Epitome latina di Fozio
a cura di Giuseppe Solaro
La prima edizione critica della Epitome di Juan de Mariana, strutturata secondo un costante riferimento al modello greco e fondata sul manoscritto Egerton 1870.
- Collana: Paradosis
- ISBN: 9788822058089
- Anno: 2004
- Mese: ottobre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 304
- Tag: Storia Filologia Letteratura Storia antica
Juan de Mariana (1536-1624), insigne gesuita e storico spagnolo, non riuscì - per motivi ancora oggi non del tutto chiariti - a dare alle stampe la sua epitome latina della Biblioteca del patriarca di Costantinopoli, Fozio. La Biblioteca fu in genere avversata dai confratelli di Mariana perché Fozio era tradizionalmente accusato di aver diviso la chiesa cristiana. Qui se ne pubblica la prima edizione critica, strutturata secondo un costante riferimento al modello greco e fondata sul manoscritto Egerton 1870 (British Library), di fatto unico testimone dell'epitome di Mariana.
Prefazione - Bibliotheca Photii - Hic incipit alterum Bibliothecae volumen Graecum
PREFAZIONE
Nella imponente Bibliothèque de la Compagnie de Jésus (nouvelle édition par Carlos Sommervogel, tome V, Bruxelles-Paris MDCCCXCIV, coll. 565-566), a proposito di Juan de Mariana, è segnalata la presenza, in un codice del British Musem, di una inedita “Bibliotheca Photii in epitomen redacta”. Il codice in questione è il manoscritto British Library, Egerton 1870 (che sigliamo con la lettera E): esso contiene appunto – come il titolo dell'opera nello stesso manoscritto la definisce – la Bibliothecae Photii epitome Latine a Io. Mariano facta1. Quest'opera del gesuita e storico spagnolo Juan de Mariana (1536- 1624) non giunse mai – nonostante gli auspici del suo autore – alla pubblicazione ed ha peraltro, come spesso accade in questi casi, rischiato di scomparire del tutto, se si considera che è oggi tramandata in due soli manoscritti, di cui il secondo è un mero apografo tardivo del codice Egerton. Nei due codici che lo tramandano il testo dell'epitome è preceduto da una praefatio contenente formulazioni che dimostrano che l'epitome era stata senz'altro concepita e scritta da Mariana per una diffusione a stampa2. Non a caso, infatti, Mariana, sin dai primi righi di questa sua praefatio, rivolge la sua attenzione alla comunità letteraria cui il suo lavoro era indirizzato: “lavorando nei ritagli di tempo ho elaborato un'epitome latina della Biblioteca greca di Fozio, mi auguro con non poco giovamento per le lettere”3. Perché l'opera di Mariana non sia stata più pubblicata, è un interrogativo di non poco fascino ma di non agevole soluzione4: uno dei pochi dati certi di cui oggi disponiamo è che Andreas Schott (1552-1629), quando nel 1606 diede alle stampe la sua traduzione latina della Biblioteca di Fozio, poté inserire nei Prolegomeni brani desunti dalla pur inedita praefatio di Mariana. Stando così le cose, non si può certo escludere che Schott abbia agito in questo modo proprio perché consapevole del fatto che l'opera di Mariana sarebbe altrimenti rimasta destinata ad un totale silenzio. Non esistono indicazioni precise circa la data di composizione del lavoro di Mariana. Altri, prima di lui, avevano tentato di pubblicare il testo di Fozio in greco o in traduzione latina5; è Mariana stesso a riferircelo, senza però fare alcun nome, ed a cercare di spiegare le possibili ragioni dell'insuccesso di questi precedenti tentativi: la problematica incompiutezza – a suo dire – stilistico-formale del testo foziano, la presenza nei codici di numerosi errori di copiatura, la notevole varietà espressiva e di contenuto dell'opera di Fozio, e cioè sostanzialmente le stesse motivazioni che saranno addotte anche da Schott per giustificare il fallimento dei suoi predecessori6. Mariana è ben fiero di asserire di essere stato il primo ad aver attinto il traguardo, sia pur di una semplice epitome: tipo di esercizio che sicuramente costituiva un lenimento della fatica, ma anche la concreta possibilità di fornire in tempi rapidi al pubblico erudito uno strumento di consultazione invero molto utile e sicuramente