Fastidio
Cosa ci irrita e perché
revisione di Anna Mioni e Giovanni Giri
Psicologia, filosofia e neuroscienza di quello che ci irrita: questo libro cambierà per sempre il vostro giudizio su chi, al ristorante, racconta urlando al cellulare l’esito della sua colonscopia.
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068552
- Anno: 2014
- Mese: ottobre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 248
- Tag: Scienza Psicologia Mente Neuroscienze Fastidio
Suoni, odori, automobilisti, amici, mogli e mariti possono rivelarsi molesti. Quante cose ci infastidiscono? Qualcuna ci sarà senz’altro, ma ci siamo mai chiesti perché? Due giornalisti temerari hanno setacciato la letteratura scientifica alla ricerca di risposte. Fra psicologia e neuroscienze, incontreremo esperti e ricercatori che ci spiegheranno perché alcune situazioni ci fanno andare su tutte le furie; perché, nonostante l’irritazione suscitata da uno sconosciuto seduto vicino a noi che parla al cellulare a voce alta, non riusciamo a fare a meno di ascoltarne le conversazioni; perché amiamo il peperoncino nonostante la bocca in fiamme; perché in un posto sperduto in mezzo all’oceano il fastidio è un perfetto sconosciuto; perché certi suoni ci piacciono e altri li detestiamo; cosa ci accomuna agli animali e alle popolazioni primitive; e qual è la ricetta perfetta per scatenare una crisi di nervi nel malcapitato di turno. Aneddoti strambi e curiosi ci porteranno alla scoperta di eventi e comportamenti fastidiosi in ogni parte del mondo.
La prima volta che saremo sul punto di strangolare il collega che non la smette di ticchettare con la penna sulla scrivania, manteniamo la calma. Tiriamo fuori una copia di questo libro e consigliamogli questa lettura godibile e piacevolmente istruttiva. Quando poserà la penna per prendere in mano il volume, facciamola sparire!
Ironia della sorte, un libro intitolato Fastidio, che parla di unghie sulla lavagna, si legge che è un piacere.
Nota degli autori – Introduzione: il telefono – 1. Un fischio assordante – 2. Scambio d’intensità – 3. Unghie sulla lavagna – 4. La puzzola e le sue vittime – 5. Bestie inferocite: un flagello biblico – 6. Chi ha spostato il loro formaggio? – 7. L’incubo dell’orecchio assoluto – 8. Dissonante – 9. Infrangere le regole – 10. La verità è che non lo irriti abbastanza – 11. «Meglio tardi che mai» lo dici a casa tua! – 12. Quando la mente è una terra straniera – 13. Il cervello indispettito – 14. Falsi allarmi – Conclusioni – Ringraziamenti – Indice analitico
Scambio d’intensità
Quando Cristoforo Colombo giunse nelle Americhe, ben presto si accorse di un fatto strano. Gli indigeni avevano l’abitudine di cucinare il cibo aggiungendo una spezia che a Colombo non piaceva per niente. Non solo aveva un pessimo sapore, ma mandava la bocca in fiamme. Colombo rimase sbigottito nel vedere che la popolazione la mangiava di sua spontanea volontà.
«Tutta questa gente non sa farne a meno, tanto la considerano benefica», annotava il 15 gennaio 1493 nel suo diario.
La spezia in questione era il peperoncino. Se a quel tempo la sua diffusione tra gli abitanti del Nuovo Mondo stupì Colombo, l’esploratore sarebbe rimasto scioccato nell’apprendere che negli ultimi cinque secoli il peperoncino non ha fatto che aumentare la sua notorietà. Secondo stime recenti, ogni giorno un terzo degli abitanti del pianeta consuma peperoncino.
Allora, perché si dovrebbe aver voglia di mangiare una cosa dal sapore cattivo e dall’alto potere irritante? E che rapporto ha con il fastidio? «Bella domanda», risponde Paul Rozin, psicologo presso la University of Pennsylvania. Per prima cosa, con il suo aiuto affronteremo l’enigma del peperoncino come cibo.
Rozin ha un debole per gli argomenti strambi. Ha consacrato gran parte dei suoi studi in psicologia nella ricerca del perché certe cose ci disgustano, ma si è interessato anche all’altra faccia della medaglia, cercando di capire perché altre ci attraggono. La curiosità per la popolarità del peperoncino cominciò negli anni ’70.
Se si vuole comprendere appieno il fastidio, si deve impiegare il proprio tempo nello studio di cose leggermente sgradevoli, e in questa scala il peperoncino sta esattamente a metà strada tra il piacevole e il disgustoso. Quando pensiamo a un cibo delizioso, di solito si tratta di qualcosa che tutti vorrebbero mangiare. Ci troviamo tutti d’accordo nel dire che le patatine fritte di un tal ristorante sono buonissime o che il gelato di quella tal gelateria è a dir poco sublime. Al contrario, al palato dei nostri amici, un delizioso e piccante burrito fatto in casa potrebbe rivelarsi addirittura immangiabile. Se volete scoprire perché una cosa è sgradevole, il peperoncino offre un banco di prova molto interessante.
Secondo Rozin, non c’è dubbio che mangiare peperoncino sia un’esperienza di per sé negativa. «È scientificamente provato che ai bambini piccoli non piace questo sapore». In alcuni contesti culturali dove il consumo di peperoncino è tradizione, le donne si cospargono il seno di polvere di peperoncino per accelerare lo svezzamento.
Numerose sono le congetture sul motivo che ha spinto certi popoli a cibarsene. Infatti, varie ricerche hanno dimostrato che il peperoncino è entrato a far parte della dieta umana circa novemila anni fa. Alcuni etnofarmacologi (ebbene sì, l’etnofarmacologia esiste davvero e vanta persino una rivista di settore) hanno ipotizzato che i Maya mangiassero peperoncino per le sue proprietà antimicrobiche. In tempi più recenti, in Canada, alcuni scienziati hanno dimostrato che, nonostante la capacità di infiammare esofago e stomaco, il peperoncino contiene un agente chimico che inibisce l’Helicobacter pylori. Una bella notizia perché il batterio in questione è il principale responsabile dell’ulcera gastrica.
Allora mangiamo peperoncino perché ci fa bene? «Non credo proprio», risponde Rozin. Nella migliore delle ipotesi, si tratta di un caso fortuito. Le civiltà antiche di certo non potevano sapere che nel 2005 si sarebbe conferito il Nobel per la scoperta del legame tra Helicobacter pylori e ulcera.
Esistono anche altre teorie riguardo la diffusione del consumo di peperoncino. «Ha l’effetto di camuffare il deterioramento», spiega Rozin. «Una volta, il frigorifero non esisteva, così ai cibi si aggiungeva peperoncino. Tuttavia, non mi pare una spiegazione plausibile».
È anche vero che il peperoncino contiene vitamina A e vitamina C in grandi quantità. «Detto questo, è altrettanto vero che esistono modi migliori per assumere queste vitamine, senza dover finire per forza con la bocca in fiamme», puntualizza Rozin.
01 gennaio 2015 | BBC SCIENCE |
01 gennaio 2015 | Realtà Industriale |
19 dicembre 2014 | il venerdì di Repubblica |
18 dicembre 2014 | L'Espresso |
13 novembre 2014 | expofairs.com |
31 ottobre 2014 | rivistastudio.com |
14 ottobre 2014 | GIORNALE DI SICILIA |