I Prolegomena di André Schott alla Biblioteca di Fozio
Protagonisti, vicende e significato della prima edizione a stampa della Biblioteca di Fozio nell’età della Controriforma: storia editoriale del più importante libro greco di epoca medioevale che il gesuita André Schott, con i Prolegomena alla traduzione latina, pose al riparo dalla censura.
- Collana: Paradosis
- ISBN: 9788822058188
- Anno: 2012
- Mese: giugno
- Formato: 14,5 x 21 cm
- Pagine: 376
- Note: stampato su carta vergata pregiata
- Tag: Storia Filologia Letteratura Medioevo Storia antica Editoria
In questo volume si ricostruisce la genesi della prima edizione a stampa del più importante libro greco di epoca medioevale: la Biblioteca di Fozio (IX secolo). Emergono con chiarezza, grazie anche a una documentazione in gran parte inedita, l’intreccio culturale e religioso, le difficoltà connesse allo scontro tra riformati e cattolici, nonché la capacità di alcuni umanisti illuminati di entrambi i fronti di superare le barriere e stabilire un’alleanza intellettuale e operativa intorno a un libro ricchissimo quale la Biblioteca: un testo che alla fine unisce piuttosto che dividere. In queste pagine il lettore troverà la prima edizione tradotta e commentata dei Prolegomena di André Schott, il gesuita vero protagonista di questa affascinante vicenda.
Introduzione - 1 L’editio princeps della Biblioteca di Fozio: la preistoria - 2 Editori e traduttori mancati: la testimonianza di Schott - 3 «Praefandum id tamen opinor, ut libentius accipiatur ab utraque Hesperia» - 4 La biografia di Fozio - 5 Come e quando Fozio compose la Biblioteca - 6 L’ottavo concilio ecumenico e l’auctoritas di Antonio Agustin - 7 Quello che André Schott davvero pensava - 8 «Audax, inquies, facimus et periculosae plenum opus aleae» - 9 Errori di traduzione e presunti collaboratori - 10 Il «corollario» al Syntagma de bibliothecis di Giusto Lipsio - Nota bibliografica - Andreae Schotti Societatis Iesu in Photii Bibliothecam - Prolegomena alla Biblioteca di Fozio di André Schott della Compagnia di Gesù - Note - Documenti - 1-12 Lettere di André Schott a David Hoeschel - 13 Lettera di Antonio Possevino a Markus Welser sulla Biblioteca - 14 Lettera di André Schott a Isaac Casaubon - Note - Appendice - Il contributo di Schott alle edizioni parziali della Biblioteca - 1 La Crestomazia di Proclo: il manoscritto - 2 La Crestomazia di Proclo: le edizioni - 3 Il «catalogo» della Biblioteca - 4 Il manoscritto del Cardinale - 5 Frinico l’Arabo - 6 Teofilatto Simocatta - 7 Basilio di Seleucia - 8 Sorti del Palatino greco 421/422 - Sigle e Abbreviazioni - Indici - Indice dei nomi - Indice dei manoscritti
3. «Praefandum id tamen opinor, ut libentius accipiatur ab utraque Hesperia»
La prefazione diventa, nella considerazione di Schott, non un elemento accessorio e più o meno necessario, ma uno strumento militante in pro della causa foziana contro quegli infesti Photio che si annidano soprattutto nell’«Occidente» cattolico. A Hoeschel Schott suggerisce addirittura una chiave interpretativa della biografia foziana che suona come assolutoria delle ‘colpe’ del patriarca: l’«ambitio», la contesa politica (studium partium) e l’inquietudine (perturbatio animi) che ne consegue hanno trascinato alla rovina un ingegno del calibro di Fozio, al pari di tanti altri prima e dopo di lui («quam multa ingenia pessumdedit»). È questo, che Schott spende in privato, rivolgendosi a Hoeschel, uno degli argomenti cardine dei futuri Prolegomena in Photii Bibliothecam, dove l’ampia sezione biografica su Fozio, in gran parte plagiata dalla praefatio di Juan de Mariana, si chiude con la chiosa del memento del poeta Lucano, vissuto sotto il tirannico Nerone, circa l’impossibilità di mantenersi ‘puri’ se si è invischiati nella contesa politica («exeat aula qui vult esse pius»). E anche in privato, come nei Prolegomena, Schott sostiene di fondare la propria ricostruzione sulle fonti storiografiche bizantine («nota historia ex Byzantinarum rerum scriptoribus»). Ma alla fine i timori di Schott si rivelano infondati, semplicemente perché nella sua prefazione-dedicatoria a Welser dell’editio princeps Hoeschel evita di trattare la spinosa questione dello ‘scisma’ foziano, e altrettanto, e ancor più comprensibilmente, fa Massimo Margunio, la cui prefazione ‘minore’ all’edizione augustana verte perlopiù sull’argomento neutro delle opere del patriarca diverse dalla Biblioteca (Amphilochia ed Epistolae).
