La geometria e il mondo dei quanti
La medaglia Fields Alain Connes racconta una delle grandi scoperte matematiche dell'ultimo secolo: la cosiddetta “geometria non commutativa” da lui stesso ideata e qui spiegata in modo semplice e originale.
- Collana: Le grandi voci
- ISBN: 9788822016140
- Anno: 2022
- Mese: febbraio
- Formato: 13 x 18 cm
- Pagine: 80
- Tag: Matematica Fisica
Disponibile
Connes ripercorre con entusiasmo e passione il suo percorso scientifico, mostrandoci tutta la poesia della sua “geometria non commutativa”. Queste pagine raccontano una storia coinvolgente, la storia di un incontro fra un uomo e la matematica.
Nota di Carlo Rovelli
Il principio di indeterminazione
Gli spettri
Le algebre di operatori
Il millefoglie
La geometria non commutativa
La comparsa del tempo e la termodinamica
La variabilità
L’unità di lunghezza
Gli infinitesimi
La musica delle forme
Il tic-tac dell’orologio divino
Il principio di indeterminazione
Gli spettri
Le algebre di operatori
Il millefoglie
La geometria non commutativa
La comparsa del tempo e la termodinamica
La variabilità
L’unità di lunghezza
Gli infinitesimi
La musica delle forme
Il tic-tac dell’orologio divino
Il principio di indeterminazione
Questo libro vuole ricostruire un percorso scientifico – il mio, per la precisione – ma il suo vero obiettivo, in un certo senso, è un altro. Ciò che conta realmente sono gli incontri fatti e, soprattutto, gli argomenti affrontati.
Dopo essere stato ammesso all’École Normale Supérieure decisi di non sostenere il concorso per l’insegnamento, perché non volevo ricominciare a sgobbare sui libri per un esame. Iniziai a fare ricerca in campo matematico, ma fu solo quando uscii dall’École che trovai un argomento interessante, grazie alla meccanica quantistica. Avevo sempre con me il libriccino pubblicato da Heisenberg nel 1930, I principi fisici della teoria dei quanti: il modo in cui spiegava come aveva scoperto la meccanica delle matrici, che è alla base della meccanica quantistica, era stato per me una fonte di grande ispirazione. Comincerò da qui, perché la scoperta di Heisenberg ha avuto un ruolo assolutamente fondamentale in tutto il mio percorso.
Prima della scoperta di Heisenberg, l’atomo era descritto da un modello, l’“atomo di Bohr”, che postulava per gli elettroni un’orbita circolare stabile intorno al nucleo. C’erano delle regole completamente ad hoc che non avevano alcuna giustificazione concettuale, ma che permettevano, ad esempio, di riprodurre lo spettro dell’atomo di idrogeno.
Heisenberg, per l’appunto, si occupava del calcolo degli spettri atomici, cioè della determinazione matematica delle lunghezze d’onda presenti nella luce emessa dall’atomo in questione. Per un concorso di circostanze – il caso ha un ruolo importante nella scienza – era stato mandato dalla sua università sull’isola di Helgoland, nel Mare del Nord, per curare un raffreddore da fieno particolarmente grave: all’epoca, l’unico rimedio consisteva nel rifugiarsi in un luogo totalmente privo di pollini. Su quell’isola piccolissima, Heisenberg alloggiava da un’anziana signora e aveva tutto il tempo necessario per riflettere e calcolare.
Aveva sviluppato una nuova meccanica, ma la sua teoria gli sembrava contraddittoria: c’era un problema con la conservazione dell’energia, che nella teoria classica ha un ruolo cruciale e che doveva continuare a valere anche nel suo nuovo formalismo. Fece dei calcoli con il sistema che aveva creato, e finì per rendersi conto che in realtà l’energia si conservava! Nella sua autobiografia, quel momento è descritto in maniera particolarmente vivida. Erano le tre o le quattro del mattino, e Heisenberg racconta che in quell’istante preciso gli si aprì davanti agli occhi un paesaggio così immenso da fargli quasi paura. Invece di andare a dormire si arrampicò su uno dei picchi rocciosi che coronano l’isola e attese il sorgere del sole.
