La fisica dei quanti sfida la realtà
Einstein aveva ragione ma Bohr vinse la partita
prefazione di Giulio Peruzzi
Un libro prezioso e illuminato, che ricostruisce l’avvincente dibattito sull’interpretazione della meccanica quantistica e sulle profonde obiezioni di Einstein riguardo alla descrizione della realtà.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002501
- Anno: 2011
- Mese: giugno
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 168
- Note: illustrato in bianco-nero
- Tag: Scienza Epistemologia Fisica Storia della scienza Realismo locale Albert Einstein Fisica quantistica
Il libro ripercorre la storia della meccanica quantistica, focalizzando l’attenzione sulla sua interpretazione, sulle obiezioni di Einstein e sul dibattito che esse suscitarono. Einstein era strenuamente convinto che la nuova teoria non fornisse una descrizione diretta della realtà. L’analisi delle sue considerazioni permette di vedere sotto una nuova luce le caratteristiche non intuitive della meccanica quantistica. Partendo da due aspetti centrali dello sviluppo della fisica, la ricerca dei costituenti fondamentali dell’Universo da una parte e la comprensione delle leggi che ne governano il moto dall’altra, l’autore mette in evidenza come, con il passare del tempo, si siano raggiunti livelli sempre maggiori di astrazione e come ci sia stato un progressivo distacco dalla nozione intuitiva di realtà. Già le leggi del moto di Newton avevano guadagnato generalità e potere concettuale sacrificando il contatto diretto e intuitivo con l’esperienza reale. La frattura con la descrizione della realtà diviene profonda e definitiva duecentocinquanta anni dopo Newton, con l’ingresso sulla scena della meccanica quantistica.
Prefazione all’edizione italiana di Giulio Peruzzi - Premessa - Introduzione - 1. Breve storia dei quanti - I veri rivoluzionari - Una nuova visione dell’atomo - Costruzione di una teoria coerente - 2. Regole e interpretazioni - Il problema della misura - L’entanglement quantistico - 3. La presa di distanza di Einstein - L’articolo EPR - Il gatto di Schrödinger - Ensembles - Entra in gioco John Bell - Dal microscopico al macroscopico - Einstein aveva ragione? - 4. Dall’atomismo alle particelle reali - L’atomismo nel Medioevo - La prima rivoluzione scientifica - Gli atomi fondati sulla scienza - Gli atomi e la natura del calore - Il ruolo di Boltzmann - Entra in scena Einstein - 5. Le leggi del moto - La grande frattura con Aristotele - I problemi del moto dominano la fisica - La nuova prospettiva - Le nuove leggi del moto - 6. Campi - 7. Nuove particelle e loro origine quantistica - Teoria quantistica dei campi - Le prime nuove particelle - Cosa tiene coeso il nucleo? - I nuovi acceleratori - 8. L’atomo svelato - La sorgente di energia delle stelle - Come spiegare l’origine degli elementi - Come spiegare la radioattività - Proprietà della materia solida - La superconduttività - 9. Metodi e fondamenti matematici - Metodi sperimentali - Un nuovo strumento teorico - Particelle strane - Il Modello Standard - Epilogo - Bibliografia e letture consigliate - Indice analitico
Capitolo terzo
La presa di distanza di Einstein
La presa di distanza di Einstein dalla teoria che inizialmente egli stesso aveva contribuito in modo determinante a formulare, grazie all’introduzione dei quanti di luce e al calcolo dei coefficienti A e B, ebbe inizio con l’introduzione da parte di Heisenberg del principio di indeterminazione. Heisenberg sosteneva che, poiché la posizione e la quantità di moto di una particella non erano determinabili simultaneamente con un’accuratezza illimitata, la sua traiettoria futura non poteva essere prevista in modo preciso. L’introduzione della probabilità non era quindi solo una questione di conoscenza limitata, ma era un’indicazione che a livello atomico, in accordo con la meccanica quantistica, le regole della causalità non erano più valide. Einstein era riluttante ad accettare questa sentenza categorica. Per molti anni, dopo la pubblicazione dell’articolo di Heisenberg, colse ogni occasione nei congressi scientifici a cui era presente anche Bohr, per proporre esperimenti concettuali ingegnosi al fine di dimostrare come fosse invece possibile misurare contemporaneamente, con il buon livello di accuratezza che gli strumenti permettevano, sia la posizione che la quantità di moto di una particella. Contrariamente all’argomentazione originale di Heisenberg, che coinvolgeva il «microscopio a raggi gamma», col quale voleva dimostrare come la misura precisa di una variabile necessariamente disturbava la misura dell’altra, Einstein si proponeva di trovare il modo di fare entrambe le misure con un’accuratezza illimitata. A ciascuno di questi incontri Bohr, che ormai come un grande vecchio vegliava sulla sua personale interpretazione della meccanica quantistica – lui, insieme ad Heisenberge Born, sostenevano quella che è stata poi definita l’interpretazione di Copenaghen della teoria – si tormentava per le ingegnose e astute proposte sperimentali di Einstein fino al iorno seguente, e invariabilmente la mattina dopo dimostrava trionfalmente il loro fallimento. Ciò non gli procurava alcuna soddisfazione perché stimava e ammirava enormemente Einstein.