molto più comodo rispetto al voluminoso intero testo greco originale7. Nel corso della ricordata praefatio Mariana cerca di prevenire le critiche di coloro che avrebbero avuto da ridire sulla parzialità che è propria per natura di un'epitome (sarà proprio l'amico Schott più tardi a biasimarlo, sia pur velatamente, con toni molto aspri8). Il gesuita chiarisce di non aver omesso anche solo di citare nessuno degli autori contemplati nel modello greco (nullius auctoris mentione praetermissa: affermazione, peraltro, questa, veritiera). Per quanto concerne il criterio di selezione dei brani da tradurre, Mariana scrive di essersi regolato in questo modo: ha estratto da ogni codice foziano solo le parti a suo giudizio più utili e più piacevoli (iis ex unoquoque delibatis modo quae commodiora et gratiora fore in singulis cogitabam), un po' come lo stesso Fozio aveva fatto con gli autori da lui eccerpiti9. Mariana sa bene che si tratta di un criterio comunque soggettivo e per questo subito soggiunge: alia iudicarent alii. Quid facias? Quindi, salomonico, conclude: suum quisque iudicium sequatur opus est10. Nel 1583 Andreas Schott, non ancora ordinato sacerdote (il che avverrà il 30 settembre 1584), lascia la Spagna (dove era giunto sul finire del 1579), dopo essere stato professore di greco, a Toledo (gli succedette in cattedra il fedele amico Pierre Pantin): quella Toledo dove Mariana si era definitivamente ritirato nel 1574, dopo il suo soggiorno parigino iniziato nel 1569. Se si considera – come si è detto – che nel 1606 Schott inserisce parti della praefatio di Mariana nella sua traduzione foziana e che la praefatio appare scritta al termine del lavoro di epitome, il 1583 può dunque essere individuato quale terminus ante quem della datazione dell'epitome: appare infatti remota (anche se non da escludere aprioristicamente) la possibilità che Mariana abbia inviato a Schott quei suoi preziosi materiali rimasti inediti dopo che Schott aveva lasciato il luogo di dimora abituale suo e soprattutto di Mariana11. Per il suo lavoro, Mariana – è ancora lo stesso gesuita a riferirlo in sede prefatoria – poté disporre di un manoscritto proveniente dalla biblioteca privata di Francisco de Mendoza y Bobadilla, Cardinale di Burgos (oggi Madrid, Biblioteca Nacional, 4721-4722 [olim O/43- 44])12, il quale, nato nel 1508, era defunto il 18 novembre 1566. L'accesso a quel codice fu molto difficoltoso, come lo stesso Mariana ricorda nella praefatio parlando del compianto cardinale, definito vir de Graecis litteris optime meritus, ma Mariana poté ottenere alla fine quanto desiderato sia pur grazie alla intercessione di un amico13. Naturalmente tutto questo non poté avvenire prima del 1574, l'anno del definitivo ritorno di Mariana in Spagna: anno che costituisce dunque per noi il terminus post quem per la composizione dell'epitome. Per la costituzione del testo dell'epitome di Mariana mi sono avvalso, oltre che di E, di un secondo codice conservato a Madrid (Biblioteca Nacional, 9203, che qui siglo con la lettera M)14. Non ho ad oggi notizia di altri testimoni. Sia E che M non recano una datazione esplicita, ma si può abbastanza agevolmente dimostrare che M, di molto successivo nel tempo, è sicuramente una copia diretta di E (che dunque, si può supporre, dovette rimanere a lungo testimone isolato). Non sono infatti pochi gli errori-guida presenti in M, che sembrano palesemente derivare da una lettura difficoltosa o da una forma corrotta già presente nel modello. Segnalo solo alcuni esempi indicativi, tra i numerosi che si potrebbero addurre, in ordine alla seconda tipologia: construpasset (cod. 52 della Biblioteca); in augurationem (cod. 65); Heredotus (cod. 190). Si deve aggiungere che tanto E quanto M recano molteplici tracce di interventi di correzione operati dai medesimi copisti ovvero da mani diverse da quella del copista. In particolare, in M, lungo tutto il manoscritto, si ravvisa l'intervento costante di una seconda mano (M2), certamente coeva a quella del copista, che non di rado restituisce la lezione corretta del modello (e cioè di E). Più