L’onere di scrivere quei Prolegomena di natura difensiva e di convincere il mondo cattolico ad accettare Fozio spettò dunque a Schott, ma, nell’intervallo tra la lettera a Hoeschel del gennaio 1597 e la traduzione latina della Biblioteca (1606-1607), si registra un cambiamento nella strategia difensiva, imposto a Schott dalla comparsa sulla scena di due caposaldi della polemica cattolica contro Fozio: il X tomo degli Annales ecclesiastici di Cesare Baronio (1602) e l’edizione, a cura del gesuita Matthäus Rader (Ingolstadt 1604), della cosiddetta ‘collezione antifoziana’, farragine documentaria che comprende, tra i molti scritti di virulenta ostilità, anche gli atti, in estratti, del concilio ecumenico costantinopolitano dell’869/870 che aveva deposto ignominiosamente Fozio e rimesso sul soglio patriarcale il rivale Ignazio. Nei Prolegomena, al termine della lunga parte biografica su Fozio e nel medesimo contesto in cui evoca l’argomento della «ambitio» e della contesa politica che avrebbero condotto alla rovina l’uomo di cultura vittima suo malgrado degli intrighi di corte, Schott mostra di aderire alla condanna di Fozio espressa dal «padre della storia sacra» Cesare Baronio: «non sono così pazzo – scrive Schott – da mettermi a difendere i suoi vizi o giustificare i suoi crimini. È stato già giudicato (iam iudicatus est)». Ma se Fozio è condannato, la Biblioteca è invece salva grazie ad un espediente: sostenere, cioè, prove alla mano che l’ascesa al patriarcato e il coinvolgimento negli intrighi cortigiani abbiano rappresentato nella biografia di Fozio un vero e proprio evento spartiacque e che perciò sia lecito segnare una netta cesura tra un primo periodo fatto di studi e letture, cui ascrivere la composizione della Biblioteca, e un secondo, più tormentato e conclusosi con la rovina, in cui Fozio si macchia di ogni genere di misfatto e persino di eresia contro la chiesa romana. La tradizione antica aveva escogitato anche per altri autori cristiani un ‘prima’ e un ‘dopo’ nella condotta morale e di vita per conciliare dati biografici contradditori. Di Eliodoro, il romanziere delle Etiopiche, gli storici bizantini Socrate Scolastico (V, 22) e Niceforo Callisto Xantopulos (XII, 34) sostenevano che avesse composto il ‘paganeggiante’ romanzo in gioventù (νέος ὤν) e fosse divenuto in seguito vescovo di Tricca, carica da cui decadde quanto si rifiutò di sconfessare la sua fatica giovanile. Questo ‘precedente’ non era ignoto a Schott. Si può mostrare infatti che l’identificazione tra il romanziere e il vescovo di Tricca è proposta, con un esplicito richiamo alla testimonianza di Niceforo, anche in un marginale del più autorevole testimonio di Eliodoro, il Vaticano greco 157 (f. 151v), ben noto a Schott che ne trasse «variae lectiones» per l’edizione delle Etiopiche stampata a Heidelberg da Commelin nel 1596.
Per trovare un parallelo nella biografia foziana non c’era però bisogno di ricorrere a fonti esterne e tarde: era sufficiente dare il giusto peso alla cosiddetta Lettera al fratello Tarasio, un testo epistolare di controversa validità e tacciato di essere mera «Fiktion» (Krumbacher), che offre una cornice ‘narrativa’ alla Biblioteca e suggerisce per la data di composizione l’epoca – indistinta ma evidentemente anteriore all’ascesa al patriarcato – in cui Fozio prese parte ad una non precisata né facilmente precisabile «ambasceria in Assiria». Per l’editore princeps Hoeschel questa Lettera non era altro che una traccia, di tradizione autonoma, del robusto Epistolario di Fozio che egli aveva in animo di pubblicare, sempre col sostegno di Margunio, dopo la Biblioteca: perciò nell’edizione augustana la Lettera a Tarasio è relegata dopo il testo, ‘librariamente’ contigua al manipolo di lettere foziane che lì, nella Augustana del 1601, costituisce sotto forma di appendice una anticipazione della futura edizione dell’intero Epistolario. Ma anche l’approccio di Schott alla Lettera a Tarasio è avvenuto per gradi. Quando scrive a Hoeschel nel gennaio del 1597, essa è ancora lontana dal suo orizzonte mentale. Lo si capisce dalle proposte che egli avanza in merito alla «disposizione» della materia («de ordine») nella costituenda editio princeps (doc. 2): posto che Fozio non ha osservato alcun ordine prestabilito, ma ha recensito ogni libro della sua biblioteca così come gli capitava tra mano («nec enim ordinem ille spectavit, sed ut quisque liber in bibliotheca abditus in manum venisset, sic de eo disserebat»), Schott suggerisce, per rimediare all’inevitabile fastidio che ne riceverà il lettore («ut lectori quaerendi fastidium minuatur»), un ventaglio di soluzioni: a) raccogliere tutti i capitoli della Biblioteca sotto tre distinte e onnicomprensive rubriche («in tres classes materiarum omnia referantur, Philologica, Historica, et Theologica»); b) congiungere assieme tutto quello che di un unico autore è reperibile nella Biblioteca («quae sunt eiusdem scriptoris, ut coniungantur, facile persuasero»); c) dotare perlomeno l’edizione di robusti indici («indicibus accuratis ei malo medendum erit»), una soluzione, quest’ultima, meno invasiva che sarà adottata da Hoeschel e soprattutto da Schott stesso nella sua traduzione latina, provvista di ben due indici iniziali, in cui gli autori sono elencati in ordine alfabetico e raggruppati per «discipline» (classes), in sostituzione del tradizionale pinax stampato nell’editio princeps del testo greco.
I Prolegomena partono invece da un presupposto radicalmente differente: Schott argomenta l’adozione, da parte di Fozio, di una «iucunda vicissitudo» (piacevole alternanza) tra autori sacri e autori profani nella composizione, che mira a non stancare il lettore («taedium omne levante»): il modello di riferimento è ora proprio la Lettera a Tarasio e il criterio della varietas lì esplicitato (τὸ ποικίλον [...] ἐν πολλοῖς), che non ingenera «sazietà» in chi legge (κόρον οὐκ οἶδε τίκτειν). Vediamo ora quali conseguenze comporta questa diversa prospettiva.
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