50 grandi idee biologia
Perché le specie evolvono? Tutti gli organismi sono formati da cellule? Che cos’è un virus? Una brillante introduzione alla biologia che risponde a queste e a molte altre domande sulla scienza della vita.
- Collana: 50 grandi idee
- ISBN: 9788822068668
- Anno: 2016
- Mese: maggio
- Formato: 17 x 20 cm
- Pagine: 208
- Tag: Biologia Evoluzionismo Dna Genetica
Cos’è la vita? Se cercate in un dizionario, noterete che le definizioni si mordono per così dire la coda, ricorrendo a espressioni come “esseri viventi”, “organismi”, “animali e vegetali”. La scienza della vita, secondo JV Chamary, è «scienza di eccezioni», ed è per questo che è così difficile definire in maniera calzante cosa sia. Forse, allora, la soluzione ideale è descrivere i processi biologici fondamentali condivisi da tutte le forme di vita del pianeta (e chissà, forse anche da quelle del resto del cosmo), scegliendo come filo conduttore l’unica legge della biologia: l’evoluzione.
Partendo dall’origine della vita, il libro descrive fenomeni biologici di complessità crescente, guidandoci in un percorso che va dalle unità elementari (i geni e le cellule) agli organismi multicellulari più complessi e si conclude con le popolazioni e la loro interazione con l’ambiente.
La fine della storia, in realtà, è ancora da scrivere. L’ultimo capitolo del libro, dedicato alla biologia di sintesi, apre una porta sul futuro della biologia e della vita stessa. Homo sapiens si sta dimostrando l’unica specie capace di creare la vita da zero. Forse la risposta alla domanda iniziale non è più così lontana...
Introduzione - I PRINCÌPI FONDAMENTALI - 01 L’evoluzione - 02 I geni - 03 La cellula - LE ORIGINI DELLA VITA - 04 Le origini della vita - 05 L’albero della vita - I GENI - 06 Il sesso - 07 L’ereditarietà - 08 La ricombinazione - 09 Le mutazioni - 10 La doppia elica - 11 Il codice genetico - 12 L’espressione genica - 13 Il ripiegamento delle proteine - 14 Il DNA spazzatura - 15 L’epigenetica - 16 Il fenotipo - LE CELLULE - 17 L’endosimbiosi - 18 La respirazione - 19 La fotosintesi - 20 La divisione cellulare - 21 Il ciclo cellulare - 22 Il cancro - 23 I virus - 24 I prioni - I CORPI - 25 La multicellularità - 26 La circolazione - 27 L’invecchiamento - 28 Le cellule staminali - 29 La fecondazione - 30 L’embriogenesi - 31 La morfologia - 32 La colorazione - 33 L’immunità - 34 L’omeostasi - 35 Lo stress - 36 Gli orologi biologici - 37 Il sonno - 38 La memoria - 39 L’intelligenza - 40 L’uomo - LE POPOLAZIONI - 41 L’impollinazione - 42 La Regina rossa - 43 Gli ecosistemi - 44 La selezione naturale - 45 La deriva genetica - 46 Il gene egoista - 47 La cooperazione - 48 La speciazione - 49 L’estinzione - 50 La biologia di sintesi - Glossario - Indice analitico
15 L’epigenetica
Gran parte delle istruzioni biologiche sono codificate
nelle sequenze di DNA. Alcune, però, dipendono da speciali
etichette chimiche associate al materiale genetico
e alle sue proteine. I marcatori epigenetici sono la memoria
delle esperienze e degli ambienti passati, e ci svelano come
si possano ereditare caratteri acquisiti nel corso della vita.
Nel 1809, il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck formulava una delle prime teorie dell’evoluzione, ipotizzando che fossero i cambiamenti ambientali a governare l’evoluzione delle specie. Fin qui, tutto bene. Lamarck, tuttavia, sosteneva anche che l’uso prolungato di una parte del corpo ne provocasse il rafforzamento, che il suo mancato utilizzo la indebolisse, e che tali mutamenti si trasmettessero dai genitori alla prole (la cosiddetta ereditarietà dei caratteri acquisiti). Fu un esperimento di August Weismann, nel 1891, a dimostrare che la teoria di Lamarck era sbagliata: il biologo tedesco tagliò la coda a più di 900 topi per cinque generazioni, e constatò che la prole nasceva sempre intatta. La genetica del XX secolo ha dimostrato che le istruzioni biologiche sono conservate nel DNA, ma la scoperta di altri meccanismi di ereditarietà ha ridato vita alle idee di Lamarck.
Istruzioni ereditate Nel 1942, il biologo britannico Conrad Hal Waddington ipotizzò che i meccanismi dello sviluppo, a quel tempo ancora avvolti nel mistero, fossero controllati per via «epigenetica» (parola di origine greca che significa «al di sopra della genetica»). Gli scienziati concordano nel descrivere il processo come una forma di trasmissione delle istruzioni dalla cellula madre alle figlie durante la divisione, ma non ne esiste una definizione che riscuote l’unanimità dei consensi. Secondo la più diffusa, proposta nel 1996 dal genetista americano Arthur Riggs, l’epigenetica è «l’insieme delle variazioni ereditarie nella funzione di un gene che non possono essere spiegate in termini di variazioni della sequenza di DNA».
Le prime conoscenze sull’epigenetica giunsero dallo studio delle differenze tra i cromosomi sessuali nei mammiferi. Nel 1959, studiando le femmine di ratto, il genetista giapponese Susumu Ohno notò che uno dei loro due cromosomi X ha un aspetto compatto, «condensato», e suppose che fosse così perché le cellule non se ne servono. Nel 1961, la genetista britannica Mary Lyon ipotizzò che il fenomeno potesse essere la causa della colorazione del pelo dei topi, determinata da geni situati sul cromosoma X. Secondo Lyon, l’azione dei geni su uno dei cromosomi X è bloccata: l’«inattivazione del cromosoma X», ribattezzata «lyonizzazione», aiuterebbe a spiegare come mai le femmine, che possiedono la coppia XX, non producono una quantità doppia di proteine legate al cromosoma X rispetto ai maschi, che possiedono XY.
