L'istinto del piacere
Perché non sappiamo resistere al cioccolato, all'avventura e ai feromoni
Un viaggio affascinante alla scoperta del piacere, delle sue origini e del suo inscindibile legame con l’evoluzione della specie umana.
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068309
- Anno: 2011
- Mese: novembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 288
- Tag: Scienza Psicologia Biologia Mente Neuroscienze
C’è chi lo chiama entusiasmo, giubilo, o puro e semplice godimento, ma cos’è il piacere? Cosa ci spinge a investire tempo, denaro ed energia nella sua ricerca? Per secoli, filosofi e uomini di fede hanno cercato una risposta a queste e ad altre domande. Spesso hanno paragonato il piacere alla felicità: ma mentre quest’ultima è un’astrazione razionale dettata dalle nostre identità sociali e morali, il piacere è un impulso edonistico incontrollato, un puro imperativo biologico capace di spingerci a gesti straordinari. Wallenstein trova una risposta convincente là dove pochi, finora, avevano cercato, cioè nei meccanismi evolutivi: l’istinto del piacere, secondo l’autore, è uno dei primi strumenti utilizzati dall’evoluzione per guidarci verso il maggiore successo riproduttivo. Partendo dai cinque sensi, il libro esplora come e perché ricerchiamo il piacere attraverso domande la cui semplicità è solo apparente: perché andiamo matti per il cioccolato e ci lasciamo trascinare da un profumo in un turbine di ricordi? perché la musica ha il potere di calmarci? L’autore ci svela che in ognuno di questi casi l’istinto del piacere stimola la corretta crescita del cervello, amplifica la nostra capacità di trarre beneficio dai nostri sensi e ci conferisce un netto vantaggio evolutivo. Il viaggio prosegue con un’analisi dell’impatto del piacere sulla nostra vita quotidiana, dalla scelta dei nostri partner al significato della risata, dal nostro ballo preferito ai gusti artistici, e si conclude con uno sguardo al lato oscuro del piacere, per cercare di scoprire le radici della dipendenza e delle ossessioni.
Ringraziamenti - I. L’ISTINTO DEL PIACERE E LO SVILUPPO CEREBRALE - 1. Debolezze e pazzie - Darwin senza il «darwinismo sociale» - 2. Come farsi nuovi amici e influenzare la gente - Primati precoci - Il legame del linguaggio - Triboli e tribolazioni - 3. Che cosa fa ballare Sammy? - La natura della ricompensa «naturale» - Hardware indispensabile - Lo sviluppo delle connessioni del cervello - II. I PIACERI DEL MONDO SENSORIALE - 4. Il piacere del tatto - Sensazioni - L’evoluzione della sedia a dondolo - L’effetto del movimento e del tatto sullo sviluppo del cervello - 5. Elogio degli odori - Il profumo dell’attrazione - 6. Per amore del cioccolato - Zucchero e salute - I circuiti del gusto - La sopravvivenza del più grasso - 7. L’evoluzione della ninnananna - Una grammatica universale - Ambarabà ciccì coccò - 8. Alla ricerca di cose belle - Il piacere, il cervello e la vista - Il piacere di imparare - Il bootstrapping neurale - III. L’ISTINTO DEL PIACERE E L’ESPERIENZA MODERNA - 9. Piacere, proporzione e simmetria - I persuasori occulti - Il piacere e la proporzione - Sedotti dalla simmetria - La faccia giusta - Il piacere e i segnali di simmetria - Simmetria ed estetica: esempio di un processo generale - 10. Piacere, ripetizione e ritmo - 11. Homo addictus - Le molte facce del vizio - 12. Che cos’è il piacere? - Note - Indice analitico
6.Per amore del cioccolato
Tra i piaceri della vita, il cibo è secondo solo al sesso.
A parte il salame con le uova. Quello sì che è meglio del sesso, a patto che il salame sia a fette spesse.