complesso è invece il caso di E, codice che, quanto al testo dell'epitome, risulta vergato da due mani: si rileva infatti nel codice un palese cambio di grafia nel foglio 65r (a cominciare da Deus se ipsum negare non potest), luogo a partire dal quale l'inchiostro risulta non di rado particolarmente sbiadito e la scrittura è in certi casi piuttosto confusa, tanto da rendere talora indispensabile il supporto della scrittura, meglio conservata, di M. Poiché poggiante su di un manoscritto foziano derivante dal Marciano Gr. 451, l'epitome di Mariana ignora naturalmente il testo dell'epistola a Tarasio15 e presenta un disordine nella successione dei codici della biblioteca che dipende non a caso dal modello greco adoperato da Mariana. Infatti i nove capitoli 73-76 (Eliodoro, Temistio e Lesbonatte, Giovanni Filopono, Flavio Giuseppe), 78 (Malco sofista), 81 (Teodoro di Mopsuestia), 85-87 (Eracliano, Giovanni Crisostomo, Achille Tazio), sebbene regolarmente computati nella loro collocazione originaria, risultano effettivamente riassunti tra il capitolo 259 ed il capitolo 260, dove sono calcolati per una seconda volta, giungendo così il numero complessivo dei codici foziani, come si leggono nell'epitome di Mariana, a 289, a fronte di 280 reali16. Alcune avvertenze sui criteri di questa edizione critica. Sono state eliminate sia le oscillazioni nella grafia di una medesima parola che le forme grafiche risalenti a fenomeni di iotacismo del greco (Theodoritus è stato trascritto Theodoretus17). L'uso del maiuscolo e dei segni di interpunzione, sia pur nel sostanziale rispetto del testo tramandato, tiene conto necessariamente della discrezionalità dell'editore. Per ragioni di uniformità e di maggiore chiarezza, più marcato è stato l'intervento soggettivo dell'editore su determinate forme oggi disusate ovvero sulla divisione di alcune parole o sulla grafia dei nomi propri. Qualche esempio: juvenis è stato trascritto iuvenis; utrinque, utrimque; coniicio, conicio; amicicia, amicitia; consequutos, consecutos; si quidem, siquidem. Le non molte abbreviazioni sono state sciolte senza indicazione di segni critici. L'apparato critico, per quanto concerne il testo latino, è di tipo negativo. È bene precisare che il greco, in M, si deve alla seconda mano, quella del correttore, poiché il copista lo ignorava (ed ha infatti lasciato lo spazio utile all'intervento del revisore): dunque, per il greco, nell'apparato critico la sigla M2 corrisponde all'unica lezione del codice M. Il testo di Mariana è stato costantemente confrontato col modello foziano: le principali anomalie riscontrate sono segnalate in apparato. I riferimenti al testo di Fozio sono riportati secondo l'edizione stabilita da Henry, che ho utilizzato, per così dire, quale esemplare di collazione dell'epitome. In caso di divergenza, sono segnalate in apparato le eventuali varianti manoscritte e, ove necessario, le scelte di altri editori e studiosi (Bekker in primis). Il confronto del testo di Mariana con il modello foziano conferma che Mariana stilò l'epitome sulla base di un codice foziano derivante dal Marciano M18. Un'ultima considerazione sul codice Egerton. Questo codice, abbiamo detto, proviene dalla casa professa dei gesuiti di Toledo, dove Mariana ebbe fissa dimora dal 1574 fino alla morte. Questa notizia prospetta l'ipotesi che si abbia a che fare con un autografo. Certamente autografe – mi pare di poter dire – sono le carte contenenti la praefatio nonché quelle della prima parte dell'epitome (cioè fino alla carta 65r, lì dove si registra il su rievocato cambio di mano), mentre chiaramente diversa è la grafia della seconda parte, che pure presenta non poche analogie con alcuni tratti tipici della scrittura di Mariana, ma anche alcune differenze significative, che consentono di distinguerla da quella di Mariana in modo risolutivo19. Le analogie potrebbero del resto spiegarsi con la copiatura da un modello latino predisposto dallo stesso Mariana. Non a caso, infatti, anche alcuni errori della seconda mano di E sembrano potersi spiegare con una erronea lettura di un antigrafo in latino20.
