Per la storia del testo di Demostene
I papiri delle Filippiche
prefazione di Luciano Canfora
Alle radici dell’oratoria politica moderna: i documenti primari, in parte inediti. Testo e commento.
- Collana: Paradosis
- ISBN: 9788822058225
- Anno: 2015
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 384
- Note: illustrato
- Tag: Filologia Linguistica Letteratura Storia antica Demostene Oratoria
Alla luce del notevole incremento che le testimonianze demosteniche su papiro e pergamena hanno conosciuto negli ultimi cinquant’anni, si è resa necessaria una riconsiderazione dei più antichi manoscritti e del ruolo che essi rivestono nella constitutio textus dell’oratore. Il volume indaga la più antica tradizione diretta delle Filippiche di Demostene: 59 frammenti papiracei e pergamenacei, resti di antichi rotoli o codici, tutti databili tra il I secolo a.C. e il V d.C., provenienti da zone diverse dell’Egitto (Ossirinco, Hermoupoli, Tebe, Apotheke, Panopoli, Bakchias, Karanis, Bousiris, Ankyropoli). Un numero di testimonianze che ben riflette lo stato della tradizione demostenica e attesta l’ampia circolazione di cui godé in età imperiale il testo dell’oratore attico. Questa indagine permette di ricostruire una pagina della storia antica del testo di Demostene.
ALLA RICERCA DEL DEMOSTENE PERDUTO di L. Canfora - I. I PAPIRI DELLE FILIPPICHE - 1. I discorsi Filippici - 2. Gli inventari dei papiri - 3. Caratteri generali dei frammenti - APPENDICE SULLA TRADIZIONE MANOSCRITTA MEDIEVALE - 1. Paris, Bibliothèque Nationale de France, gr. 2934 (S) - 2. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z 416 (F) - 3. München, Bayerische Staatsbibliothek, gr. 485 (A) - 4. Paris, Bibliothèque Nationale de France, gr. 2935 (Y) - AVVERTENZA - II. LA PIÙ ANTICA TRADIZIONE MANOSCRITTA DELLE FILIPPICHE - Prima Olintiaca (I) - Seconda Olintiaca (II) - Terza Olintiaca (III) - Prima Filippica (IV) - Sulla Pace (V) - Seconda Filippica (VI) - Su Alonneso (VII) - Sul Chersoneso (VIII) - Terza Filippica (IX) - Quarta Filippica (X) - Risposta alla lettera di Filippo (XI) - III. IL CONTRIBUTO DEI PAPIRI AL TESTO DELLE FILIPPICHE DI DEMOSTENE - 1. L’apporto dei papiri alla critica testuale - 2. L’eclettismo dei papiri - 3. Le lectiones singulares dei papiri - CONCORDANZE - SIGLE PAPIROLOGICHE - BIBLIOGRAFIA - INDICI - I. INDICE DEI NOMI ANTICHI E MODERNI - II. INDICE DEI LUOGHI CITATI - III. INDICE DELLE TESTIMONIANZE SCRITTE - IV. INDICE DEI LUOGHI GEOGRAFICI (ANTICHI E MODERNI) - V. INDICE ANALITICO - TAVOLE
ALLA RICERCA DEL DEMOSTENE PERDUTO
Demostene non aveva difficoltà ad ammettere «di parlare sulla base di testi né scritti per intero né totalmente improvvisati. Definiva infatti democratico l’oratore che prepara il suo discorso: la preparazione – diceva – è un modo di prendersi cura del popolo, mentre disinteressarsi di come la massa accoglierà quello che dirai è tipico della mentalità oligarchica, di chi intende agire con la forza piuttosto che con la persuasione». Questa preziosa testimonianza di Plutarco, suscita una domanda: come risultava a Plutarco che Demostene si fosse espresso in quei termini?