La scoperta di Heisenberg fu il mio punto di partenza. Nel 1970 Gustave Choquet, di cui ero stato allievo alla fine dell’École Normale, ebbe l’idea di farmi imparare un po’ di fisica e mi mandò alla scuola estiva di Les Houches. Alcune delle lezioni erano tenute da Oscar Lanford, che spiegava cosa aveva fatto von Neumann a partire dai risultati di Heisenberg. Quest’ultimo aveva scoperto che, quando si fanno dei calcoli per un sistema fisico microscopico, come un atomo che interagisce con la luce, si verifica un fenomeno assolutamente straordinario: la libertà abituale di permutare l’ordine dei termini di un’equazione viene meno. Nella formula E = mc2 possiamo anche scrivere E = c2m e il risultato rimane lo stesso: è una proprietà fondamentale dell’algebra, la cosiddetta commutatività, per cui se si varia l’ordine dei fattori di un prodotto il risultato non cambia.
Heisenberg scoprì che quando si ha a che fare con un sistema microscopico e si moltiplicano alcune delle sue quantità osservabili – ad esempio la posizione di una particella e la sua velocità, o per essere più precisi la sua quantità di moto (cioè il prodotto della massa e della velocità della particella) – non è più possibile permutare liberamente i termini del prodotto. Il corollario è ben noto: è il principio di indeterminazione di Heisenberg, che afferma che esiste un limite alla precisione con cui si possono conoscere simultaneamente due proprietà di una stessa particella associate a osservabili che non commutano. Ad esempio, più conosciamo con precisione la posizione della particella, meno esattamente conosciamo la sua velocità, e viceversa.
Quello che abbiamo appena descritto, e sul quale ritorneremo, è l’aspetto fisico del fenomeno. Conseguenza: la meccanica acquista una sorta di novità permanente, di libertà, che fa sì che, su scala microscopica, ripetendo alcuni esperimenti non avremo sempre lo stesso risultato. Ad esempio, se si fa passare un elettrone attraverso una fenditura di dimensioni paragonabili alla sua lunghezza d’onda, la particella colpirà in un punto preciso un bersaglio situato a valle della fenditura, ma è impossibile ripetere l’esperimento in modo tale che l’elettrone finisca nuovamente nello stesso punto. Tutto quello che conosciamo è la probabilità che arrivi in un punto o in un altro. Non c’è alcun modo cioè – è il principio di indeterminazione di Heisenberg a dirlo – di ripetere l’esperimento facendo sì che l’elettrone arrivi esattamente in quel punto. È come se ci fosse una sorta di fantasia quantistica che si manifesta ogni volta che si effettua un esperimento del genere a livello microscopico.
Da un punto di vista matematico è tutta un’altra storia. La scoperta di Heisenberg, infatti, insegnò ai fisici che quando si maneggiano certe quantità osservabili nel quadro di quella che è diventata la meccanica quantistica – cioè la meccanica dei sistemi microscopici – bisogna fare attenzione. Può sembrare sorprendente, ma in realtà è un fenomeno a cui siamo abituati: accade ogni giorno quando scriviamo. Se permutiamo tra loro le lettere di una frase, come si fa in un anagramma, ne modifichiamo il senso: “atomi di idrogeno” contiene le stesse lettere di “gioirò meditando”, ma il significato non è lo stesso. Se valessero le regole dell’algebra commutativa e si potessero permutare le lettere, le due espressioni avrebbero lo stesso valore. Affinché le frasi non perdano di senso, si è capito che bisogna fare attenzione all’ordine delle lettere.
Heisenberg ha dimostrato che quando si lavora a livello microscopico non si ha più diritto alle semplificazioni tipiche dei calcoli della fisica ordinaria. La sua è stata una scoperta fondamentale perché ha avuto un impatto enorme, e non solo in fisica. Per quanto mi riguarda, ho passato la parte più importante della mia vita di scienziato ad applicarla in ambito matematico.