1 Il codice, cartaceo, comprensivo di 187 fogli, è registrato nell'Iter Italicum del Kristeller, vol. IV, 142a, e prima di Kristeller nel Catalogue of the manuscripts in the Spanish language in the British Museum curato da Don Pascual de Gayangos, vol. I, London 1875, p. 158 (Gayangos lo segnalava come “a fair copy of a work that was never printed”), reca nel foglio 1r la seguente importante nota di provenienza: “dela libreria dela casa professa dela Compañia de Jesus de Toledo”. Il manoscritto pertanto proviene dal luogo dove Mariana visse dal 1574 fino all'anno della morte. Per altre opere di Mariana conservate nel fondo Egerton della British Library vedi Gayangos, cit., in particolare p. 194 (Egerton 1869: contenente il De rebus Hispaniae autografo con la firma del censore Pedro Zapata del Marmol), p. 195 (Egerton 1873), p. 197 (Egerton 1875). 2 I riferimenti al commodum publicum sono topici nelle prefazioni di opere a stampa umanistiche: per restare in ambito foziano, vedi i Prolegomeni di Schott alla sua traduzione latina di Fozio (in: L. CANFORA, Il Fozio ritrovato, Bari 2001, p. 298). 3 “Photii Bibliothecam superiori tempore nactus succisivis horis in epitomen redactam ex Graeca Latinam feci nonnullo labore haud levi proventu litterarum fructuque sic speramus”. Ho curato un'edizione critica della praefatio di Mariana in: L. CANFORA, Il Fozio ritrovato, cit., 218-230. Si deve inoltre osservare che la praefatio si conclude con un invito da parte di Mariana al lettore perché usufruisca libenter di questo suo lavoro almeno fino a quando l'opera di Fozio non sarà divulgata per intero (“dum meliori conatu opus integrum in lucem emittitur”). Al lettore Mariana chiede anche venia per eventuali propri errori causati da festinatio o da inscitia, adducendo a giustificazione il fatto di aver adoperato un solo codice né antico né corretto. 4 L'ipotesi più accreditata è quella della censura che colpì in seno alla Chiesa cattolica le opere del patriarca scismatico Fozio. Sia Mariana che Schott erano lettori ghiotti e avidi ricercatori di opere sconosciute e proibite (vedi quanto confessato dallo stesso Schott, celatosi abilmente dietro lo pseudonimo A.S. Peregrinus, nella dedica a Mariana della sua Bibliotheca Hispaniae del 1608, in L. CANFORA, cit., p. 332). M. Ballesteros Gaibrois (El Padre Juan de Mariana. La vida de un sabio, Barcelona 1944, pp. 188-9), senza citare nessuna fonte, afferma che sarebbe stato il notevole “espíritu práctico” di Mariana ad indurre il gesuita a progettare ed a realizzare il pur molto impegnativo cimento, con l'obiettivo di fare appunto cosa utile e gradita alla comunità scientifica (“como guía y síntesis a los estudiosos”) nell'attesa di una pubblicazione dell'intero testo foziano, ma difficoltà di natura tipografica avrebbero impedito la pubblicazione del lavoro dopo che questo era stato ultimato. 5 Di tentativi falliti di traduzione latina del testo foziano parlerà anche Schott nei Prolegomeni alla sua traduzione latina di Fozio (1606), ma anche Schott non cita nessun nome, limitandosi a dire che i tentativi furono tre, e che due ebbero luogo in Spagna, uno a Roma. Il tentativo ‘romano' è senz'altro quello di Federico Mezio, il quale, diversamente dagli altri due, come scrive Schott, che si erano arrestati pressappoco a metà dell'opera, aveva terminato il suo lavoro, ma – non è noto per quale motivo – non lo aveva pubblicato. Per una possibile identificazione degli altri due personaggi, vedi L. CANFORA, Il Fozio ritrovato, cit., p. 116 e n. 11. 