A ogni modo egli era convinto dell’esattezza della sua teoria e sentiva su di sé la responsabilità di proteggerla. Dopo diversi incontri di questo tipo, Einstein rinunciò al tentativo di demolire il principio di indeterminazione. Ma non fece cadere le sue obiezioni verso la meccanica quantistica.
Una delle sue critiche si basava sul ben noto rifiuto di sostituire la rigida causalità con la probabilità. È di certo ben nota la sua affermazione per cui non riteneva possibile che Dio giocasse a dadi con il mondo. Ma questa non fu in realtà la ragione principale per cui considerava la meccanica quantistica nient’altro che una teoria insoddisfacente, anche se non negava i suoi grandi successi nel descrivere gli spettri atomici e molte altre proprietà riguardanti la struttura atomica. Il modo inadeguato con cui la teoria si confrontava con la realtà rendeva inevitabile ai suoi occhi il fatto che una teoria più sostanziale dovesse prenderne il posto. Definiva «positivismo sterile» l’insistenza di Bohr e Heisenberg, per i quali solo gli esperimenti potevano determinare cosa avesse significato e cosa fosse la realtà – il fatto che la posizione di un elettrone non può essere determinata quando viene misurata la sua quantità di moto, per essi implicava semplicemente che non avesse una posizione. Nei primi tempi Einstein era stato influenzato dal positivismo, ma negli ultimi anni…
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Einstein aveva ragione?
Per riassumere la visione pessimistica che Einstein aveva della meccanica quantistica, penso sia giusto sottolineare che egli aveva ragione nella sua analisi secondo cui la teoria non descriveva direttamente la realtà, sebbene potremmo non essere d’accordo necessariamente con la sua definizione di realtà.
Come qualsiasi altra teoria dinamica, la meccanica quantistica introduce leggi che governano lo sviluppo nel tempo dello stato di un sistema fisico, ma la definizione che viene data di stato del sistema è un costrutto matematico astratto che non è in relazione con una descrizione diretta del sistema stesso. D’altraparte, ciò non implica necessariamente che egli avesse ragione nel rifiutare tale teoria. In effetti possiamo concordare con Bohr quando diceva: «È sbagliato pensare che lo scopo della fisica sia scoprire cos’è la natura. La fisica si occupa di quello che possiamo dire riguardo alla natura», e concluse: «Non esiste un mondo quantistico. Esiste solo una descrizione fisica quantistica astratta». Bisogna comunque dire che le obiezioni di Einstein hanno avuto un influsso positivo sugli sviluppi e i chiarimenti successivi sul significato e sull’interpretazione della meccanica quantistica. Non è più considerato irriverente per un fisico dubitare dei princìpi dell’«ortodossia» di Copenaghen. Oltretutto, senza Einstein, è improbabile che John Bell avrebbe prodotto i suoi importanti contributi
20 settembre 2011 | La Sicilia |