La scienza fra etica e politica
L’eredità di Carlo Bernardini e le prospettive future
a cura di Rino Falcone, Pietro Greco, Giulio Peruzzi
Una raccolta di riflessioni originali sul rapporto tra la scienza e la nostra società, a partire dal pensiero del grande fisico e intellettuale Carlo Bernardini.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063373
- Anno: 2020
- Mese: giugno
- Pagine: 176
- Tag: Scienza Società Politica
Oggi più che mai è evidente che solo grazie alla scienza e alla ricerca è possibile tutelare e far progredire la nostra società. In che modo società e scienza si influenzano reciprocamente? Che ruolo giocano la politica e l’economia rispetto all’etica e ai valori scientifici? Prendendo spunto dalle idee del fisico Carlo Bernardini, giornalisti, sociologi, filosofi, scienziati e letterati riflettono sul mondo contemporaneo. Di ampio respiro i temi trattati: migrazioni, Comunità Europea, globalizzazione, democrazia, politiche di sviluppo, ma anche responsabilità della scienza.
di Rino Falcone, Pietro Greco, Giulio Peruzzi
Sei anni fa, l’8 aprile 2014, su iniziativa di Carlo Bernardini e di molti di coloro che rmano gli interventi raccolti in questo volume, veniva proposto un Manifesto. Per un’Europa di progres- so. In questo Manifesto, sottoscritto da numerosi scienziati in Ita- lia e in Europa, si leggeva:
Il mondo è in rapida trasformazione. Società ed economia della co- noscenza hanno profondamente ridisegnato equilibri ritenuti conso- lidati. Aree geogra che depresse hanno conquistato, in tempi storica- mente irrisori, potenziali enormi di sviluppo e crescita. Conoscenza, cultura e innovazione rappresentano più che mai il traino decisivo verso il futuro.
All’opposto l’Occidente, e alcuni aspetti del suo modello di svilup- po, sono entrati in una crisi profonda. L’Europa, in particolare, risulta investita da gravissimi e apparentemente irresolubili problemi: disoccu- pazione, crisi del tessuto produttivo, riduzione sostanziale del welfare.
A pochi anni dalla sua formale consacrazione, con la nascita uf cia- le della moneta comune, l’Europa rischia di de agrare come sogno di una comunità di cittadine e cittadini che avevano ambito ad una nuo- va Nazione comune: più ampia non solo geogra camente, quanto nello spazio dei diritti, dei valori e delle opportunità. Lo storico americano Walter Laqueur ha parlato della “ ne del sogno europeo”.
Le responsabilità sono diverse e distribuite e investono certamente l’eccessiva timidezza nel processo di costituzione politica del soggetto europeo: la responsabilità di presentare questo orizzonte politico, cul- turale e sociale con le sole fattezze della severità dei “conti in ordine”.
L’Europa dei mercanti e dei banchieri, della restrizione e del rigore: una sorta di gendarme che impone limiti spesso insensati, piuttosto che sostegno nell’ampliare prospettive di visuale sugli sviluppi del futuro.
Proprio a causa di ciò, assistiamo, in corrispondenza della crisi, ad un’im- pressionante crescita di egoismi locali, di particolarismi e di veri e propri nazionalismi. Fenomeni spesso intenzionalmente organizzati per sfruttare malesseri veri, e reali stati di sofferenza, ma che rischiano di produrre reazio- ni esattamente opposte a quanto oggi servirebbe alle popolazioni d’Europa.
Come scienziate e scienziati di questo continente – consapevoli che esiste un nesso inscindibile tra scienza e democrazia – sentiamo quindi la necessità di metterci in gioco. Di ribadire che il processo di costru- zione degli Stati Uniti d’Europa è la più importante opportunità che ci è concessa dalla Storia. Che società ed economia della conoscenza – essenziali per il processo di reale evoluzione civile, paci ca, econo- mica e culturale – si alimentano di comunità coese e collaborative, di comunicazioni intense e produttive e di uno spirito critico che permei strati sempre più vasti della società.
L’unica risposta possibile alla crisi incombente è allora la costruzio- ne dell’Europa dei popoli, di un’Europa di Progresso! Realizzata sulla base dei princìpi di libertà, democrazia, conoscenza e solidarietà.
Nutriamo la stessa speranza con cui Albert Einstein e Georg Frie- drich Nicolai nel “Manifesto agli Europei” del 1914 richiamarono alla ragione i popoli europei contro la sventura della guerra, e con cui Al- tiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi ispirarono l’idea d’Eu- ropa nel loro “Manifesto di Ventotene” del 1943. Le stesse idee che ebbero indipendentemente fautori illustri anche in tutti i paesi d’Eu- ropa. Vogliamo riprendere ed estendere all’Europa lo spirito che nel 1839 portò gli scienziati italiani a organizzare la loro prima riunione e a inaugurare il Risorgimento di una nazione divisa*.