6 Mariana, che ignorava il testo dell'epistola a Tarasio, riteneva che Fozio avesse composto la Biblioteca al termine della sua vita, nel corso del conclusivo esilio nel monastero armeno dove morì nell'897. Fozio si sarebbe dedicato a quell'opera per cercare di trovare un conforto alle sue pene nell'attività erudita e letteraria (in librorum lectione et suavitate) che sarebbe stata favorita dalla vita isolata che il patriarca deposto si trovò allora a condurre. Ma la Biblioteca – secondo quanto Mariana scrive nella praefatio all'epitome – sarebbe rimasta priva dell'ultima mano, presentandosi così nei manoscritti piena di imperfezioni stilistiche, ripetizioni e aggiunte, un disordine che avrebbe scoraggiato gli editori: quae difficultates deterrere potuerunt eos, qui hanc provinciam aggressi sunt… (L. CANFORA, cit., p. 228). Schott, dal canto suo, scrive: sive Graeci exemplaris mendis deterritos seu laboris fuga in tanta voluminis cum mole tum varietate (L. CANFORA, cit., p. 298). Schott, in modo come al solito sibillino, lascia però aperto il campo anche ad altre possibili ipotesi: “seu denique – soggiunge infatti – utraque de causa cessisse”. 7 Direi che non è un caso che Mariana – dopo i tentativi falliti dei predecessori – abbia scelto la via più breve dell'epitome, anche se ciò non gli impedisce di soffermarsi sulle difficoltà insite nell'impresa: il che non poteva che esaltare l'opera di chi comunque era riuscito a condurla a termine. 8 Vedi L. CANFORA, cit., p. 294. 9 Oltre a ‘tagliare' porzioni del testo greco, Mariana utilizza nel corso dell'epitome uno stile scarno ed essenziale, non privo di asperità sintattiche (il gesuita aveva fama di scrivere alla maniera di Tacito). 10 In particolare Mariana precisa di essere stato parco nel trasferire il testo greco in latino quando si era trattato di riassumere il contenuto di opere o parti di opere – come nel caso di Diodoro Siculo, edito da Henri Estienne a Ginevra nel 1559: Mariana cita espressamente Estienne nel corpo dell'epitome, mentre non ne fa il nome in sede prefatoria – già note attraverso la stampa (“illud cavi, ne quae extant Latine aut Graece formis expressa iis compendio colligendis immorarer”). 11 È però questa l'ipotesi formulata da Ballesteros Gaibrois, cit., p. 189, il quale però – con non poca fantasia – dice che Mariana inviò il suo originale nei Paesi Bassi a “los hermanos Scoto”. 12 Per una descrizione di questo manoscritto foziano, che consta di due parti, vedi: G. DE ANDRÉS, Catalogo de los codices griegos de la Biblioteca Nacional, Madrid 1987, pp. 295-297; e, più in breve: P. ELEUTERI, I manoscritti greci della Biblioteca di Fozio, «Quaderni di Storia» XXVI, 51, gen.-giu. 2000, p. 122, nr. 37. Il codice, apografo dell'Escoraliensis Y I 9/10, manoscritto fatto allestire nel 1543 da Diego Hurtado de Mendoza, fu copiato nel 1552, dallo stesso copista dell'Escorialensis, il celebre corcirese Ioannes Mauromates. Il Cardinale di Burgos ebbe in suo possesso anche il codice della Biblioteca di Fozio oggi Madrid, Biblioteca Nacional 4592, trascritto nel 1547 (Eleuteri, cit., nr. 34). 