Alan King, attore
Una cena con accompagnamento musicale è un insulto al cuoco e al violinista.
G.K. Chesterton
Se mai riusciste a raggiungere il Rio delle Amazzoni, chiedete alla vostra guida di mostrarvi quello che forse è l’albero più venerato di tutta l’America Centrale e Meridionale. Il Theobroma cacao, o «cibo degli dèi», fu battezzato così da Linneo, il grande catalogatore della natura vissuto nel XVIII secolo. La denominazione rivela in maniera inequivocabile il suo apprezzamento per il sapore quasi indescrivibilmente gustoso del suo frutto e dei suoi semi, e per il ruolo avuto da quella pianta nella storia del mondo. Non sono molti quelli che, prima di addentarne un pezzo, si fermano a riflettere – e chi potrebbe biasimarli? – sull’influenza del cioccolato nei confronti dell’evoluzione sociale, politica ed economica delle culture che entrarono in contatto con i semi di cacao nel corso della loro diffusione dall’America equatoriale all’Europa e all’Asia.
Dopo una breve marcia nella giungla, la vostra guida si fermerà davanti a un albero dall’aspetto bizzarro, che con ogni probabilità non supererà i dieci metri di altezza. Se si tratta di un albero adulto – con più di tre anni di età – sulla sua corteccia vedrete grandi escrescenze rosa o blu a forma di cavolfiore, ma la vostra attenzione si sposterà rapidamente sugli strani baccelli grossi come un pallone da calcio che penzolano dal tronco in attesa di essere colti. L’involucro esterno del frutto dell’albero del cacao è una buccia rugosa e resistente gialla e verde che cela al suo interno una polpa morbida e biancastra. Il gusto di quest’ultima vi sorprenderà: molti, al primo assaggio, si aspettano il sapore dolce tipico della frutta ma restano sorpresi dalla complessità del gusto dolce-amaro del cioccolato. Racchiusi nella polpa di ogni baccello ci sono trenta o quaranta semi di color porpora scuro, che una volta seccati e lavorati diventano quelli che epicurei di tutto il mondo conoscono con il nome di «fave di cacao».
Sono pochi i cibi che ispirano la stessa passione del cioccolato.
È una storia d’amore che va ben oltre la tipica passione per i dolci: dopo tutto, difficilmente usciremmo di notte, quando nevica, presi dal panico per aver scoperto che siamo rimasti senza gomma da masticare o senza torta al limone. Il cioccolato possiede qualcosa di speciale che ci fa fare cose incredibili. I cioccolato-dipendenti non trovano nulla di strano nello spendere un patrimonio per una scatoletta di cioccolatini. No, una banale dipendenza da dolci non ha nulla a che vedere con una dipendenza da cioccolato, anzi: molti intenditori preferiscono la varietà più scura e più amara.
Quella della fava di cacao è una storia piena di desiderio, e trascende le distinzioni culturali. Le sue radici affondano nel passato, giungendo fino alle grandi civiltà olmeche e Maya fiorite nella regione attualmente occupata dal Messico meridionale, dal Belize, dal Guatemala e dall’Honduras più o meno 2600 anni fa. Le campagne di scavo effettuate in città come Colha, nel Belize settentrionale, hanno portato alla luce vari recipienti dotati di beccuccio, simili a teiere, contenenti resti di cioccolato.
La bevanda Maya era molto diversa dalla versione annacquata e zuccherosa della cioccolata calda in voga nella società moderna. I diari dei conquistadores spagnoli abbondano di descrizioni della cultura Maya intermedia in cui si parla della preparazione dei semi di cacao essiccati: la polvere ottenuta dalla loro macinazione veniva mescolata con acqua, miele, peperoncino e a volte mais. Successivamente il liquido veniva scaldato e versato ripetutamente da un recipiente all’altro per produrre una schiuma densa e ricca di cioccolato che rappresentava la parte più ambita della bevanda.