L’obiettivo principale che in esso si perorava era di costruire un’Europa dei popoli, superando gli enormi limiti di una visione senza anima della grande Comunità Europea. Obiettivo larga- mente disatteso in questo ultimo quinquennio. Mentre la gran parte dei pericoli paventati nel Manifesto ha preso corpo e dato seguito a trasformazioni delle opinioni pubbliche europee in chiave di retroguardia e ri uto dei princìpi fondativi della civiltà e del progresso.
Trasformazioni che hanno coinvolto gran parte dei paesi eu- ropei, basti pensare al crescente peso dei partiti nazionalisti, a fenomeni come l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa o alla stessa Italia. Anzi, proprio l’Italia è divenuta il laboratorio di un esperimento politico i cui esiti interni e di in uenza continenta- le sono ancora tutti da valutare.
Che la società e l’economia della conoscenza abbiano ridise- gnato equilibri ritenuti consolidati; che la conoscenza, la cultura e l’innovazione costituiscano un traino decisivo verso il futuro, e al contempo che valori e modelli di sviluppo dell’Occidente sia- no entrati in una profonda crisi, sono affermazioni del Manifesto che valevano ieri e valgono tanto più oggi.
Un ruolo centrale nell’ideazione e nella stesura del Manifesto venne svolto da Carlo Bernardini, che due anni fa, il 21 giugno del 2018, ci ha lasciati. Da lui ripartiamo, non per una rituale commemorazione, ma per prendere spunto dalle sue idee e analisi e dalla sua militanza di intellettuale, per guardare al futuro. Carlo Bernardini ha sempre pensato che non potesse esserci pensiero separato dalla prassi. Si ritrova qui la sua originaria formazione di sico sperimentale, ma anche la sua naturale attitudine ai temi sociali e politici. Certo è che la scienza ha per lui rappresentato lo stimolo intellettuale per orientare l’azione nella società.
E il futuro ci obbliga a ri essioni profonde. Nel volgere dell’ul- timo quinquennio si può infatti sostenere che alcuni fenomeni sociali e politici ci costringono a fare i conti con l’evoluzione che alcuni istituti di partecipazione, di comunicazione e di for- mazione hanno avuto. È necessario ri ettere a fondo su come la democrazia si stia trasformando e se continuino, e come, a essere garantiti quei princìpi di base su cui essa è fondata.
In che senso si può parlare dell’affermazione di nuovi paradig- mi culturali? Quali sono i valori che caratterizzano l’attuale so- cietà e ispirano le scelte politiche ed economiche? Come emer- gono, si affermano e si trasformano questi valori? Che genere di protagonismo siamo ancora in grado di esercitare su di essi?
L’utopia internazionalista, fortemente sentita da intellettuali del secolo scorso come Einstein e Freud, e alla base della nascita su scala mondiale della Società delle Nazioni e su scala regionale della Comunità Europea si è persa nella cosiddetta “globalizzazio- ne” (Einstein, Freud, 1997)? Quali sono le ragioni e quali le possi- bili vie d’uscita «dall’impressionante crescita di egoismi locali, di particolarismi e di veri e propri nazionalismi», come si legge nel Manifesto?
L’intellettuale militante, una gura che oggi appare appan- nata, come deve ripensare il suo ruolo e le sue responsabilità nell’attuale società?
Sono tutte domande con le quali si confrontano gli interventi qui raccolti, partendo anche, come ha fatto Carlo, da quel fonda- mentale settore della cultura che è la scienza.
Scienza, società e democrazia
L’affermarsi della Scienza nuova, quella nata dalla rivoluzio- ne scienti ca tra XVI e XVII secolo, accompagna con alterne vicende la nascita della moderna democrazia. La questione dei rapporti tra scienza e democrazia è stata affrontata a più riprese, in particolare nel secolo scorso, e negli ultimi anni è tornata al centro di interventi sia scienti ci, da parte principalmente di storici e sociologi della scienza, sia politici. Negli stessi anni in cui la Scienza nuova de nisce i suoi ambiti di applicazione e il suo metodo, si chiariscono quelli che potremmo chiamare i valori o le norme fondamentali del suo ethos, magistralmente riassunti in un articolo pubblicato da Robert Merton nel 1942 dal titolo A note on science and democracy.
