute della democrazia possono essere altrettanto devastanti, complici anche i social network e l’intelligenza artificiale.
Questo libro analizza un nemico subdolo, che si nutre di pressioni da parte del potere, di epurazioni, piaggerie e carrierismi, di un “circo mediatico” in cui i protagonisti sono sempre gli stessi, di format televisivi intercambiabili che finiscono per esprimere una sorte di rete unificata. Denunciare, frenare, magari invertire questa deriva diventa assolutamente vitale.
Prefazione
di Luciano Canfora
Capitolo primo
Fra dittatura e democrazia
Capitolo secondo
Caduti nella Rete
Capitolo terzo
Il tutto indistinto
Capitolo quarto
Born in USA
Capitolo quinto
Parlate pure, non disturbate
Capitolo sesto
L’estrema destra chiude la “fortezza” europea
Capitolo settimo
I revisionisti della domenica
Capitolo ottavo
In guerra la prima vittima è la verità
Capitolo nono
La narrazione dell’aggressione all’Ucraina
Capitolo decimo
La guerra delle parole
Capitolo undicesimo
Si vis pacem, para bellum: una fake?
Capitolo dodicesimo
Dove stiamo andando
Post Scriptum
Capitolo primo
Fra dittatura e democrazia
Le dittature e i regimi autoritari non amano la libertà di stampa. Ne hanno paura, considerandola la porta principale della democrazia. E la reprimono con ogni mezzo: controllo dell’informazione, propaganda e censura, diffusione di notizie false, pirateria, arresti ed eliminazione di giornalisti, chiusura di testate, finanziamento di media compiacenti.
Il metodo è noto. L’obiettivo anche. Si tratta di impedire che si diffondano valori basilari delle democrazie liberali: circolazione delle notizie, confronto di idee, autonomia dei giornalisti e delle imprese editoriali, partecipazione alla vita pubblica dei cittadini informati. E quando parliamo di democrazie liberali, per convenienza ci riferiamo genericamente ai sistemi occidentali, includendo nella “categoria” alcuni “orientali”, quali Giappone, Australia, Corea del Sud. Resta da vedere se fra i sistemi occidentali sia ancora corretto includere l’America di Trump. Con il ricorso all’Insurrection Act, Trump ha mandato l’esercito in diverse metropoli americane, non a caso governate da democratici. Non si contano le decisioni e i proclami contro la stampa, le opposizioni, le istituzioni, le università. Si può concludere che il maccartismo fu una versione minore di ciò che sta accadendo oggi negli Stati Uniti.
La differenza sostanziale fra regimi autoritari e democrazie liberali, almeno in rapporto all’informazione, è dunque ovvia. Qui però ci interessa analizzare un processo poco denunciato, ma drammaticamente in atto, che tende a ridurre questa differenza.
Naturalmente, la stragrande maggioranza degli esseri umani vorrebbe continuare a vivere in democrazia e preferirebbe abitare a New York o a Milano piuttosto che a Mosca o a Teheran. Ma, al di là delle preferenze, circa la metà del pianeta vive sotto regimi autoritari o dispotici e l’Occidente rischia da un lato di diventare minoritario e dall’altro di rendersi piuttosto simile.
Il complesso di superiorità occidentale
È interessante, in proposito, la formazione di alleanze fra Paesi “emergenti”, fra vecchie e nuove potenze regionali e fra alcuni regimi che va sotto l’etichetta BRICS (l’acronimo deriva da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ma comprende anche Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran e Indonesia). Formalmente si tratta di un’operazione tendente a diluire la supremazia del dollaro e a rafforzare relazioni commerciali, ma sono evidenti gli sviluppi e le implicazioni politiche e strategiche di questa alleanza. Tanto più che già oggi tre fra i quattro Paesi più popolosi del mondo – Cina, India, Indonesia – ne fanno parte. La parata militare d’agosto 2025 a Pechino ha sancito la fine del complesso di superiorità occidentale, quell’insieme di atteggiamenti dettati dalla convinzione che i propri valori – essendo migliori in sé – debbano automaticamente prevalere. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda, il complesso di superiorità è stato alimentato dal crollo dell’Unione Sovietica e dall’entusiastica adesione di popoli e Paesi all’idea di società che progrediscono nelle libertà economiche e civili. Ma le autarchie e le dittature hanno resistito al fatto che il mondo avesse un solo “gendarme”, gli USA, e a una globalizzazione di cui il Sud del Mondo ha tratto vantaggi relativi. Quella fra India, Russia e Cina è una relazione ancora tutta da scrivere, però è in atto.
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