Nella stessa regione, anche la cultura azteca aveva una grande considerazione per il cioccolato. Si racconta che il celebre imperatore Montezuma bevesse fino a cinquanta caraffe di cioccolata al giorno, convinto che avesse poteri corroboranti e persino afrodisiaci. Nella civiltà azteca, la fava di cacao divenne la forma principale di valuta; la tradizione vuole che quando i conquistadores spagnoli assalirono il tempio di Montezuma, invece dell’oro vi trovarono le fave.
Tornato in Spagna dopo aver conquistato l’impero azteco, Hernan Cortès portò al re Carlo una fortuna in fave di cacao e una ricetta per fare il xocoatl che i cortigiani addolcirono con lo zucchero. La ricetta è arrivata fino a noi e oggi la pianta di cacao, addomesticata, cresce nelle terre coltivate di varie regioni della fascia equatoriale, tra cui i Caraibi, l’Africa, l’Asia sudoccidentale, e in diverse isole del Pacifico del Sud, come le Samoa e la Nuova Guinea.
Le moderne tecnologie di lavorazione e distribuzione hanno reso il cioccolato un elemento più comune nel panorama dell’alimentazione, ma per la scienza il suo potere di seduzione continua a rimanere un mistero. Solo da qualche anno i neuroscienziati e i biochimici hanno cominciato a capire come mai il cioccolato sia una fonte così forte di piacere.
Il cioccolato contiene più di 350 sostanze note, molte delle quali attivano tre importanti sistemi cerebrali associati all’esperienza del piacere. Il primo ingrediente che dà al cioccolato il suo grande fan club è il caro, vecchio zucchero, una sostanza che negli ultimi tempi è un po’ sottovalutata. Considerando la nostra tendenza a detestare tutto ciò che assomiglia a un carboidrato e l’incidenza quasi epidemica del diabete in molte sottopopolazioni, è facile capire come mai lo zucchero è visto come qualcosa da evitare da chi pensa di avere a cuore la propria salute.
Assunti in dosi ragionevoli, però, gli zuccheri hanno un impatto profondo e positivo sulla nostra fisiologia, in primo luogo per il loro effetto calmante. Mettete sulla lingua di un neonato che piange un po’ di liquido addolcito con glucosio o saccarosio e lo calmerete immediatamente anche per diversi minuti. È stato dimostrato che lo zucchero nelle sue varie forme, dal lattosio al saccarosio, attiva il sistema oppioide del cervello, un insieme di circuiti che svolge un ruolo cruciale nella regolazione della risposta del nostro corpo allo stress.
Oltre al saccarosio, il cioccolato contiene piccole quantità di teobromina (un leggero stimolante) e di feniletilamina, una sostanza chimicamente simile all’anfetamina. Quando raggiunge il cervello, ognuno di questi ingredienti agisce sui sistemi che rilasciano due neurotrasmettitori, la dopamina e la noradrenalina, da cui dipendono i livelli di attenzione e di eccitazione. Si ritiene che siano queste sostanze a darci la «carica» che sentiamo dopo aver mangiato del cioccolato.