13 L'amico, non nominato da Mariana, potrebbe essere – secondo quanto congetturato da Charles Graux – il grecista Álvaro Gómez, morto a Toledo il 16 settembre 1580 (cfr. L. CANFORA, Il Fozio ritrovato, cit., p. 93 e n. 4). 14 Il manoscritto è segnalato nell'Iter Italicum di Kristeller, IV, 533b. 15 Nell'epistola a Tarasio Fozio dice di aver prestato una cura minore nell'eccerpire libri che, data la loro facile reperibilità, verosimilmente non erano sfuggiti all'attenzione del suo destinatario (p. 1, 16-18 Bekker). Mariana, che ignorava questo riferimento, nella praefatio dell'epitome enfaticamente rimprovera Fozio di non essere stato più generoso nel suo lavoro di sintesi (“ea supersunt tantum, quae Photius memoria digna iudicavit; quod utinam aut copiosius quaedam collegisset, aut in aliis libris, qui perierunt, eam operam praestitisset, communibus studiis melius fuisset consultum”) . 16 L'epitome, in entrambi i codici, si conclude con l'elenco alfabetico dei Bibliothecae auctores e con un Index operis (parti la cui edizione omettiamo). 17 Proprio questo caso è considerato tra le peculiarità ortografiche insignificanti (belanglose Orthographica) da EDGAR MARTINI, Studien zur Textgeschichte der Bibliotheke des Patriarchen Photios von K/pel: I. Der alte Pinax, in: «O en Kwnstantinoupólei Ellhnikóß Filologikóß Súllogoß», Penthkontaethríß: 1861- 1911, Parárthma tou ld' tómou, en Kwnstantinoupólei 1913-1921, p. 298. 18 Ho potuto all'uopo verificare su microfilm sia il testo del Marciano Gr. 451 che del suo discendente adoperato da Mariana (Madrid, Biblioteca Nacional 4721- 4722). 19 In particolare, oltre che con quella del ms. Egerton 1869, contenente i 30 libri di storia ispanica (Historia de rebus Hispaniae) di Mariana (per una descrizione di questo codice, che ho potuto compulsare in microfilm, vedi Gayangos, cit., p. 194), ho potuto confrontare la scrittura del codice Egerton 1870 con quella del ms. Vat. Barb. lat. 2064, che al foglio 37 r-v reca una importante lettera autografa di Mariana (del 7 maggio 1610: la lettera era segnalata già da G. CIROT, Mariana historien, Bordeaux 1904, pp. 107 e 426) indirizzata a papa Paolo V. Per una descrizione di questo manoscritto del fondo Barberini, da me visto per autopsia, contenente missive ed opere miscellanee indirizzate a papi diversi, vedi HAROLD G. JONES, Hispanic manuscripts and printed books in the Barberini collection, vol. I, Città del Vaticano 1978, pp. 49-50, nr. 31. Non è però esatto quello che Jones scrive sul contenuto della lettera: “Juan de Mariana: original letter in Latin to Paul V, thanking him for obtaining his release from prison, and requesting further succor” (c.vo mio). Quando scrive la lettera, Mariana si trova infatti in carcere a Madrid in attesa di sentenza, e chiede al papa di accelerare il processo e di intercedere per lui, ma la situazione non si è ancora definita. 20 Il caso più sintomatico mi pare il seguente: nel cod. 230 hominem (a fronte di kúrion in Fozio, 282a, 6) pare derivare per fraintendimento da dominum. Tuttavia, anche alcuni errori nella prima parte del codice Egerton (come ad esempio a cupicta: vedi qui p. 23, nota 27) sembrano denunziare la medesima genesi.
-
Regular Price 26,00 € - 5% Special Price 24,70 €