Globalizzazione, giustizia, solidarietà
La globalizzazione, se radicalmente reimpostata sulla base di rigorosi princìpi etici, può trasformarsi in un potente strumento per la costruzione di una società più giusta e solidale a livello planetario. Il volume raccoglie scritti di: Arrigo Colombo, Arturo Colombo, Adriana Corrado, Elena M. Fabrizio, Serge Latouche, Giuseppe O. Longo, Sebastiano Maffettone, Yann Moulier Boutang, Angela Perucca, Cosimo Quarta, Armando Savignano, Mario Schiattone, Giuseppe Schiavone, Mario Signore, Francesco Totaro, Laura Tundo Ferente.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822062727
- Anno: 2004
- Mese: aprile
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 376
- Tag: Politica Filosofia politica Economia Etica Giustizia Globalizzazione
L'attuale processo di globalizzazione - guidato non dal libero mercato - come si pretende, mentre in realtà è anarchico - ma dalla «mano dura e visibile» delle imprese monopolistiche transnazionali, si è rivelato profondamente dannoso e ingiusto per l'umanità, producendo effetti perversi e destabilizzanti, quali la deregulation, l'esautoramento della politica, l'abolizione del Welfare State, la privatizzazione sfrenata, la crescita scandalosa delle diseguaglianze, l'estrema precarizzazione del lavoro dipendente, l'irresponsabilità dilagante, la caduta della speranza progettuale, l'omologazione dei costumi, il pensiero unico. Questo libro, scritto a più mani, lungi dal demonizzare il fenomeno globalizzazione, ne prospetta invece le vaste potenzialità utopiche; mostra che, se guidata dai grandi etico-politici, la globalizzazione può diventare uno strumento potente per la costruzione di una società giusta, libera, solidale e pacifica a livello planetario.
Per una globalizzazione dal volto umano di Cosimo Quarta - I. GLOBALIZZAZIONE: VICENDA E PROBLEMI - Il ruolo della politica di Arturo Colombo - Il ruolo della tecnoscienza di Giuseppe O. Longo - La vicenda dello sviluppo: lo «sviluppo sostenibile» come utopia mistificatrice di Serge Latouche - Il lavoro nella prospettiva globale di Francesco Totaro - II. GLOBALIZZAZIONE: IL COMPITO DI GIUSTIZIA E DI SOLIDARIETÀ - Globalizzazione e universalizzazione di Giuseppe Schiavone - L'etica nell'età della globalizzazione di Mario Signore - La costruzione della società di giustizia nella fase abnorme della globalizzazione capitalistica di Arrigo Colombo - Utopia e giustizia: i «diritti umani» di Sebastiano Maffettone - Globalizzare la solidarietà: l'incondizionalità del reddito come mutamento decisivo della condizione salariale di Yann Moulier Boutang - Globalizzare la responsabilità e la speranza di Cosimo Quarta - Il compito dell'educazione. Verso l'utopia dell'intercultura di Angela Perucca - III. LO SPAZIO COSMOPOLITICO - La costruzione della cosmopoli di Laura Tundo - La federazione come progetto di Mario Schiattone - Il rapporto tra le culture di Elena M. Fabrizio - IV. PROSPETTIVE DI AUTORI - Dalla tradizione utopica forme possibili di corretta globalizzazione: The Diothas, or a far look ahead di John Macnie di Adriana Corrado - Etica del discorso ed etica della liberazione: il dialogo tra Apel e Dussel. Problemi etici nel rapporto Nord-Sud di Armando Savignano - Indice degli autori citati
Per una globalizzazione dal volto umano
di Cosimo Quarta
1. Utopia e globalizzazione Dopo il crollo del comunismo sovietico, molti studiosi (ma anche politici di diverso orientamento culturale) si erano affrettati a decretare la fine dell'utopia. Attraverso un corto circuito mentale – le cui cause ho cercato di esaminare in altro mio scritto – la distopia totalitaria staliniana, che ha oppresso per oltre settant'anni i popoli dell'ex URSS, veniva inopinatamente considerata come l'utopia realizzata. In altri termini, il crollo del comunismo sovietico veniva salutato, anche da molti marxisti, come la pietra tombale dell'utopia. Non sono trascorsi che pochi anni – il tempo, cioè che il neoliberismo trionfante, attraverso una globalizzazione anarchica e unidimensionale, producesse i suoi frutti avvelenati – ed ecco che già da più parti s'invoca la necessità di una nuova progettualità utopica. Si contano ormai a migliaia non solo gli scritti, ma anche i movimenti che, in questi ultimi anni, si sono scagliati, in diverse parti del mondo, contro l'attuale processo di globalizzazione. Si pensi, ad esempio, ai cosiddetti «No Global» o «New Global», su cui tornerò più oltre. Occorre però notare che l'urgenza di una nuova progettualità utopica è avvertita non solo dai suddetti movimenti, ossia a livello sociale, ma comincia a farsi