Max Born e Pascual Jordan si resero conto che i calcoli di Heisenberg erano ciò che i matematici chiamano “operazioni tra matrici”. Non occorre sapere cos’è una matrice. Ciò che conta è che, a differenza dei numeri, le matrici hanno la proprietà di non commutare tra di loro. In generale, il prodotto di due matrici a e b effettuato nell’ordine “ab” avrà un risultato diverso da quello del prodotto “ba”. Born e Jordan capirono che Heisenberg aveva riscoperto le matrici, ma in maniera naturale, a partire dalle osservazioni.
Questo libro vuole ricostruire un percorso scientifico – il mio, per la precisione – ma il suo vero obiettivo, in un certo senso, è un altro. Ciò che conta realmente sono gli incontri fatti e, soprattutto, gli argomenti affrontati.
Dopo essere stato ammesso all’École Normale Supérieure decisi di non sostenere il concorso per l’insegnamento, perché non volevo ricominciare a sgobbare sui libri per un esame. Iniziai a fare ricerca in campo matematico, ma fu solo quando uscii dall’École che trovai un argomento interessante, grazie alla meccanica quantistica. Avevo sempre con me il libriccino pubblicato da Heisenberg nel 1930, I principi fisici della teoria dei quanti: il modo in cui spiegava come aveva scoperto la meccanica delle matrici, che è alla base della meccanica quantistica, era stato per me una fonte di grande ispirazione. Comincerò da qui, perché la scoperta di Heisenberg ha avuto un ruolo assolutamente fondamentale in tutto il mio percorso.
Prima della scoperta di Heisenberg, l’atomo era descritto da un modello, l’“atomo di Bohr”, che postulava per gli elettroni un’orbita circolare stabile intorno al nucleo. C’erano delle regole completamente ad hoc che non avevano alcuna giustificazione concettuale, ma che permettevano, ad esempio, di riprodurre lo spettro dell’atomo di idrogeno.
Heisenberg, per l’appunto, si occupava del calcolo degli spettri atomici, cioè della determinazione matematica delle lunghezze d’onda presenti nella luce emessa dall’atomo in questione. Per un concorso di circostanze – il caso ha un ruolo importante nella scienza – era stato mandato dalla sua università sull’isola di Helgoland, nel Mare del Nord, per curare un raffreddore da fieno particolarmente grave: all’epoca, l’unico rimedio consisteva nel rifugiarsi in un luogo totalmente privo di pollini. Su quell’isola piccolissima, Heisenberg alloggiava da un’anziana signora e aveva tutto il tempo necessario per riflettere e calcolare.
Aveva sviluppato una nuova meccanica, ma la sua teoria gli sembrava contraddittoria: c’era un problema con la conservazione dell’energia, che nella teoria classica ha un ruolo cruciale e che doveva continuare a valere anche nel suo nuovo formalismo. Fece dei calcoli con il sistema che aveva creato, e finì per rendersi conto che in realtà l’energia si conservava! Nella sua autobiografia, quel momento è descritto in maniera particolarmente vivida. Erano le tre o le quattro del mattino, e Heisenberg racconta che in quell’istante preciso gli si aprì davanti agli occhi un paesaggio così immenso da fargli quasi paura. Invece di andare a dormire si arrampicò su uno dei picchi rocciosi che coronano l’isola e attese il sorgere del sole.
La scoperta di Heisenberg fu il mio punto di partenza. Nel 1970 Gustave Choquet, di cui ero stato allievo alla fine dell’École Normale, ebbe l’idea di farmi imparare un po’ di fisica e mi mandò alla scuola estiva di Les Houches. Alcune delle lezioni erano tenute da Oscar Lanford, che spiegava cosa aveva fatto von Neumann a partire dai risultati di Heisenberg. Quest’ultimo aveva scoperto che, quando si fanno dei calcoli per un sistema fisico microscopico, come un atomo che interagisce con la luce, si verifica un fenomeno assolutamente straordinario: la libertà abituale di permutare l’ordine dei termini di un’equazione viene meno. Nella formula E = mc2 possiamo anche scrivere E = c2m e il risultato rimane lo stesso: è una proprietà fondamentale dell’algebra, la cosiddetta commutatività, per cui se si varia l’ordine dei fattori di un prodotto il risultato non cambia.