La ri essione sulle norme che costituiscono l’ethos della scienza è ovviamente centrale nelle fasi nascenti della scienza moderna, nelle fasi cioè in cui si sente la necessità di stabilire i canoni epistemologici e i valori relativi al nuovo campo del sapere. Questa ri essione torna tuttavia a essere centrale anche quando il rapporto tra scienza e società attraversa fasi di cri- si. In particolare, «quando la scienza si trova sotto attacco, gli
scienziati sono portati a interrogarsi sul rapporto tra la scienza e speci ci tipi di strutture sociali». Con queste osservazioni inizia l’articolo di Robert Merton del 1942, che inaugura la moderna sociologia della scienza.
Merton ha ben presente per esempio la situazione in cui si sono trovati la scienza e gli scienziati nel regime nazista, una situazione che, tra l’altro, ha determinato la diaspora di molti scienziati tedeschi. L’articolo di Merton è particolarmente signi- cativo e ricco di spunti che saranno ripresi criticamente a par- tire dagli anni ’60. Qui ci limitiamo a una breve sottolineatura di alcuni elementi signi cativi. Secondo Merton, «le possibilità di sviluppo della scienza si colgono pienamente nel contesto di un ordine democratico, perché questo si integra con l’ethos della scienza».
Merton individua quattro valori che riassumono l’ethos della scienza, e analizzandoli uno per uno sottolinea che sono tutti caratteri che hanno che fare con aspetti dell’ethos di una società democratica. Merton è un profondo conoscitore della storia del- la scienza, quindi non stupisce che nel suo articolo si ritrovino i valori originari dell’ethos della scienza, anche se accompagnati da ulteriori e signi cative speci cazioni alla luce degli sviluppi della scienza e del nuovo contesto sociale, politico ed economi- co. Qui per brevità ci limitiamo a elencare questi quattro valori, fornendo solo qualche nota sul loro signi cato.
Il primo è l’universalismo, inteso come indipendenza da etnia, nazionalità, religione, classe sociale. A questo proposito Merton cita un’affermazione contenuta nel discorso del 1888 con il quale Louis Pasteur inaugurava il suo Istituto: «Lo scienziato ha una patria, la scienza no».
Il secondo valore è il comunismo, nel signi cato esteso del termine, come “proprietà comune” delle acquisizioni scienti - che, che introduce un elemento di forte dinamica e di poten- ziale con itto strutturale tra sviluppo scienti co ed economia capitalistica. Nelle relazioni tra scienza e mercato esistono inevitabilmente tensioni tra il carattere pubblico della scien- za e «la de nizione di tecnologia come “proprietà privata” in un’economia capitalista». Ovviamente Merton non pensava all’abolizione del mercato, e neppure si opponeva al fatto che la scienza dovesse contribuire alla crescita economica. Ma insi- steva sull’importanza di trovare appropriati e sostenibili bilan- ciamenti tra questi ethos incompatibili, così caratteristici delle moderne società.
Il terzo valore è il disinteresse, non nel senso che uno scienzia- to è per forza un altruista, ma che per fare scienza ogni tentativo di frode alla ne viene punito grazie al controllo dei risultati.
In ne il quarto valore è lo scetticismo organizzato, inteso come l’uso sistematico della ragione e la sospensione del giudizio no a che non ci siano fatti acclarati. E Merton concludeva che «nel- le società totalitarie, l’anti-razionalismo e la centralizzazione del controllo istituzionale cercano di arginare tale aspetto».
Su quest’ultimo aspetto, è particolarmente interessante ri- cordare che, dopo la caduta del muro di Berlino, si svolse il 2-3 maggio 1991, al Massachusetts Institute of Technology (MIT), la prima di una serie di conferenze tra Stati Uniti e Unione Sovietica sulla dimensione politica e sociale della scienza e della tecnologia dal titolo Anti-Science and Anti-Technology Movement in the US and USSR.
Gerald Holton, un noto storico della scienza, nel suo in- tervento in quell’occasione rilevava che si poteva pensare che (Holton, 1992):
Il problema più urgente con cui si confronta la nostra civiltà sia costi- tuito dagli eccessi prodotti dal nazionalismo, fondamentalismo, e con- itti etnici, o dalla celebrazione della violenza. [...] Penso invece che [“l’anti-scienza”] sia un argomento che merita attenzione, se non altro perché è, storicamente e potenzialmente, ancora connesso in modo mi- naccioso con quegli altri, più ovvi pericoli.
Riteneva infatti che movimenti che delegittimano la scienza sono sempre presenti e pronti a mettersi al servizio di forze che vogliono riorientare il corso della civiltà, per esempio tramite il populismo, le credenze popolari, la violenza, la misti cazio- ne e un’ideologia che desta rabbia etnica e passioni naziona- listiche.
01 Febbraio 2021 | L'Indice dei libri del mese |