strada anche all'interno dell'establishment economico politico mondiale, come dimostra, ad esempio, il recente volume di un autore americano e premio Nobel per l'economia, Stiglitz, che è stato consulente di Clinton e vice presidente della Banca Mondiale. Il processo di globalizzazione in atto e il trionfo del capitalismo eslege, nonché seppellire l'utopia – come annunciavano stolidamente giulivi i suoi detrattori – ne hanno invece accresciuto il bisogno. Mai come oggi, forse, il bisogno di utopia, ossia il bisogno di costruire un mondo migliore – più giusto, più libero, più pacifico – è stato così forte e ubiquitario. Ai nostri giorni, cioè proprio nell'era della globalizzazione, l'utopia appare davvero come il primo e più urgente bisogno dell'umanità. 2. Sul processo di globalizzazione Per comprendere le ragioni di questo urgente e diffuso bisogno di utopia, è opportuno esaminare, sia pure a grandi linee, l'attuale processo di globalizzazione, per capirne anzitutto l'origine, il senso, i caratteri e, quindi, gli effetti, quasi sempre devastanti, che essa ha prodotto e continua a produrre sull'intero pianeta. 2.1. Origine, senso, caratteri Qui occorre rilevare preliminarmente che il termine globalizzazione è ben lungi dall'essere univoco. Donde la necessità di definirlo. E ciò non solo per evitare di permanere nell'equivoco, ma anche perché intorno al concetto di globalizzazione si gioca, oggi, «la battaglia per l'interpretazione della storia». Il termine «globale» ha avuto una certa «fortuna», in questi ultimi decenni, a partire dall'uso che ne fece, a suo tempo, McLuhan. Questi aveva affermato che l'«era dell'elettricità», con la sua «rete globale» e la sua «interdipendenza globale», stava trasformando il nostro pianeta in un «villaggio globale»; nel senso che prima l'elettricità e poi la diffusione capillare dei mass media (in particolare radio e televisione) contribuivano a ripristinare, tra gli umani, quella forte coesione sociale, che è una caratteristica peculiare della vita del villaggio. Coesione sociale che era andata via via affievolendosi, anche a causa di altre innovazioni tecnologiche della modernità, a partire dall'invenzione della stampa che, incentivando la privatizzazione della lettura, favorì la crescita dell'individualismo e, quindi, della «frammentazione» sociale. In McLuhan, dunque, il termine «globale» è utilizzato per caratterizzare sia l'unicità del nostro mondo e del genere umano, sia l'interdipendenza tra tutti gli uomini, i Paesi e le culture presenti sul globo terracqueo. Un'idea, questa, certamente non nuova nella storia del pensiero occidentale, se solo si pensa, ad esempio, all'universalismo, che già presente nel mondo greco-latino, assunse nuova forma e nuova linfa col cristianesimo, protraendosi lungo il medioevo, fino all'età moderna, allorché grandi correnti culturali – tra cui l'umanesimo e l'illuminismo – lo rinvigorirono con nuovi argomenti. L'idea di «villaggio globale», dunque – come, del resto, molti concetti elaborati da Teilhard de Chardin («unificazione dell'umanità », intesa quest'ultima come «noosfera», «grande corpo», «planetarizzazione» ecc.), cui McLuhan espressamente si richiama –, si può collocare all'interno di questo filone universalistico, che ha attraversato, per lunghi tratti e fino ai nostri giorni, la storia occidentale. Ma se le cose stanno così, per comprendere l'attuale processo di globalizzazione, il «villaggio globale» di McLuhan non può esserci d'aiuto. Occorre perciò cercare altrove. Più o meno negli stessi anni in cui McLuhan coniava, con felice intuizione, l'espressione «villaggio globale», altri autori, su un altro versante culturale, utilizzavano il termine «globale», caricandolo però di nuovi sensi. Il punto di partenza di questa variazione semantica è dato dalla realtà delle imprese multinazionali che, sul finire degli anni Sessanta, cominciarono ad essere designate dallo stesso management industriale con l'espressione «imprese globali ». Ma anche negli studi degli economisti cominciarono a comparire espressioni come «sistema industriale globale», «risorse globali », «città globale» ecc. Pur nella vaghezza di queste espressioni coniate dagli esperti, una cosa risultò subito chiara; e cioè che per costoro «globale» si contrapponeva al termine «nazionale». «Globale», insomma, finì col designare «tutto ciò che libera l'economia dagli impacci creati dallo Stato-nazione». Stato-nazione che, agli occhi di molti studiosi appariva come una sorta di «mostro» che, generando il nazionalismo, impedisce al libero mercato di sviluppare la sua intrinseca «razionalità» […].