Software cellulare Le cellule sono paragonabili all’hardware di un computer; il DNA è il sistema operativo, e l’epigenetica rappresenta il software installato. I programmi consistono per lo più di alterazioni chimiche, o «marcatori epigenetici» che rendono invisibili le sequenze di DNA ai sistemi di lettura dei geni. Uno dei meccanismi di programmazione, come fu ipotizzato in maniera indipendente da Arthur Riggs e Robin Holliday nel 1975, consiste nella disattivazione del gene attraverso l’aggiunta di gruppi metilici alla sequenza di DNA.
La metilazione del DNA è una sorta di coperta chimica che attenua l’attività dei geni. Altri programmi epigenetici nascondono le sequenze di DNA senza modificare il materiale genetico. L’inattivazione del cromosoma X, ad esempio, avviene tramite molecole di RNA non codificante, o «XIST», che rivestono il cromosoma nascondendolo. Un altro meccanismo modifica gli istoni, proteine giganti sulle quali si avvolgono i filamenti di DNA per formare la cromatina, proprio come un filo si avvolge su un rocchetto. I marcatori epigenetici che agiscono sugli istoni fanno sì che il DNA si srotoli o si arrotoli, «aprendo» o «chiudendo» la cromatina e regolando così la lettura dei geni. I fattori di trascrizione, infine, sono proteine che determinano le proprietà e il comportamento delle cellule legandosi agli interruttori che controllano il DNA per accendere e spegnere i geni; la loro azione nel corso dello sviluppo è quella che più si avvicina alla definizione di «epigenetica» data da Conrad Hal Waddington.
I marcatori epigenetici possono essere rimossi dal genoma con un processo di riprogrammazione, trasformando un embrione in una tabula rasa e dando alle sue cellule staminali la possibilità di generare qualunque tipo di tessuto. Nei mammiferi, i marcatori vengono cancellati in due fasi successive: dopo la fecondazione e durante l’embriogenesi. La prima riprogrammazione cancella tutti i marcatori eccetto quelli aggiunti allo spermatozoo o all’oocita durante l’imprinting genomico, con un processo che ricorda la cancellazione di tutti i programmi di un computer e la successiva installazione delle applicazioni essenziali. La seconda fase, che avviene nell’embrione, è una cancellazione radicale, equivalente alla reinstallazione del sistema operativo della cellula e al ripristino dei parametri standard di fabbricazione.
L’esposizione ai fattori ambientali Le donne incinte evitano di esporsi alle tossine contenute in alcuni cibi o nelle bevande alcoliche per non danneggiare il feto nell’utero; se il padre fuma, inoltre, è possibile che il peso del bambino aumenti. L’esposizione a fattori come gli ormoni o lo stress influenza la salute dei nascituri, non perché provoca mutazioni genetiche ma perché aggiunge marcatori chimici al DNA del l’embrione: le cosiddette «epimutazioni». Gli effetti epigenetici di origine parentale possono durare per generazioni: in altre parole, «siamo ciò che mangiavano i nostri nonni». In Olanda, durante la carestia del 1944, le donne che avevano sofferto la fame durante la gravidanza diedero alla luce bambini con una scarsa tolleranza al glucosio; i nipoti, dal canto loro, nacquero con un eccesso di grasso corporeo e in seguito manifestarono una salute cagionevole. Nel 2006, Lars Olov Bygren e Marcus Pembrey pubblicarono un’analisi della popolazione di Överkalix, nella Svezia settentrionale, confrontando le statistiche sulla longevità e sulle cause di morte con i dati storici relativi ai raccolti e alla disponibilità di cibo. I ricercatori scoprirono che la mortalità maschile è influenzata dall’alimentazione del nonno paterno durante la media infanzia, mentre quella femminile è influenzata dall’alimentazione della nonna paterna. Ciò faceva pensare all’azione di marcatori epigenetici sui cromosomi sessuali.
Ereditarietà «soft» e «hard» Nei mammiferi, gli effetti epigenetici a lungo termine sono limitati dalla rimozione pressoché totale dei marcatori chimici durante la riprogrammazione dell’embrione. Gli effetti parentali indotti da fattori ambientali, quindi, durano una o due generazioni al massimo: è la cosiddetta «ereditarietà intergenerazionale». Negli animali, l’ereditarietà a lungo termine, o «transgenerazionale», è rara. Fanno eccezione i vermi nematodi, nei quali l’imprinting epigenetico di un odore attraente può essere trasmesso per 40 generazioni. Le variazioni permanenti al DNA possono essere considerate come un’ereditarietà «hard», distinta dall’ereditarietà «soft» della programmazione epigenetica temporanea.
L’ereditarietà soft è relativamente comune tra le piante da fiore: l’embrione, in questo caso, è formato per lo più da cellule materne, e la riprogrammazione è molto più debole rispetto a quella di un uovo fecondato. Esistono anche marcatori epigenetici la cui trasmissione si è perpetuata per secoli: nel 1744, il naturalista svedese Carl Linnaeus descrisse un fiore di bocca di leone «mostruoso», dotato di simmetria radiale anziché bilaterale: nel 1999, il biologo delle piante Enrico Coen dimostrò che era il risultato di un’epimutazione. A quanto pare, dunque, Lamarck non si era sbagliato del tutto sull’ereditarietà.
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