La solitudine di Leonardo
Il “genio universale” e le origini della scienza moderna
Cosa ha rappresentato Leonardo da Vinci per la scienza moderna? È stato solo un inventore un po’ velleitario o un vero precursore della Rivoluzione Scientifica? Un saggio originale sul ruolo di Leonardo, un “unicum” nella storia della scienza, in occasione dei 500 anni dalla sua morte.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002754
- Anno: 2019
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 200
- Tag: Scienza Filosofia della scienza Storia della scienza Genio
In una linea del tempo, Leonardo da Vinci (1452-1519) si colloca proprio al centro del Rinascimento, al confine tra il Medioevo e l’èra moderna, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. In passato Leonardo è stato spesso esaltato come precursore della scienza moderna, ma nell’ultimo secolo la maggior parte degli studiosi ha ridimensionato il suo ruolo di scienziato, salvando solo l’artista sublime. Alcuni lo hanno considerato soltanto un abilissimo osservatore e inventore un po’ velleitario, altri, invece, lo hanno presentato come l’emblema romantico di una conoscenza unitaria e impermeabile alle specializzazioni. Ma cos’ha significato davvero per la scienza? È possibile recuperare uno sguardo nuovo sulla scienza moderna analizzando i caratteri essenziali di Leonardo nella meccanica, ingegneria, matematica e nelle scienze naturali?
La scienza moderna, nata con la Rivoluzione Scientifica, emergerà un secolo dopo, ma su di essa si apre, per primo, lo sguardo solitario di Leonardo, colui che scriveva «se sarai solo, sarai tutto tuo». E anche se nessun teorema o legge porta il suo nome, la figura di Leonardo come “scienziato” rappresenta un vero unicum, segno che la storia si muove in modo molto più folle di quanto vorrebbero gli storici.
Premessa - Introduzione - 1. Prima del Rinascimento - I segni e la rappresentazione sintattica, l’essere e il divenire - La matematica antica e medievale - La filosofia naturale - Universali e individui - Scienze e tecniche: le due tradizioni matematiche - I “precursori medievali” di Galileo - Il moto - La leva e il principio dei lavori virtuali - Qualità/quantità intensive e il Continuo - Il moto dei gravi e la teoria dell’impetus - Dopo il Rinascimento - 2. Il Rinascimento - Il Rinascimento e la geometria - La prospettiva - Gli “ingegneri” - 3. Il ruolo di Leonardo come scienziato - La fama di Leonardo scienziato e la storia positivista - La formazione di Leonardo - La filosofia naturale di Leonardo - La meccanica di Leonardo - L’osservazione della natura - 4. La scienza del divenire - La forza e il moto - La matematica di Leonardo - Il linguaggio e la pittura di Leonardo - Il “metodo” - 5. Il posto di Leonardo - Lo sguardo scientifico di Leonardo - Lo sguardo matematico di Leonardo - Lo sguardo meccanico di Leonardo - Conclusioni – Appendice. I manoscritti di Leonardo - Riferimenti bibliografici - Indice analitico
Introduzione
In una linea del tempo, dove si trova Leonardo? Al centro del Rinascimento. E dove si colloca il Rinascimento? Sul confine tra mondo medievale e mondo moderno. Ed è proprio tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’èra moderna, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, che si inserisce la figura di Leonardo da Vinci (1452-1519). Leonardo è appena nato quando cadono Costantinopoli e l’Impero romano d’Oriente, e i Turchi iniziano a invadere l’Europa; ha pochi anni quando Gutenberg comincia a stampare i primi testi; è quarantenne quando Colombo scopre l’America; è ormai adulto quando comincia a circolare il modello copernicano eliocentrico; e, poco prima della sua morte, Martin Lutero affigge le celebri tesi sulla porta della chiesa di Wittenberg, dando avvio alla Riforma protestante.
Leonardo e il Rinascimento stanno lì, fra due gigantesche costruzioni culturali e scientifiche, le più imponenti della storia del pensiero: la cultura antica e medievale, centrata sull’insegnamento aristotelico, e la scienza moderna, nata con la Rivoluzione Scientifica. Per leggere Leonardo dobbiamo allora in primo luogo convincerci che nella storia della scienza il Rinascimento inaugura il più grande interregno di cui abbiamo notizia storica. Persino la fine dell’Impero romano d’Occidente non ha rappresentato nella storia della scienza una frattura paragonabile, infatti, sia prima che dopo di essa, sono Aristotele e Platone a dominare la conoscenza scientifica e le sette arti liberali a costituire la topologia del sapere.
Quando si cerca di descrivere la nascita della scienza moderna, quasi sempre se ne riconosce in Galileo il padre, ma non cambierebbe molto considerare Descartes, Kepler o Stevin, poiché comunque se ne fisserebbe la data tra gli ultimi anni del Cinquecento e i primi decenni del Seicento.
Molti hanno cercato di individuarne gli antenati, e qui sono emerse due ipotesi. La più ovvia è stata quella di cercarli negli immediati predecessori cinquecenteschi: soprattutto in Italia, con algebristi (Del Ferro, Tartaglia, Cardano, Ferrari, Bombelli) e geometri-meccanici (Maurolico, Commandino, Guidobaldo del Monte, Benedetti), ma anche nella Mitteleuropa, con astronomi come Copernico e Tycho Brahe, o altri in Francia e in Inghilterra.