Heisenberg scoprì che quando si ha a che fare con un sistema microscopico e si moltiplicano alcune delle sue quantità osservabili – ad esempio la posizione di una particella e la sua velocità, o per essere più precisi la sua quantità di moto (cioè il prodotto della massa e della velocità della particella) – non è più possibile permutare liberamente i termini del prodotto. Il corollario è ben noto: è il principio di indeterminazione di Heisenberg, che afferma che esiste un limite alla precisione con cui si possono conoscere simultaneamente due proprietà di una stessa particella associate a osservabili che non commutano. Ad esempio, più conosciamo con precisione la posizione della particella, meno esattamente conosciamo la sua velocità, e viceversa.
Quello che abbiamo appena descritto, e sul quale ritorneremo, è l’aspetto fisico del fenomeno. Conseguenza: la meccanica acquista una sorta di novità permanente, di libertà, che fa sì che, su scala microscopica, ripetendo alcuni esperimenti non avremo sempre lo stesso risultato. Ad esempio, se si fa passare un elettrone attraverso una fenditura di dimensioni paragonabili alla sua lunghezza d’onda, la particella colpirà in un punto preciso un bersaglio situato a valle della fenditura, ma è impossibile ripetere l’esperimento in modo tale che l’elettrone finisca nuovamente nello stesso punto. Tutto quello che conosciamo è la probabilità che arrivi in un punto o in un altro. Non c’è alcun modo cioè – è il principio di indeterminazione di Heisenberg a dirlo – di ripetere l’esperimento facendo sì che l’elettrone arrivi esattamente in quel punto. È come se ci fosse una sorta di fantasia quantistica che si manifesta ogni volta che si effettua un esperimento del genere a livello microscopico.
Da un punto di vista matematico è tutta un’altra storia. La scoperta di Heisenberg, infatti, insegnò ai fisici che quando si maneggiano certe quantità osservabili nel quadro di quella che è diventata la meccanica quantistica – cioè la meccanica dei sistemi microscopici – bisogna fare attenzione. Può sembrare sorprendente, ma in realtà è un fenomeno a cui siamo abituati: accade ogni giorno quando scriviamo. Se permutiamo tra loro le lettere di una frase, come si fa in un anagramma, ne modifichiamo il senso: “atomi di idrogeno” contiene le stesse lettere di “gioirò meditando”, ma il significato non è lo stesso. Se valessero le regole dell’algebra commutativa e si potessero permutare le lettere, le due espressioni avrebbero lo stesso valore. Affinché le frasi non perdano di senso, si è capito che bisogna fare attenzione all’ordine delle lettere.
Heisenberg ha dimostrato che quando si lavora a livello microscopico non si ha più diritto alle semplificazioni tipiche dei calcoli della fisica ordinaria. La sua è stata una scoperta fondamentale perché ha avuto un impatto enorme, e non solo in fisica. Per quanto mi riguarda, ho passato la parte più importante della mia vita di scienziato ad applicarla in ambito matematico.
Max Born e Pascual Jordan si resero conto che i calcoli di Heisenberg erano ciò che i matematici chiamano “operazioni tra matrici”. Non occorre sapere cos’è una matrice. Ciò che conta è che, a differenza dei numeri, le matrici hanno la proprietà di non commutare tra di loro. In generale, il prodotto di due matrici a e b effettuato nell’ordine “ab” avrà un risultato diverso da quello del prodotto “ba”. Born e Jordan capirono che Heisenberg aveva riscoperto le matrici, ma in maniera naturale, a partire dalle osservazioni.
05 Maggio 2022 | Prisma |
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