Una uscita in parte simile viene attribuita a Demostene dall’anonimo biografo della Vita dei dieci oratori (848C), in un contesto analogo a quello noto a Plutarco. Per Plutarco, l’interlocutore di Demostene sul tema della capacità o meno di improvvisare è Pitea (un oratore di cui lo stesso Demostene parla con toni critici nella Terza Epistola, §§ 29-30). Per lo Pseudo-Plutarco, invece, si tratta di un certo Epicle, non altrimenti noto, anch’egli sbeffeggiante Demostene per l’incapacità di improvvisare. Pitea si esprimeva metaforicamente («i tuoi ragionamenti odorano di lucignolo di lampada»). Epicle, in maniera più diretta, rinfacciava: «Ti prepari ogni volta che devi parlare!». A Pitea, Demostene avrebbe risposto con pari sarcasmo: «La mia lampada e la tua, Pitea, non assistono ai medesimi spettacoli!» (Demostene, 8, 5), con allusione all’erotismo notturno di Pitea. È una battuta che fa pensare all’apostrofe che, nelle Ecclesiazuse di Aristofane, la protagonista, Prassagora rivolge alla lampada che ha con sé nella prima scena della commedia. Rispondendo ad Epicle, Demostene avrebbe introdotto il concetto secondo cui improvvisare sarebbe, da parte dell’oratore, mancanza di rispetto verso il popolo. In verità questa battuta, dal modo in cui la riferisce lo Pseudo-Plutarco, potrebbe anche intendersi come ironica: «mi vergognerei se improvvisassi quando debbo dar consigli ad un popolo come questo!» E anche qui potrebbe tornar calzante un riferimento ad Aristofane ed ai suoi reiterati (ironici) complimenti alla bravura/competenza/preparazione degli spettatori Ateniesi. Comunque, il ragionamento che Plutarco attribuisce a Demostene (cap. 8, 5), incentrato sulla polarità improvvisazione = mentalità oligarchica / preparazione = atteggiamento democratico, è non solo ben più articolato ma concettualmente alquanto diverso. Qui non si tratta, come nella replica ad Epicle, di provar “vergogna” in considerazione del livello (culturale, politico) degli Ateniesi ma di una scelta di campo politica: sono gli oligarchi che non si preparano quando parlano al popolo (s’intende, perché lo disprezzano).
Esisteva dunque una tradizione biografica su Demostene che aveva fatto a tempo a “fissare” i suoi apophthégmata (non si sa quanto autentici)? Una tradizione sorta dunque già a ridosso della vita dell’oratore e maturata nel suo ambiente. Non ne abbiamo notizia né traccia. O si tratta di brani provenienti da suoi discorsi che non abbiamo più? Può incuriosire, in tal senso, il verbo che Plutarco adopera quando introduce l’articolata riflessione demostenica sul nesso tra tipo di oratoria e schieramento politico (δημοτικοί/ὀλιγαρχικοί): «riconosceva, era pronto ad ammettere (ὡμολόγει)». Questo verbo farebbe pensare ad un ragionamento che Demostene svolgeva nell’ambito di un discorso effettivamente pronunciato e, comunque, noto alle fonti di Plutarco.
Quale discorso, è difficile dire. Poteva trattarsi di un discorso giudiziario non privo di implicazioni politiche; poteva trattarsi di un discorso nel quale l’oratore doveva difendersi dall’accusa di non aver prontamente parlato in una circostanza in cui il suo silenzio era parso autolesionistico, o addirittura autoaccusatorio, e comunque sconcertante e stigmatizzabile. E si pensa naturalmente alla vicenda arpalica e magari agli strascichi polemici di quella seduta assembleare in cui Demostene, adducendo un potente mal di gola e avvolto in una pesante sciarpa, si era rifiutato – pur sollecitato – di parlare. E la cosa aveva fatto scalpore (Plutarco, Demostene, 25, 5-6).
Sono tutte illazioni. Il problema è che non siamo in grado di ricostruire adeguatamente le prime fasi della storia del corpus demostenico: della sua formazione e della sua iniziale circolazione. Percepiamo però, chiaramente grazie ad alcuni preziosi capitoli della vita plutarchea (9-11 soprattutto), che un’intensa letteratura critica su Demostene oratore, sul corpus così come sul suo modo di parlare, si era sviluppata o già lui vivente o negli anni subito successivi alla sua morte. E questo impaccia lo sforzo volto a stabilire se quei frammenti “erratici”, non riconducibili ai discorsi superstiti, siano traccia di orazioni perdute o risalgano invece a quella letteratura quasi a lui coeva, interessata alla sua oratoria: Demetrio Falereo, Esione, Teofrasto etc. (Fenomeno, questo, a sua volta, di per sé molto significativo).