La seconda tesi, meno banale, è stata proposta un secolo fa da Pierre Duhem, e ha conquistato col tempo una larga audience, anche se in forma più prudente; essa vede i «precursori» (forerunners, Vorläufers) di Galileo in autori della Scolastica medievale del XIII-XIV secolo, come Giordano Nemorario, Roger Bacon, Duns Scoto, William of Ockham, Giovanni Buridano, i Mertoniani, Nicola d’Oresme, Alberto di Sassonia. Duhem ha fissato addirittura la data di “concepimento” della scienza moderna nel 1277, con la condanna da parte del vescovo Tempier di molte tesi aristoteliche di filosofia naturale, e ha individuato la “nascita” della scienza moderna a Parigi nel XIV secolo, soprattutto con l’affermarsi della teoria dell’impetus. Addirittura, se non ci fossero stati gli ostacoli dell’Umanesimo e del Rinascimento, la scienza moderna secondo Duhem sarebbe potuta nascere benissimo due secoli prima.
A questo punto sorge la questione del gap rinascimentale. Nei testi di storia della scienza questo periodo viene presentato come un capitolo minore, pur se assistiamo a una grande diffusione delle applicazioni tecniche più o meno matematiche, tra gli artigiani e gli architetti, nelle amministrazioni comunali, nelle tecniche produttive, nel commercio. Le università medievali vanno in crisi (soprattutto in Francia e Inghilterra, anche a causa delle epidemie e della guerra dei Cent’Anni) e con esse il loro insegnamento in latino dei rudimenti della matematica e della scienza greche, ma fioriscono (in Italia e un po’ nella Mitteleuropa) le “scuole d’abbaco”, in cui un numero considerevole di giovani apprende in volgare tecniche matematiche elementari, utili per quelle professioni artigianali e artistiche che caratterizzano il Rinascimento italiano: la “prospettiva” è un po’ l’emblema di questa liaison.
Comunque le “scuole d’abbaco” sono poca cosa nel panorama culturale del periodo, dominato invece da tendenze decisamente lontane dalle scienze e dalla matematica. Nel Quattrocento tra gli Umanisti appaiono effettivamente un clima e un gusto letterario vagamente antiscientifici – ma “scienza” era allora solo quella scolastica! – anche se nuove e migliori traduzioni dei classici matematici e scientifici ne permettono con la stampa una più larga diffusione.
Nel panorama di questa scienza rinascimentale minore e anonima, la figura che meglio ne rappresenta le ambizioni più alte e la massima reputazione internazionale è proprio Leonardo da Vinci: eccelso pittore e artista, ma anche matematico, architetto, ingegnere, meccanico, inventore, naturalista.
Si presenta, quindi, un enorme problema storiografico: la scienza rinascimentale è stata solo un “gap”, un rallentamento, un momento di sosta, dovuto a fattori esterni come la guerra e la peste o a fattori interni come l’Umanesimo – o addirittura un ostacolo come pensava Duhem –, oppure ha portato anch’essa un contributo, un tono di colore, un suggerimento? E, in questo secondo caso, che ruolo ha avuto?
Rispondere a tale questione in fondo significa delineare il ruolo di Leonardo nella nascita della scienza moderna: cosa è stato? Solo un artista e un tecnico, o un ingegnere? Un visionario fantascientifico? Un amateur di scienza e matematica, ma privo di conoscenze di base (ignorava del tutto il greco e conosceva molto poco il latino)? I suoi interessi matematici e scientifici sono stati solo una curiosità o un hobby? George Sarton riconosce che le sue idee furono «semi che non moriranno mai», ma che resteranno tali; si può considerare allora un velleitario? Un embrione di scienza abortito?
La risposta che cercherò di illustrare è che il Rinascimento e in esso soprattutto Leonardo rappresentano il momento essenziale per la nascita della scienza moderna, riformulando i quesiti sui quali si era arenata la scienza degli Scolastici “precursori di Galileo”. Mentre il loro infatti si era dimostrato un vicolo cieco, quello di Leonardo, anche se non è la soluzione, è lo stabilirsi del fondamento, del terreno di coltura, tremendamente profondo e radicale, essenziale per la nascita della Rivoluzione Scientifica.
Per dettagliare questa ricostruzione dovremo cominciare chiarendo la domanda. E questo significa confrontare i due mondi che sul Rinascimento si affacciano.
È difficile tuttavia concepire l’emergere della scienza moderna nel Seicento senza rendersi conto di quanto vasta, rigorosa e profonda fosse la concezione del mondo garantita da quello che chiamiamo sinteticamente “aristotelismo”, ma che in realtà vedeva nei testi aristotelici solo il suo nucleo centrale e il suo stile, riuscendo invece a dare senso a tutte le attività umane, anche non filosofiche o scientifiche, e quindi alle tecniche, alla letteratura e all’arte, alla politica, fino alla vita quotidiana. Era una Weltanschauung così ben articolata che faceva da sfondo logico e concettuale persino a tutte le altre filosofie, gli altri culti e religioni apparsi nel mondo classico e medievale. Era stato così anche per la cultura cristiana, che, dopo una fase più platonica con sant’Agostino, aveva fatto dell’aristotelismo con san Tommaso la cornice della sua teologia, riuscendo persino a smussare quegli aspetti dell’insegnamento aristotelico che con essa contrastavano (eternità del mondo, mortalità dell’anima). Così l’influenza degli astri sul mondo sublunare era lo scenario indubbio nel quale il teologo collocava il libero arbitrio, il mago inseriva i demoni ed Ermete Trismegisto, e l’Umanista iscriveva l’individualità e lo stesso Platone.
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