Il taccuino di Lepre
La passione per la scienza, la potenza dell’acqua, il rombo della Terra e il silenzio della solitudine: dagli anni della Resistenza ai nostri giorni, il cammino di un uomo verso la propria Liberazione.
- Collana: ScienzaLetteratura
- ISBN: 9788822015129
- Anno: 2014
- Mese: aprile
- Formato: 13 x 21 cm
- Pagine: 176
- Tag: Letteratura Romanzo Geologia
Nome di battaglia: Lepre. Perfetto per un giovane partigiano che corre come il vento, diventa una tragica ironia quando una ferita di guerra lo costringe ad arrancare per sempre, azzoppato nel passo e nella vita. Tanti anni dopo, il vecchio Lepre conduce un’esistenza grama, alleviata solo dalle letture scientifiche e dai ricordi di un tempo migliore. La Resistenza e l’amico geologo conosciuto sulle montagne, il dolore per la menomazione, un lavoro che gli ha ridato dignità e la scrittura di un quadernetto scientifico: la trama di una vita nel nord-est italiano tra il 1944 e il 2005 si snoda in parallelo con le calamità naturali che si sono accanite sulla regione dal dopoguerra in poi, dall’alluvione del Polesine a quella di Firenze del ’66, dal Vajont al terremoto del Friuli, fino alla frana di Stava di Tesero. Ma Lepre custodisce un segreto, un taccuino che è pegno di amicizia e che riapre le porte alla speranza. Per il vecchio combattente non è ancora finita. Un racconto intimo e appassionato che unisce la riflessione sulle catastrofi evitabili del nostro tempo all’amore per l’ambiente e consegna un vibrante atto di fede nel valore dell’amicizia e della solidarietà.
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Nei giorni che seguirono, Lepre si aggirò per la biblioteca con un macigno addosso. Rivolgeva agli utenti giusto brevi e misuratissime indicazioni, le coordinate indispensabili per localizzare i titoli richiesti e per sbrigare le pratiche di prestito.
Maneggiava i volumi in silenzio, rigirandoli e controllandoli con mestiere, e a testa bassa compilava le schede. Coi colleghi si atteneva ai colloqui essenziali, entro i confini di una dovuta cortesia, scoraggiando con un contegnoso mutismo il germinare di chiacchiere superflue. Si muoveva tra il tavolo e gli scaffali cercando di non farsi sentire, di attutire il rumore del bastone e di contenere il raggio d’azione della gamba. Zoppicava con metodo, si alzava e si sedeva con precisione. Affrontava le proprie mansioni, e la relazione professionale con ogni singolo libro, imponendosi un tono di dignità e di rigore.
La «scienza geomantica». Bisognava essere seri, mantenere alto il tenore del pensiero. Non era nemmeno immaginabile di poter contaminare la scienza con la credenza popolare o la magia. La biblioteca con la quale negli anni, libro su libro, scalino dopo scalino, aveva instaurato un rapporto di simbiosi, di dedizione integrale, di impegno civile; la biblioteca dove lui, reduce di guerra, menomato nella carne e nello spirito, aveva ritrovato un senso e uno scopo possibile; la biblioteca della città, la sua biblioteca, rappresentava la più alta dimora simbolica dell’intelletto e del sapere.
Era proprio nei momenti di maggiore inquietudine che si doveva ricorrere a quella «forza dell’intelletto e del sapere» mirabilmente evocata, ventitré anni prima, dal Rettore Concetto Marchesi. Soltanto quella era la forza, l’energia cui affidarsi, quell’energia nobile e unica in natura che rendeva ciascuno degno di portare il nome di Uomo.
Altro che incongrue, risibili energie del sottosuolo.
Quanto alle previsioni azzeccate da Roccia, era opportuno temporeggiare, astenendosi da iniziative affrettate. Soprattutto, bisognava decidere se fosse il caso di rendere pubblica l’esistenza del taccuino del geologo, di comunicare la sorprendente realtà dei fatti alle forze dell’ordine o a un organismo scientifico. C’erano delle probabilità che il vecchio carnet del professore, lassù sul Cansiglio, si fosse alquanto deteriorato, e che i contenuti non fossero più leggibili. Addirittura poteva non essere recuperabile, trascinato chissà dove dalle acque dilavanti o inghiottito nelle profondità del suolo carsico. Ciò considerato, anche ammettendo che lui fosse riuscito a convincere qualcuno a organizzare il recupero, non era possibile immaginare le conseguenze di una spedizione a vuoto: probabilmente avrebbe ricevuto una denuncia per false dichiarazioni, e ancor peggio, si sarebbe esposto al pubblico ludibrio. Si sarebbe reso lo zimbello della biblioteca, avrebbe perso d’un colpo la credibilità e la dignità derivanti dalla sua posizione professionale. Sarebbe stato come subire una seconda morte, adesso che dalla prima si era riesumato. Sentiva già il mormorio ironico riguardo al bibliotecario zoppo e alle sue fissazioni. Quale di quei giovinastri dai capelli lunghi che venivano a richiedere i libri non l’avrebbe avvicinato trattenendo una risata? Quale, tra quelle puttanelle che circolavano tra i tavoli esponendo le cosce sotto le minigonne, gli avrebbe risparmiato uno sguardo di commiserazione?
Nelle cronache si raccontava del contributo dato dai capelloni nei soccorsi agli alluvionati, da Venezia a Firenze li si incensava come angeli scesi nel fango delle piene. Erano frottole dei giornali. Lui li conosceva fin troppo bene, e li detestava tutti. A stare a guardarli, lì in biblioteca, mentre fingevano di studiare, gli passava ogni dubbio. Avrebbe dovuto rivelare il suo segreto e rischiare la faccia per quella generazione di inetti? Vent’anni prima aveva sacrificato tutto se stesso perché poi quegli sfaticati potessero infestare il paese. Oggi non poteva certo commettere lo stesso errore.
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