Ma il cioccolato non si limita a darci la carica; quel senso di euforia che permane per un bel po’ dopo che ne abbiamo mangiato l’ultimo pezzettino è qualcosa di cui ben pochi possono fare a meno. Recentemente si è scoperto nel cioccolato un trio di sostanze che sembrano essere la causa principale della sensazione di benessere familiare a tutti i cioccolato-dipendenti. L’anandamide è un messaggero chimico cerebrale che si lega agli stessi recettori neuronali che vengono attivati dal tetraidrocannabinolo (THC): già, proprio così, il principio attivo della marijuana. Si è scoperto che in condizioni di stress l’organismo rilascia piccole quantità di anandamide, il cui effetto analgesico e calmante, tuttavia, svanisce rapidamente a causa dell’azione di enzimi prodotti dal nostro stesso organismo; in circostanze normali, quindi, la sua presenza nel cervello è trascurabile. Lo sballo provocato dalla marijuana è tutta un’altra storia: in quel caso il cervello è letteralmente inondato di THC che gli enzimi non riescono a neutralizzare e che ha un effetto più intenso e prolungato della versione naturale. Lo «sballo da THC» non è altro che un’amplificazione, a volte eccessiva, del normale funzionamento del sistema cannabinoide del cervello. L’indizio decisivo per la risoluzione del mistero si ebbe con la scoperta che il cioccolato contiene quantità importanti di due sostanze simili all’anandamide. Si tratta di due molecole che non attivano direttamente i recettori THC ma che amplificano l’effetto dell’anandamide già presente bloccando gli enzimi che dovrebbero degradarla. Avendone rallentato il metabolismo, quindi, anche piccole quantità di anandamide endogena o ingerita mangiando cioccolato resteranno nel cervello per più tempo. L’effetto finale è quella sensazione di calma estatica che si prova dopo aver mandato giù una bella cioccolata calda o dopo qualche pastiglia Droste.
È facile capire perché quando siamo depressi e stressati ci curiamo con il cioccolato. Il cioccolato, infatti, appaga l’istinto del piacere attivando tre recettori cerebrali fondamentali del sistema della ricompensa, nonostante ognuno di questi si sia evoluto come adattamento a circostanze ambientali molto diverse tra loro.
Il saccarosio presente nel cioccolato non è altro che una versione «maggiorata» del fruttosio, uno zucchero presente in natura in gran parte dei frutti accessibili ai primi ominidi cacciatori-raccoglitori.
Gli zuccheri sono un elemento fondamentale per la vita poiché forniscono energia metabolica – sotto forma di ATP – alle numerose reazioni biochimiche che hanno luogo in ogni cellula del nostro corpo. Per il cacciatore-raccoglitore medio, la frutta era una scelta nutrizionale ottima, poiché a parità di peso offre un’abbondante fonte di energia senza alcun rischio di finire incornati o azzannati. L’unico problema è quello di riconoscere la frutta come una sostanza piacevole da mangiare.
Nelle prime fasi della nostra evoluzione dallo stadio di ominidi, il sistema oppioide del cervello assunse un ruolo importantissimo nel controllo del nostro comportamento alimentare, soprattutto nel far sì che certi cibi ci sembrassero più appetibili di altri. Fu a quel punto del percorso evolutivo del genere umano che l’attivazione del sistema oppioide e le sensazioni di piacere che ne derivano si trovarono associate al consumo di cibi caratterizzati da un tenore di zuccheri relativamente alto. L’associazione dipese esclusivamente da un’alterazione delle connessioni neuronali: nel sistema oppioide di alcuni ominidi si accumulò una serie di mutazioni che ne rese possibile l’attivazione attraverso i recettori sensibili alla presenza di zucchero. In pratica, il sistema oppioide, che con ogni probabilità fino ad allora si era limitato ad avere un ruolo nella riproduzione sessuale, fu cooptato da fattori selettivi che resero particolarmente vantaggiosa rispetto al costo (sul piano energetico) la capacità di un ominide di trovare e desiderare frutti ricchi di zuccheri. Le probabilità di sopravvivenza di un ominide con una tendenza a provare piacere nel mangiare un cibo addolcito dallo zucchero naturale erano ovviamente maggiori di quelle di un suo simile che non era stato «colpito» da una mutazione così importante delle connessioni del sistema oppioide. È possibile che mutazioni analoghe siano avvenute anche nel sistema della ricompensa della dopamina e nel sistema cannabinoide, trasformando così il gusto del cioccolato in una «triplice trappola».
15 gennaio 2012 | Corriere del Mezzogiorno |
01 gennaio 2012 | BBC SCIENCE |