Per la prima volta, in questo volume, un’organica ri costruzione dell’esperienza della rivista «lavoro cri tico», fondata e diretta da Arcangelo Leone de Castris (1975-1998).
«Lavoro critico» fu un laboratorio di critica e di ricerca nato nella scuo la dell’italianistica barese e aperto a una ricca e varia partecipazione di giovani studiosi di altre aree scientifiche (filosofia, scienze storiche e sociali, politologia, letterature europee e americane, ecc.) e geografiche (Napoli, Pisa, Torino, Milano, poi Roma, Pa ler - mo, ecc.). La sua storia seppe incrociare e veicolare in una prospettiva originale i fermenti del marxismo critico e delle nuove scienze umane, le suggestioni dei nuovi saperi e delle contaminazioni fra essi, sull’onda dei movimenti politico-culturali di massa che anche a Bari influenzarono non superficialmente la vita delle comunità e dei gruppi intellettuali.
La prima parte del volume, storica e saggistica, comprende la ricostruzione dei percorsi e della linea editoriale della rivista, partendo da una cronistoria delle riunioni e degli incontri che resero possibile la sua fondazione e lo sviluppo del suo progetto. La seconda parte, documentaria, ripropone gli editoriali delle prime annate e fornisce gli indici analitici completi dei fascicoli e le liste dei collaboratori.
«Lavoro critico», il Sessantotto e la questione degli intellettuali Francesco Fistetti- I ventitré anni di «lavoro critico» Ferdinando Pappalardo- Una rivista-laboratorio, in una difficile transizione Mario Sechi- «Lavoro critico» nella crisi dell’istituzione Anna Clara Bova- Memoria personale di un comune impegno Mario Ricciardi- APPENDICE a cura di Annabella Petronella - Editoriale n. 1 (gennaio-marzo 1975) - Editoriale n. 5 (gennaio-marzo 1976) - Indici analitici delle annate di «lavoro critico» 1975-1998 - Indici degli autori di «lavoro critico» 1975-1998 - Copertine dei numeri monografici
«Lavoro critico», il Sessantotto
e la questione degli intellettuali
Francesco Fistetti
L’onda impetuosa della modernizzazione
dei “trent’anni gloriosi”
A oltre quarant’anni da quando vide la luce, riaccostarsi a una rivista come «lavoro critico», fondata nel 1975 da Arcangelo Leone de Castris, può essere ancora utile per tornare a riflettere su una stagione ben determinata della storia della cultura italiana che proprio in quegli anni viene segnata, in tutte le sue articolazioni disciplinari, dall’incontro con il movimento operaio e con le sue organizzazioni politiche. Alle spalle vi era il consenso crescente nei confronti del PCI proveniente da ceti sociali di tipo urbano del tutto nuovi rispetto alla classe operaia di fabbrica e alle masse bracciantili meridionali. Un consenso straordinario, che sarebbe stato capitalizzato nelle elezioni del 20 giugno dell’anno successivo. Sul piano dei rapporti di forza parlamentari e della sfera pubblica, l’ascesa del PCI era la conseguenza dell’ondata impetuosa di modernizzazione che a partire dal secondo dopoguerra aveva investito la società italiana, e che scaturiva dal compromesso keynesiano tra politica ed economia entro cui anche in Italia, come nel resto dell’Europa occidentale, sia pure con caratteristiche peculiari, era stato edificato il welfare state. Siamo ormai al culmine – e/o al tramonto – di quei “trent’anni gloriosi” che avevano caratterizzato in Europa l’“epoca socialdemocratica” attraverso politiche di governo rivolte ad addomesticare la hegeliana “bestia selvaggia” del capitalismo e a orientare/regolare le dinamiche spontanee del mercato. Di lì a poco Margareth Thatcher in Inghilterra e Ronald Reagan negli Stati Uniti inauguravano quella “rivoluzione neo-conservatrice” che avrebbe condotto, con il trionfo della c.d. globalizzazione, a una metamorfosi profonda del capitalismo internazionale: il quale avrebbe sempre più assunto una forma finanziaria e speculativa, con la conseguenza di un aumento vertiginoso delle diseguaglianze sociali e una concentrazione della ricchezza nelle mani di un’oligarchia finanziaria corrispondente approssimativamente all’1% della popolazione mondiale. Ma alle spalle di quella data di fondazione vi era soprattutto un fatto storico-politico destinato a fare epoca, il Sessantotto: un evento-sfinge, come ebbe a definirlo Edgar Morin, perché gravido di significati prognostici di lunga durata, tutti da decifrare. «Una breccia non richiudibile si era aperta sotto la linea di galleggiamento del nostro ordine sociale», commentava Morin. L’assoluta novità del Sessantotto non stava nella portata evenemenziale di un episodio o di una serie di accadimenti, in sé pur molto importanti, a cominciare dalla rivolta studentesca e dall’occupazione delle università. Questi fenomeni di critica dell’autoritarismo, come furono fin da subito descritti, erano piuttosto il sintomo di un mutamento di paradigma nella composizione di classe delle società capitalistiche avanzate e nella cultura dominante. Nell’editoriale premesso al primo numero di «lavoro critico» (gennaio-marzo 1975), Leone de Castris esordiva mettendo al centro quella che sarebbe stata l’ispirazione di fondo del progetto della rivista, vale a dire l’«emergenza di una “questione intellettuale” come questione sociale di massa» all’interno dello «sviluppo capitalistico nella sua fase matura». Questo dato macroscopico – un vero e proprio salto evolutivo nella storia del modo di produzione capitalistico e delle società liberaldemocratiche – imponeva una riconfigurazione dell’analisi del lavoro intellettuale, delle forme inedite che esso andava assumendo e dell’«effettivo legame con il piano della politica e dello Stato». Non c’è ombra di dubbio che nell’enfasi posta sulla “questione intellettuale” opera un’opzione teorica di carattere strategico, che verrà sempre più chiaramente esplicitata nel corso degli anni successivi, vale a dire il pensiero di Antonio Gramsci, i cui Quaderni del carcere vedevano la luce nell’edizione critica di Valentino Gerratana (coincidenza tutt’altro che casuale) proprio in quello stesso anno.