Il senso dell'algebra
L’origine del linguaggio scientifico universale
Borzacchini mostra che l'algebra non è solo una serie di simboli astratti e incomprensibili, ma il linguaggio del mondo: per questo, ci aiuta a decifrarlo e a scoprirne il fascino.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002785
- Anno: 2021
- Mese: maggio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 272
- Tag: Matematica Storia della scienza
L’algebra, dai tempi della scuola, ci appare come una sequenza di problemi inutili da risolvere con simboli strani, applicando meccanicamente una serie di formule incomprensibili, filastrocche tanto strambe quanto brutte. Un gioco senza senso. Perfetta per un computer, ma non per un essere umano.
E invece l’algebra simbolica è stata il primo linguaggio universale artificiale creato dall’uomo, seme e paradigma di tutti i linguaggi formali successivi, dell’analisi, della chimica e della fisica, della logica matematica, dei linguaggi algoritmici e di programmazione.
È il linguaggio base di tutta la scienza da almeno due secoli. Tutto ciò che ci circonda è stato prima progettato con linguaggi algebrici.
Il senso dell’algebra allora esiste, ben radicato nel profondo della capacità umana di rappresentare non solo le cose, ma anche la propria intelligenza.
Un povero professore di matematica in pensione finisce con l’essere una sorta di “soccorso matematico” per adolescenti, figli di amici e parenti. E allora tocca con mano l’“incubo algebrico” in cui vive la maggioranza dei nostri ragazzi davanti all’algebra simbolica. La geometria preoccupa di meno, solo qualche passaggio nelle dimostrazioni, e la fisica è un incubo connesso a quello algebrico. Dopo aver insegnato per anni algebra alle matricole – l’algebra astratta, anch’essa un incubo – avevo già incontrato strafalcioni algebrici elementari, e me lo aspettavo, ma verificare il rigetto in adolescenti decisamente intelligenti mi ha sconcertato.
Poi ho riflettuto sul fatto che l’algebra, più che una disciplina matematica specifica, è la culla dei linguaggi formali, il linguaggio artificiale da cui sono nati tutti quegli innumerevoli linguaggi – calcolo, analisi, geometria analitica e proiettiva, fisica e chimica, logica, computer science – che sono all’origine di tutto ciò che ci circonda: case, macchine, computer, telefonini, aerei, elettrodomestici, gli stessi giochi, prima di essere prodotti materialmente in plastica, cemento, metallo e silicio, sono cresciuti algebricamente sulla carta. Ed è anche una sorta di sfondo su cui si staglia oggi tutta quella confusa “competenza” digitale apparentemente indispensabile per accedere al mercato del lavoro attuale.
Mi ricordo di una professoressa che, di fronte alle mie lamentele sulla preparazione algebrica degli studenti, osservava che nella sua classe la situazione non era tanto grave: quattro o cinque studenti la capivano abbastanza. A me sembrava disastroso… E risuonava la fatidica frase: «Prof, ma a che serve l’algebra?». Per la larga maggioranza dei nostri studenti essa resta “arabo”, e non perché “algebra” e “algoritmo” sono termini di origine araba! I miei amici e parenti riescono ad aiutare i figli per italiano, storia, magari anche filosofia e latino, ma per l’algebra confessano di essere completamente ignoranti: hanno dimenticato tutto. L’algebra in realtà condiziona la percezione che della matematica ha praticamente chiunque, anche e soprattutto chi non la capisce. Se si facessero oggi dei test di competenza algebrica elementare ai quarantenni colti, i risultati sarebbero catastrofici. Peggio dei test OCSE-PISA sottoposti agli studenti!
Ho pensato quindi che, se i professori delle scuole superiori (di primo e secondo grado) non riescono a insegnare l’algebra alla maggioranza dei loro studenti, non può essere tanto colpa loro, quanto di chi li ha formati. E mi sono chiesto come l’ho insegnata io.
È vero che l’algebra per le matricole universitarie sembra molto diversa da quella delle superiori, tanto che molti storici pensano che il termine “algebra” ricopra discipline del tutto diverse e quasi scollegate. Ma allora perché non si insegna l’algebra simbolica nelle università? Si fa solo qualche richiamo nei precorsi.
E io come mi sono comportato quando la insegnavo? Tante belle cose: strutture algebriche, logica, applicazioni informatiche, ecc. Tuttavia mi limitavo a criticare negli studenti gli innumerevoli errori di algebra elementare, dandola per scontata come la tabellina pitagorica. E, come quella, da apprendere per via mnemonica o analogica. Quindi anche a me, in realtà, l’algebra simbolica appariva in fondo banale, solo un gioco, indispensabile ma senza senso, dal quadrato del binomio alla teoria degli insiemi.
Esistono parecchi libri di storia dell’algebra, ma l’algebra in sé resta un “buco nero”. Sembra che dire quanto faccia 2 più 5 sia aritmetica, mentre dire qual è il numero che aggiunto a 2 faccia 5 è algebra. Insomma: si entra nel mondo dell’algebra quando si passa dall’addizione alla sottrazione manipolando il problema? Allora è solo una complicazione dell’aritmetica? E a cosa serve? Sin dalle sue origini mesopotamiche essa sembra sia stata in realtà molto di rado indispensabile. Quindi da dove viene? Quali sono le sue radici culturali? E perché ha assunto dopo il Medioevo un aspetto simbolico? Perché è diventata sempre più importante, perché oggi è la base di tutto?
Negli ultimi decenni c’è stato un grande rinnovamento nella storia dell’algebra: Høyrup, Heeffer, Oaks, Panza sono alcuni degli autori cui faremo riferimento. In essi la storia dell’algebra è però sempre una storia interna, salvo i riferimenti al contesto socio-economico-politico, soprattutto in Høyrup.
Il nostro punto di partenza sarà allargare l’analisi storiografica dell’algebra in diverse direzioni: riprenderemo quel rapporto tra l’algebra e il concetto di numero sottolineato un secolo fa da Jacob Klein; riconosceremo la connessione tra la nascita dell’algebra simbolica e la dottrina dei segni e degli universali di filosofi medievali quali Ockham e Buridan, facendone, più in generale, un’incredibile creazione dell’uomo medievale, del maestro d’abbaco, del filosofo nominalista, del dotto umanista; approfondiremo il rapporto tra l’algebra, il metodo dell’analisi, e la teoria degli algoritmi, anche nella logica moderna, analizzato soprattutto da Hintikka e Remes. Soprattutto, collocheremo l’algebra al centro della storia del pensiero matematico, dall’antichità a Kant e all’Ottocento, vedendone le diverse tradizioni, ma cercandone anche il senso unitario.
Sono connessioni che non appaiono evidenti, in quanto l’algebra è sempre stata una disciplina clandestina.
Pur essendo antichissima – quattromila anni, più o meno quanto aritmetica e geometria – non è mai entrata nel Quadrivio antico né nelle università medievali, restando una disciplina “pratica” quasi inutile. Prima di essere accettata ufficialmente come geometria analitica con Descartes è stata considerata spesso una mezza diavoleria degli “infedeli”, la prima immigrata clandestina arrivata con i barconi.