L'enigma del neurone giovane
Si parla tanto di "plasticità cerebrale", ma cos'è davvero? E riusciremo a mantenere giovane il nostro cervello? Bonfanti ci illustra come la ricerca stia facendo passi da gigante, tra intrighi e nuove scoperte rivoluzionarie.
- Collana: Le grandi voci
- ISBN: 9788822016065
- Anno: 2021
- Mese: febbraio
- Formato: 13 x 19 cm
- Pagine: 96
- Tag: Biologia Neuroscienze
Con l’aumento della longevità, cresce l’ambizione delle neuroscienze: riusciremo a mantenere giovane il nostro cervello o addirittura a trovare “neuroni di ricambio”? Bonfanti ci porta al cuore del più grosso enigma scientifico dei nostri tempi, tra intrighi e scoperte rivoluzionarie.
Prologo
Viviamo ormai sommersi da bufale e fake news. Travolti da flussi enormi di informazioni, dove l’attendibile e l’autorevole si mescolano in modo subdolo con stupidaggini galattiche. Le neuroscienze non sono indenni da questo fenomeno. Sono ancora in molti a pensare che usiamo solo il 10% del nostro cervello, e qualcuno crede davvero che se riuscissimo a usare anche il resto saremmo superdotati. Alcuni pensano che trapiantando neuroni di maiale in un cervello umano poi il ricevente penserebbe come un maiale.
Sicuramente molti hanno creduto, grazie a innumerevoli annunci, che siamo vicini a una cura per l’Alzheimer. Ma leggendo le statistiche emerge che le demenze senili sono in aumento e, approfondendo un po’, che gli scienziati non sono ancora d’accordo sulle reali cause di questo tipo di patologie.
Viviamo in perenne oscillazione tra notizie di scienza e interpretazioni surreali; tra la paura delle malattie e la speranza di trovare soluzioni facili, a portata di mano. Sicuramente esiste un problema di comunicazione, sia in senso generale, sia nei rapporti delicati tra scienza, ricerca, medicina e società. Le analisi del fenomeno non mancano. Quello che sembra mancare è la soluzione.
C’è un fatto oggettivo, tuttavia, che viene spesso tralasciato o sottostimato: la scienza è complessa e non può essere spiegata oltre un certo limite alle persone che non hanno un’adeguata formazione. Sembra impopolare ma è così. Si può cercare di essere semplici, però non più semplici di quello che è il contenuto minimo del concetto da spiegare. E la scienza, che ci piaccia o no, è complessità: profonda, profondissima complessità. Si rischia quindi di distorcere il messaggio e di ottenere l’effetto contrario: confondere.
Personalmente, penso che sui temi scientifici ci sia molta confusione, come avviene tra individui che parlano lingue diverse: un po’ ci si capisce (ad esempio a gesti o con le metafore nella divulgazione) ma il rischio di incorrere nell’equivoco è grande. Per questo, nelle conferenze divulgative, pur cercando di spiegare il filo logico delle mie ricerche in modo semplice e divertente, non rinuncio mai a dare l’idea di quanto i contenuti siano complicati e poco comprensibili (oltre un certo livello, anche per gli addetti ai lavori). Trasmetto l’incertezza, oltre a tentare di far chiarezza su un argomento. Ed è esattamente quello che farò qui su un tema che è diventato un rompicapo per i neuroscienziati stessi.
Sarà capitato anche a voi, leggendo qua e là in giornali o riviste divulgative, di captare notizie sulle nuove scoperte riguardanti il funzionamento del cervello. Quasi sempre, l’annuncio si conclude con la speranza di nuovi approcci terapeutici, disponibili in tempi più o meno lunghi, per far fronte all’annoso problema delle malattie neurologiche: patologie neurodegenerative, demenze senili, traumi del sistema nervoso, ictus, Alzheimer, Parkinson, e così via.
Eppure, nonostante i ripetuti annunci, la traduzione delle nuove conoscenze in approcci terapeutici efficaci (un processo che in gergo scientifico si chiama “traslazione”) rimane a tutt’oggi piuttosto scarsa, tanto che molte malattie neurologiche sono ancora sostanzialmente incurabili. Alla base di questa impasse c’è la ben nota incapacità del cervello di sostituire i neuroni danneggiati o persi, e quindi di rigenerarsi. A meno che non si scoprano delle eccezioni.
Chi segue queste tematiche si è forse accorto di come da tempo si sia insinuata la notizia che anche il cervello conterrebbe cellule staminali, le quali permetterebbero di generare nuovi neuroni nella vita adulta. Un fatto, questo, che viene spesso presentato come elemento di svolta, perché “potrebbe fornire i pezzi di ricambio”. Il mito del neurone giovane, fresco, possibilmente “nuovo” come strumento per mantenere un cervello efficiente anche con il passare dell’età non morirà mai. È una speranza cui abbiamo diritto.
Ma è possibile?
Per rispondere alla domanda dobbiamo smarcarci dalle bufale e dalle esagerazioni. Si sa che molte testate giornalistiche sono spesso superficiali, quando non alla ricerca di facile sensazionalismo; così come lo sono alcuni scienziati che, seppur eccellenti nella ricerca, tendono ad essere un po’ troppo possibilisti nei confronti della reale applicazione terapeutica dei loro risultati. Certo, i giornalisti devono campare e i ricercatori devono trovare i finanziamenti per i loro studi (nessuno dei due è giustificato a distorcere la realtà scientifica, ma a quanto pare il mondo va così), però almeno le pubblicazioni scientifiche dovrebbero garantire la massima oggettività. Andiamo allora a consultarle...
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